Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per la rubrica di oggi dividiamo, uno per i manga e uno per gli anime, due titoli... "robusti": il film Ken il Guerriero - La Leggenda di Hokuto e JoJo: Diamond is Unbreakable, quarta serie della saga delle "bizzarre avventure" creata da Hirohiko Araki.

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Intendiamoci: a me Ken piaceva quando ero un adolescente.
"Mai, mai, scorderai... l'attimo, la terra che tremò." Ve la ricordate? Bellissima sigla italiana, anime a dir poco mitico. Le puntate erano costruite in modo tale da tenerti sempre in sospeso e con la voglia di vedere come il giorno dopo (forse) andava a finire.
In questo remake i disegni per me sono bellissimi, la cura è maniacale come sempre: non c'è che dire, Ken il Guerriero - La Leggenda di Hokuto è un prodotto pregevole. Detto questo, ricordo l'ironia di un grande amico di Tesuo Hara, che fa dire a un certo suo personaggio: "Ma non lo sai? Ken il Guerriero è pieno di nemici... amici!".

Ecco, se non vi viene dal profondo del cuore un "vaffa" quando il terribile Sauzer si mette a piagnucolare, e in generale dopo tutte le scene in cui un individuo spregevole trova la sua redenzione perché Ken gli impone le mani e lo fa regredire a uno stato d'innocenza infantile - il che apparentemente vuol dire che, se sei un grande esperto di arti marziali, puoi fare ogni sorta di nefandezze, basta che ti penti in punto di morte -, beh, qualunque opera di Tetsuo Hara e di Buronson fa per voi. Se invece vivete nel mondo reale, allora no.

Va sottolineato comunque che a confronto con il vecchio anime, che se lo vedi da adulto risulta globalmente una vera schifezza - mai provato a vederne sette o otto puntate una dietro all'altra? Provare per credere il livello di noia a cui si può arrivare -, questi remake sono di gran lunga migliori.
E Ken resta un personaggio fantastico, nonostante chi ne ha narrato le gesta. Perciò, il fatto che il noiosissimo anime originale venga riassunto in una manciata di film decenti a opera di professionisti che sanno scrivere una sceneggiatura, non può che rallegrarmi. Questo in particolare non mi ha entusiasmato, ma in nome dei tempi andati gli do una valutazione lusinghiera.



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Eccoci alla quarta metamorfosi di JoJo. Ormai mi sono convinto: ogni volta che si inizia una nuova saga legata alla famiglia Joestar ci si ritrova davanti agli occhi qualcosa di innovativo e diverso, e attenzione, non intendo dire migliore, dico solo che il contorno di patate resta, è la portata principale che cambia, ma cucinata sempre dallo stesso cuoco, Hirohiko Araki.
Quando inizio a recensire una nuova serie di JoJo mi è impossibile non fare paragoni con le precedenti, in quanto si tratta di una vera e propria antologia.
Ebbene, se nella terza serie uno dei due punti cardine (oltre ai combattimenti) era il concetto di viaggio, in questa serie Araki tenta l'approccio inverso, ci catapulta in una fittizia cittadina Giapponese di fine millennio e da lì non ci fa muovere.

La città diventa vera e propria protagonista dell'opera, se in Stardust Crusaders erano i nemici a recarsi dai protagonisti per far loro la pellaccia, in questa serie nessuno si reca da nessuna parte, per il semplice fatto che sono già lì.
Araki ne approfitta, crea una vera e propria mitologia, con tanto di statue e luoghi da visitare corredati da un'ironica guida per raggiungerli. La vita urbana rende poi necessario un cambio di registro, il manga assume un'aria molto più scanzonata e leggera, si aggiungono cenni di slice of life e grazie alla mappa riprodotta più volte l'autore cerca di immergerci ancora di più nella lettura. Sicuramente l'epicità che la situazione da "fine del mondo" delle saghe precedenti dava modo di respirare viene meno in questa nuova situazione.

Ricapitolando: abbiamo una città, un nuovo protagonista con tanto di Stand nuovo di zecca da usare, e un antagonista. Anzi, quello no.
O almeno, c'è ma resta un incognita per grande parte del manga, e in confronto agli antagonisti delle vecchie serie, che richiedevano numerosi sacrifici spesso mortali, quello di questa serie è molto meno incisivo, essendo "solamente" uno spietato serial killer con a carico un grande numero di vittime.
I protagonisti si troveranno proiettati in una cittadina in cui metà della popolazione è portatrice di Stand, molti sono dei cattivissimi sicari, altri utilizzano i loro Stand per altri scopi, come Tonio, che utilizza il suo solo per cucinar - tra l'altro personaggio con cui Araki ci dà modo di vedere quanto apprezzi il nostro paese (come se non avesse già avuto modo di dimostrarlo in precedenza).
Araki si crea quindi la sua Twin Peaks, dove perfino il tuo vicino di casa potrebbe nascondere un terribile segreto, o in questo caso, uno Stand mortale.

Se da un lato abbiamo uno stampo molto leggero che contrappone la quotidianità a questi misteriosi poteri, rendendo le avventure abbastanza lineari, dall'altro abbiamo anche delle side-stories che vengono però spesso lasciate in sospeso per poi essere riprese in un secondo momento o quasi completamente dimenticate, come la storia del padre trasformato o quella della bambina invisibile; altre invece vengono portate avanti ma non spiegate con cura, come l'arco e la freccia, cosa che spero l'autore farà nelle saghe successive.
Araki continua poi con la sua nuova politica iniziata nella saga precedente, è difatti presente anche in questa serie molto humour, sebbene diminuisca quello di stampo più macabro. Continuano invece gli esperimenti di metafumetto, partendo da Rohan il mangaka per passare ad uno Stand che utilizza le onomatopee per combattere.