Tsubomi Hanasaki è una ragazzina estremamente timida, riservata e insicura con la passione dei fiori e del giardinaggio, che si trasferisce in una nuova città con i genitori e la nonna, desiderosa di fare nuove amicizie a scuola.
Determinante sarà l'incontro con Erika Kurumi, che è invece il suo esatto contrario: chiassosa, indiscreta, dispotica, vive in una famiglia dove tutti, lei compresa, coltivano in un modo o nell'altro il sogno della moda.
Per quanto agli antipodi, le due ragazzine sono destinate a cementare una grande amicizia, aiutate anche dal fatto che si ritrovano improvvisamente a condividere lo stesso destino.
L'incontro con Cypre e Coffret, due folletti legati al mistico Albero del cuore che regge il mondo, sconvolge infatti le due ragazzine, che si ritrovano a trasformarsi nelle due eroine Cure Blossom e Cure Marine e a dover difendere il mondo dalla minaccia dei perfidi Apostoli del deserto.

Prendete gli episodi 1, 8 e 9 della prima serie di Sailor Moon, invertendo però i ruoli di Usagi/Sailor Moon e Ami/Sailor Mercury e dunque rendendo la prima protagonista e la seconda coprotagonista. Fatto?
Anche la nostra Ami protagonista del 2010 sarà timidissima, impacciata, insicura e assolutamente inadatta ad essere un'eroina e/o una protagonista. Pensatela, però, non come una bella adolescente col fisico da top model e una sobria misa di capelli e abiti color blu, ma come una bambina in superdeformed coi capelli rosa e con un paio di occhialoni finti, che si trasforma in un'eroina dalle fattezze di un evidenziatore rosa semovente.
Di rimando, la coprotagonista, la nostra Usagi del 2010, sarà anch'ella un personaggio più aperto e solare che farà amicizia con la timida compagna di cui sopra. Pensatela, però, non come una bella adolescente col fisico da top model, ma come un'altra bambina in superdeformed dal carattere frivolo, infantile e superficiale, dalla voce irritante e capace di trasformarsi in un'eroina dalle fattezze di un evidenziatore azzurro semovente.
Alla saggia gatta Luna, nel ruolo dei mentori/mascotte delle eroine, sostituite due sgorbietti che parlano come studenti di lingua giapponese alle prime armi convinti che il verbo essere si possa inserire a sproposito come finale di qualsiasi tipo di frase. Fatto?
Ora rimaniamo sempre nell'ambito di Sailor Moon, ma spostiamoci alle sue terza, quarta e quinta serie, quelle dove i cattivi rubavano i cuori (o oggetti vari che comunque ne simboleggiavano l'essenza) delle persone, che, private di questi ultimi, si trasformavano in mostri (o mostri venivano creati a partire da oggetti a loro cari o vicini).
I nostri cattivi del 2010 hanno più o meno lo stesso obbiettivo: "rubare i fiori del cuore" delle persone, quantunque questi fossero appassiti per via dei problemi dei loro portatori, e usarli, fondendoli con oggetti, per creare versioni mostruose delle povere vittime, processo che porterebbe alla morte dell'Albero del cuore e dunque alla deserfiticazione del mondo.
Heartcatch Pretty Cure personaggi 1
Heartcatch Pretty Cure, settima incarnazione del popolare franchise Toei Animation trasmessa in patria fra il 2010 e il 2011, si potrebbe riassumere facilmente con una sola parola: irritante.
Un'irritazione che nasce già dalle prime immagini promozionali diffuse nei primi mesi del 2010, che già mostravano quella che è una delle più grandi pecche della serie: il disegno.
Dopo aver mantenuto uno stile di disegno più o meno uniforme per le prime cinque stagioni, Pretty Cure ha cambiato grafica con la sesta e lo cambia ancora una volta qui nella settima. Il character designer Yoshihiko Umakoshi (Ojamajo Doremì, Casshern Sins, Saint Seiya Omega) ci offre qui dei disegni decisamente sgraziati e sgradevoli all'occhio, troppo caricaturali e costantemente vaganti da un estremo all'altro: o sono troppo tondeggianti e infantili (ricordate le rotondissime ragazzine di Ojamajo Doremì? Ecco, gran parte dei nostri personaggi sono così) o troppo scheletrici e spigolosi (un esempio di questo stile di disegno si può notare in Saint Seiya Omega), senza riuscire a trovare quell'armoniosa via di mezzo che invece caratterizzava le serie precedenti.
In Heartcatch Pretty Cure tutto è deformato, dalle dimensioni e i corpi dei personaggi alle loro espressioni facciali.
Uno stile di disegno che senza dubbio ha del particolare, ma che, seppur buono per una serie tranquilla come Ojamajo Doremì, risulta invece sgradevole e totalmente inadatto a una saga come Pretty Cure, che pullula di momenti seri e/o drammatici o di combattimenti molto adrenalinici contro avversari di una certa possanza.
I colori, inoltre, sono estremamente accesi, eccessivamente uniformi e onnipresenti: nelle sequenze di trasformazione o attacco quasi non si distinguono i personaggi, nell'enorme massa rosa, gialla, azzurra o lilla che ammanta gli sfondi, i capelli, gli occhi, gli abiti, le armi o gli attacchi.
Le nostre eroine risultano così essere una sorta di evidenziatori semoventi disegnati in maniera stilizzatissima, che lottano contro dei nemici eccessivamente scheletrici o mostri pacchiani dalla caratterizzazione grafica piuttosto stilizzata.
Heartcatch Pretty Cure personaggi 2
Un Pretty Cure atipico non soltanto nel disegno, ma anche nella storia. Per una volta, niente dimensioni parallele con folletti da salvare, ma un'ambientazione terrena e una successione di guardiane che vengono scelte per proteggere l'Albero del cuore che regge il mondo in cui loro stesse abitano. Di per sé nulla di nuovo - nessuno ha mai letto il disneyano W.I.T.C.H.? - ma tutto sommato una novità per la saga delle guerriere Toei, che, salvo poche eccezioni, hanno sempre avuto una trama piuttosto basilare e sempre uguale a se stessa.
La trama di Heartcatch Pretty Cure è, invece, più elaborata, con qualche mistero che lascia un po' d'interesse nello spettatore e qualche colpo di scena nel finale.
Tuttavia, ci sono diversi problemi nel racconto della trama e nella caratterizzazione dei personaggi che rendono Heartcatch Pretty Cure una parentesi irritante e dimenticabile, i cui pochi pregi sono fortunatamente stati raccolti da serie successive meglio riuscite.
Tsubomi, la nostra protagonista, non è allegra, sportiva, mascolina o sicura di sé. E' anzi timidissima, imbranata, impacciata nelle relazioni umane e debolissima come guerriera (sin dal primo episodio, amici e nemici la prendono in giro per questo). Un timido bocciolo che in futuro sboccerà diventando un bellissimo fiore, come dice la sua image song "Future flower".
Poteva essere molto interessante vedere il processo della sua maturazione da timidissima e inutile ragazzina ad eroina salvatrice del mondo, ma Tsubomi rimane quasi del tutto immutata nel corso degli episodi, ferma nella sua insicurezza, e mai si ha l'impressione che si sia trasformata in un'affidabile eroina o che la supposta crescita personale che lei dice di aver compiuto sia stata mostrata in maniera chiara. E' un personaggio che, di base, farebbe anche un po' tenerezza, ma non riesce mai a spiccare, risultando piatto, fastidioso, senza mai avere l'epicità che avevano e avranno le altre protagoniste delle serie Pretty Cure. Di fronte ad un mostro cattivo che ha calpestato i sentimenti delle persone, le altre eroine Pretty Cure si sarebbero messe a urlargli la loro rabbia, a sollevarlo a mani nude o a rifilargli delle belle pizze, mentre Tsubomi gli sbuffa in faccia a mo' di Doremì, con tanti saluti alla supposta serietà o epicità del combattimento.
Un personaggio troppo poco incisivo, che non ha il physique du role adatto per reggere la scena da protagonista e rende perfettamente comprensibile il perché abbiamo avuto "Sailor Moon" e non "Sailor Mercury" o "Saint Seiya" e non "Saint Shun".
La spalla che potrebbe risollevare le sorti della serie, Erika, è, ahimé, ancor peggio di Tsubomi.
Infantile, modaiola, antipatica, non genera il minimo interesse nei suoi confronti e suscita soltanto istinti omicidi ad ogni parola pronunciata con la sua irritante voce. E' inoltre disegnata sempre in maniera deformed, con smorfie e occhioni di sorta, cosa che rende impossibile ottenere da lei una qualsivoglia minima parvenza di serietà, dote fondamentale per una guerriera che combatte mostri cattivi.
Leggermente meglio va, fortunatamente, con i due personaggi che entrano nel cast nella seconda metà della serie: un interessante miscuglio fra Sailor Jupiter e Uranus che risulta essere il personaggio più simpatico della serie, per quanto non bellissimo esteticamente, e una Sailor Venus senza demenzialità mista a una pornosegretaria saccente con gli occhiali da finta intellettuale, tanto seccante come personaggio in sé quanto, purtroppo, fondamentale per la trama della serie.
Non si possono elogiare, invece, i folletti, i più fastidiosi e anonimi di tutta la saga. Anche se, per dover di cronaca, va detto che un certo colpo di scena riguardante uno di loro è interessante e innovativo per la saga, per quanto fine a se stesso.
Heartcatch Pretty Cure personaggi 4
Gli avversari delle eroine sono un mashup riuscito male di vari cattivi delle serie di Sailor Moon. Sasorina, Kumojacky e Cobraja sono una sorta di Amazon Trio che però non fa né ridere né emozionare. Secchissimi e spigolosi esteticamente, pieni di fisse e tic che al massimo (e nel solo caso di Kumojacky) possono fare sorridere, non hanno alcuna evoluzione caratteriale, malgrado il tiratissimo finale della serie doni loro un superficialissimo e immeritato salvataggio in extremis, alla faccia dei vari Uraganos, Kintoresky, Moerumba e Shitataare delle serie precedenti che facevano morir dal ridere ma son stati uccisi senza pietà. Sul dottor Saabaku, un Soichi Tomoe più cattivo e anonimo, ben poco c'è da dire, tranne qualche telefonato colpo di scena che lo riguarda, nelle ultime puntate, ma che annega nell'anonimato insieme alla serie tutta, mentre Dune, il boss finale vero e proprio, è il peggior cattivone mai visto sinora nella saga delle Pretty Cure: un ragazzino belloccio, secco e noioso che non ha neppure la decenza di trasformarsi in un mostrone possente nel combattimento finale, limitandosi a diventare una pacchianissima versione gigantesca del suo secco e belloccio corpo di partenza.
Dark Pretty Cure, la demoniaca guerriera su cui gli occhi degli spettatori sono puntati sin dall'inizio, poteva invece donare grandi cose alla trama, ma si è preferito proseguire in una direzione differente, finendo per appiattirla e trasformare un personaggio che poteva dare molto in una darkettona sclerata che alla fine dice molto poco.

Se tutto sommato i combattimenti, grazie ad una buona resa delle animazioni, son carucci da vedere, purtroppo i mostri che fronteggiano le nostre eroine sono decisamente fastidiosi: brutti esteticamente, non fanno altro che lamentarsi, vomitando con voci distorte e lamentose i problemi e i disagi delle vittime dal cui cuore sono stati creati. Dei mostri, dunque, che, a differenza dei loro predecessori, suscitano più inquietudine e fastidio che divertimento.
Nonostante un certo quantitativo d'azione, esplosioni, colpi d'energia, pugnetti e calcetti dati da mani rotonde e piedi triangolari e una buona varietà negli attacchi, le Pretty Cure della serie Heartcatch risaltano molto meno rispetto alle loro colleghe delle prime serie, che in certi momenti sembravano forzuti lottatori di wrestling o eredi della Divina Scuola di Hokuto. Gli attacchi di Tsubomi e compagne, infatti, derivano da scettri e oggetti magici che lanciano semplici fiorellini colorati che portano il nome di improbabilissimi miscugli anglo-italiani.
Una debole simbologia che contrappone le due coppie terra/mare e sole/luna per quattro eroine che tutto sommato non lasciano troppo il segno né a livello elementale (Cure Marine ha il mare solo nel nome ed è basata sul colore azzurro, ma poi i suoi attacchi sono basati su fiori azzurri e non sull'acqua, quindi a che pro legarla al mare?), né nelle loro battaglie, sempre ammantate da quelle continue smorfie che vorrebbero far ridere ma non ci riescono, finendo per ammazzare sul nascere qualsiasi tentativo di epicità o dramma e per trasformare Heartcatch Pretty Cure nella demenziale e grottesca parodia di un majokko sentai, più che in un degno esponente del genere.
Heartcatch Pretty Cure personaggi 3
Non si può dire che l'universo narrativo di Heartcatch Pretty Cure sia vuoto, anche se il merito non va ai personaggi secondari della serie. Ad eccezione del solo Ban-kun, una sorta di Ikki di Phoenix con velleità da mangaka che rimanda graficamente a Shingo Araki e agli anime degli anni '70, il resto dei personaggi che affollano le vite quotidiane delle eroine (familiari o compagni di scuola) non hanno, infatti, grandi personalità e non riescono a farsi ricordare, non aiutati da uno stile di disegno che li rende sgradevoli, anonimi o troppo infantili già a prima vista.
La struttura della serie, incentrata su continui attacchi a vittime sempre diverse, permette, tuttavia, l'introduzione di decine di personaggi-comparsa differenti che vengono di volta in volta depredati dai loro cuori, occasione perfetta per raccontare ad ogni puntata le loro storie personali e quotidiane e i loro problemi. Si costruisce, dunque, un mondo che lo spettatore percepisce come vivo, ma che, di rimando, non è di granché interesse e non viene sfruttato nel modo giusto.
Si tratta dello stesso errore che, guarda un po', è stato commesso in passato in quell'Ojamajo Doremì a cui Heartcatch Pretty Cure deve tantissimo, ossia il dare troppo spazio alle comparse e alla risoluzione dei loro problemi, fagocitando uno spazio che andrebbe invece dedicato alle protagoniste. Si giunge, quindi, alla paradossale situazione in cui la protagonista Tsubomi non riesce a mostrare in maniera chiara il suo percorso di crescita e ad imporsi sulla scena perché il suo spazio è costantemente occupato da innumerevoli bambini lamentosi, gelosi del fratellino o della sorellina o in contrasto con i genitori per questo o quel motivo, innamorati imbranati, ragazz(in)e invidiose e via dicendo, la cui trattazione viene maggiormente approfondita rispetto a quella delle eroine. D'accordo che dare ancor più spazio ad Erika sarebbe stata una tortura per gli spettatori, ma almeno Tsubomi, la protagonista, poteva essere salvata dalla sua mediocrità.
Heartcatch Pretty Cure, nel suo incipit, cerca di rifare la prima serie, con due guerriere di carattere opposto che agiscono in tandem e fra cui si viene a creare un'intensa amicizia, ma quest'amicizia, costantemente esternata dalle due, non viene percepita dallo spettatore, che vede soltanto la povera Tsubomi perennemente tiranneggiata dall'invadente e irritante Erika.
L'arrivo di Cure Sunshine e Cure Moonlight ravviva un minimo la situazione, ma, se nel caso della prima c'è stato spazio per un'interessante trattazione del personaggio, la seconda, invece, pare fino all'ultimo un pesce fuor d'acqua, una tizia di passaggio per nulla inserita nelle dinamiche del gruppo che appare nel cast della serie giusto per tirarsela un po'.
Non aiuta il fatto che le ragazze non abbiano un interesse sportivo, che il loro unico hobby sia stare a creare vestiti nel loro club di moda (un interesse molto più frivolo rispetto a un club sportivo o di interesse culturale) e che, contrariamente alle serie precedenti, l'amore (inteso come affezione e interesse per l'altro sesso) sembra totalmente bandito dal cuore dei personaggi, salvo una fugace cotta di Tsubomi inserita solo a scopo comico e scoppiata - per forza di cose - in una bolla di sapone dopo tre o quattro puntate.

Heartcatch Pretty Cure mostriciattoli 1

Nonostante lo stile di disegno molto particolare e non propriamente bellissimo, Heartcatch Pretty Cure offre delle belle animazioni molto fluide e una certa spettacolarità nelle scene d'azione.
Molto buono è anche il comparto sonoro, con sigle orecchiabili e carine e una splendida colonna sonora orchestrata ad opera di un bravo Yasuharu Takanashi, il quale farà riecheggiare molte note dei brani di Heartcatch Pretty Cure in molte sequenze delle serie successive. Peccato per l'inspiegabile riciclo di alcuni pezzi appartenenti alla precedente serie Fresh Pretty Cure, che stonano tantissimo nell'insieme, e per il fatto che delle musiche così belle, anche epiche in parecchi casi, risultino spesso e volentieri sprecate per accompagnare scene di trasformazione da pigiama party in cui due ragazzette ridacchiano spruzzandosi addosso un profumo in uno sfondo fatto da fiorellini colorati.
Molto carino l'uso di molti brani cantati, anche di pregevole fattura, in sottofondo alle scene più importanti. Fra questi spiccano l'emozionante e allegra "Heart goes on", riutilizzata più volte e con ottimi risultati, e diversi pezzi eseguiti dalle doppiatrici delle protagoniste. I quali, comprensibilmente, possono ora belli o orecchiabili (come nel caso della splendida "Gekkou - Moon attack", eseguita dalla doppiatrice di Cure Moonlight), ora completamente inascoltabili, se il microfono vien dato alla doppiatrice di Erika.
Il doppiaggio originale è uno degli elementi meno riusciti della serie, nonostante la presenza di numerosi professionisti: la tanto decantata Nana Mizuki, doppiatrice di Tsubomi, sembra abbia perennemente il raffreddore, mentre Fumie Mizusawa, la doppiatrice di Erika, le dona un tono fastidiosissimo, stonato e squillante, che non contribuisce di certo a migliorare le già basse quotazioni del personaggio. Oltremodo irritanti sono anche le voci dei folletti (soprattutto quella di Potpourri, che da bravo folletto "baby", storpia in maniera infantile e fastidiosa anche la sua desinenza-verso) e dei vari cattivi, che, di pari passo col loro aspetto fisico, sono un po' troppo fighette.
Fra tutti spicca la veterana Aya Hisakawa, star del genere majokko poiché sublime voce di Sailor Mercury, che però qui è sprecata, utilizzata su un personaggio troppo freddo e dal modo di parlare macchinoso e monocorde, supponente e privo di emozioni, che non permette alla sua voce di emergere più di tanto.

Heartcatch Pretty Cure mostriciattoli 2

Fortunatamente migliore dello stesso doppiaggio originale giapponese è la versione doppiata in italiano trasmessa sulla Rai, che si dimostra assai più piacevole all'ascolto, eliminando un gravoso problema della versione originale e riuscendo quasi a rendere simpatico il personaggio di Erika. Molti doppiatori che vi lavorano(Monica Bertolotti, Joy Saltarelli, Paola Majano o Leonardo Graziano, ad esempio) avevano già interpretato ruoli importanti in serie Pretty Cure precedenti, ma fanno comunque un buon lavoro e si registra un'inaspettata quanto piacevolissima comparsa da guest star del fuoriclasse milanese Davide Garbolino.
Dispiace che, invece, l'adattamento delle tecniche e delle trasformazioni sia stato realizzato con qualche sbavatura e che la trasmissione tv è stata altalenante nei palinsesti e ha persino invertito gli ultimi due episodi, rovinando agli spettatori la visione del finale della serie.

Questa settima serie è, dunque, un Pretty Cure "strano", "diverso", brutto in molti aspetti, pieno di eccessi e privo di una sua identità precisa: ogni tanto è una serie per un pubblico molto infantile, ogni tanto una serie che strizza di continuo l'occhio all'otaku contemporaneo; ogni tanto è comica e demenziale (o, perlomeno, ci prova: a parte qualche sparuta citazione, generalmente concentrata nel personaggio di Kumojacky, raramente si ride), ogni tanto diventa cupo e deprimente. I personaggi vengono sfruttati poco e male e non riescono a rimanere impressi, né a veicolare quei valori di coraggio, giustizia e forte amicizia che da sempre sono caratteristici della saga Pretty Cure, mentre il disegno e il doppiaggio contribuiscono ad affossarli completamente.
Una serie dalla trama di base tutto sommato interessante, per quanto non originalissima, ma penalizzata da personaggi non all'altezza, da un altalenante racconto della stessa e da uno stile di realizzazione sin troppo moderno e straniante, lontanissimo dalle precedenti serie della saga e fortunatamente, nonostante il successo commerciale riscontrato all'uscita, mai più riutilizzato in seguito (almeno per il momento), al contrario di alcuni escamotages narrativi che da Heatcatch Pretty Cure vengono ripresi e sfruttati meglio nelle storie di altre eroine successivi.
Rimane una serie piuttosto piacevole da guardare per il pubblico infantile a cui è principalmente indirizzata, che si godrà una storia ricca di tenerezza, fiorellini e di bei messaggi a lui consoni. Potrebbe piacere anche a chi è abituato alle serie recenti con protagoniste ragazzine dall'aspetto deformed e dalle vocette carine, ma chi invece identifica il genere delle maghette combattenti con le serie degli anni '90 e il loro stile molto garbato potrebbe restarne molto deluso. I punti più alti della saga Pretty Cure sono da ricercare altrove, che qui invece si tocca il fondo...