Riportiamo, dietro segnalazione dell'editore J-POP Manga, la prima parte dell'intervista al traduttore Marco Franca, realizzata con le domande poste dai lettori tramite la pagina Facebook.com/jpopmanga nell'ambito della rubrica #backstagediunmanga.
 
Le interviste di #backstagediunmanga: Marco Franca, traduttore

Marco Franca traduttoreConoscere le fasi di lavorazione dei nostri manga ma soprattutto le persone che lavorano alla realizzazione dei singoli aspetti editoriali: è questo l'obiettivo della nostra rubrica #backstagediunmanga, che si arricchisce oggi di un importante contributo con l'intervista a Marco Franca, traduttore.

Ciao Marco! Grazie per la tua disponibilità… che ne dici di iniziare raccontandoci un po' chi sei e qual è il tuo lavoro?


Ciao a tutti, sono Marco Franca e sono uno dei tanti traduttori che collabora con il Gruppo Edizioni BD. Da sempre appassionato di anime, sono ormai passati vent'anni da quando ho scoperto i manga e da quel momento non mi hanno mai abbandonato, facendomi appassionare al Giappone e a ogni aspetto della sua cultura, spingendomi addirittura a studiarne la lingua. Mi sono così iscritto alla facoltà di lingue all'Università Ca' Foscari di Venezia dove ho completato i miei cinque anni di studio, per poi perfezionarmi alla Waseda University di Tokyo, dove, in uno splendido e intenso anno di studi, ho potuto fare esperienza di quello che è la vita quotidiana in Giappone. Tra le serie che ho curato o curo dal 2009 a oggi per l'etichetta J-Pop figurano Devilman, le varie sage dell'universo di Mazinger, Ikkitousen, Saint Seiya Next Dimension, Liar Game, The Climber e tantissimi altri.
Per le prossime domande abbiamo scelto degli intervistatori d'eccezione: i fan della nostra pagina Facebook.com/jpopmanga.
I primi quesiti ci arrivano da Hiruma (dello staff di AnimeeManga): quali sono le maggiori difficoltà che trovi nell'adattare un manga in italiano? quanto è importante la conoscenza di cultura e tradizioni giapponesi nel lavoro di traduzione di un manga? 
Ciao Hiruma e un saluto anche a tutto lo staff! La parte di adattamento, vale a dire tutti gli accorgimenti che si vanno a operare per rendere più fruibile la traduzione cercando di veicolare l’intenzione e lo spirito originale delle battute (a discapito di una fedeltà letterale), è probabilmente una delle cose più laboriose: quando ci si imbatte in giochi di parole, canzoni/poesie in rima, ecc. bisogna infatti sforzarsi di crearne altri ex-novo in italiano che siano simili agli originali, perché con una traduzione letterale verrebbero a mancare le condizioni alla base dell’intenzione dell’autore (come la rima o l’assonanza tra due parole per creare malintesi…). Occorre dunque essere molto creativi e tante volte ci si può impantanare anche ore a pensare mille soluzioni per quella che in originale era un’unica parolina. Io mi sforzo sempre di presentare alla persona propriamente incaricata dell’adattamento finale dei testi almeno due o tre opzioni, in modo che si possa operare una scelta per il compromesso migliore. Al di là di queste difficoltà, ci sono anche aspetti divertenti dell’adattamento, come la traslitterazione dei nomi stranieri: in giapponese ovviamente i nomi occidentali o di fantasia vengono scritti usando un alfabeto fonetico (il katakana) sulla base della pronuncia finale del nome stesso; con l’alfabeto latino, invece, sappiamo che non c’è necessariamente una perfetta identità tra grafia e pronuncia (basti pensare all’inglese o al francese), quindi quando ci si trova davanti a un nome occidentale bisogna pensare a quale grafia può essere più giusta e si fanno in rete ricerche spesso molto interessanti per scoprirne i riferimenti o l’origine e si finisce per apprendere un sacco di curiosità. Faccio un esempio: quando in Devilman ho trovato il nome di Sirène (trascritto “shireenu”) ho scoperto che in giapponese aveva la stessa grafia del termine francese per indicare le sirene, gli esseri mitologici dell’antica Grecia con il corpo di uccello e la testa di donna. Mi è sembrato quindi logico preferire questa traslitterazione tra le tante che circolano anche in Giappone sui prodotti di merchandising, perché anche in linea con una delle idee del manga: l’uomo ha creato le rappresentazioni del diavolo e dei vari mostri sulla base dei demoni del manga, antecedenti all’uomo stesso… quindi all’interno della storia di Devilman le sirene dell’Odissea e degli Argonauti potrebbero essere state immaginate partendo proprio da questo personaggio metà uccello e metà donna (che non dovrebbe essere un’arpia come spesso si legge, dato che il termine non è riportato una sola volta in tutta la storia). 
La conoscenza delle cultura e delle tradizioni direi che è basilare: basti pensare alle gag o ai giochi di parole che si trovano spesso, per i quali l’autore si affida alla cultura generale del lettore, senza esplicitare per non perdere l’effetto delle battute. Il traduttore deve quindi fare da tramite tra questa cultura e il pubblico occidentale che non la conosce. Il manga nasce per il mercato giapponese, quindi è normale che venga dato per scontato un codice che per loro è ovvio e naturale: spesso infatti i personaggi vengono fatti parlare con la mimica del corpo o pose particolari, lasciando che sia il disegno e non il testo stesso a chiarire la situazione; ad esempio, se vediamo un personaggio che forma una “X” con le braccia capiamo subito che sta dicendo “assolutamente no!” o “sbagliato!”; o se un ragazzo dice “ora esco” guardando gli altri con sguardo malizioso e mostrando il pugno chiuso con il solo mignolo sollevato, capiamo che vuole far sapere che sta andando dalla propria fidanzata. Oltre a questi aspetti che sono parte integrante della comprensione del testo e della traduzione, ci sono poi tutti quei termini che fanno parte della tradizione e che nel 99% dei casi non hanno un corrispettivo in italiano e che quindi il traduttore deve illustrare tramite note esplicative a margine per permettere al lettore italiano di comprendere al meglio i dialoghi. Alla fine tutti gli elementi legati alla cultura giapponese presenti nei manga portano con sé un significato (anche solo per definire il background della storia o dei personaggi) e diventano parte del testo.
Kaneda è curioso di comprendere come avviene il lavoro di traduzione di un manga in generale (stesura delle frasi, confronto con la lingua giapponese, difficoltà di riportare frasi in italiano senza perdere la sfumatura giapponese). 
Ciao Kaneda, il processo di traduzione si snoda in diverse fasi. Innanzitutto si cerca di leggere quanto più possibile della storia, per avere un’idea chiara degli sviluppi e dei personaggi e non incorrere in errori o interpretazioni errate: il giapponese manca di genere e numero quindi quando vengono fatti riferimenti è sempre opportuno sapere cosa avverrà dopo per non sbagliare (ad esempio, se sento nominare per la prima volta un personaggio devo sapere se questi è un uomo o una donna per la concordanza dei pronomi). Una volta che si parte con la lavorazione vera e propria si inizia a fare il balloon placement, ovvero la numerazione a penna direttamente sul volume di tutte le pagine, tutte le battute e tutte le onomatopee: questo processo serve ai grafici e ai letteristi per inserire i nuovi testi in italiano nelle posizioni corrette, ma anche al traduttore e all’adattatore per avere riferimenti univoci sulle battute tradotte. Terminata questa fase, che è quella un po’ più noiosa, si può iniziare a tradurre e credo che ogni traduttore adotti modalità differenti: piuttosto che fare una prima bozza, solitamente io preferisco lavorare bene frase per frase, ma può capitare che la resa non mi convinca e a quel punto marco la frase nel file word su cui lavoro per poi tornarci in seguito; nella stesura delle frasi si cerca sempre di mantenere la massima fedeltà possibile, rispettando la pause e quando possibile l’ordine e la struttura delle frasi, ma la priorità deve essere ovviamente l’ottenere una battuta in un italiano fluido e naturale, senza troppe forzature. Così a volte si è costretti a fare qualche modifica (piccoli tagli ininfluenti su ripetizioni eccessive oppure esplicitare pronomi non presenti in originale). Ci sono anche alcuni autori che scrivono frasi infinite, con all’interno cinque o sei subordinate e in quel caso bisogna intervenire maggiormente, spezzando il testo originale o addirittura ribaltandolo per rendere la frase italiana leggibile. In pratica bisogna sempre trovare il miglior compromesso: a volte ci si riesce con grande soddisfazione, a volte meno, ma stiamo parlando di due lingue molto differenti a livello sintattico, quindi è normale. L’importante comunque è mantenere l’idea della frase di partenza, vale a dire porre gli stessi accenti voluti dall’autore. La parte di traduzione è sicuramente quella più complessa e che richiede maggiore tempo. Una volta terminata, si può passare alla revisione del testo prodotto: qui si rileggono le battute per limarle e renderle più scorrevoli, si cercano i refusi, si controlla che i registri linguistici dei personaggi e le rese dei termini siano sempre coerenti tra loro, si controlla di aver segnalato tutte le note, gli italici, i grassetti, le differenze nei font, ecc. Sono veramente tante le cose a cui prestare attenzione per ottenere un prodotto di qualità, quindi io preferisco sempre lasciar passare almeno una notte tra la conclusione della traduzione e l’inizio della correzione, perché leggendo i dialoghi a distanza di un po’ di tempo si può fare tabula rasa nella propria testa e trovare sempre soluzioni migliori, nonché notare dimenticanze o errori che leggendo subito di getto potrebbero venire sorvolati. Terminato il tutto, si invia per mail il proprio file e tramite corriere il tankobon originale con il balloon placement e la lavorazione passa così nelle mani dell’adattatore e del grafico.
Marco invece si chiede: quanto tempo ti viene dato per tradurre un volume? esiste una specie di standard o dipende dalla quantità di dialoghi/pagine? E ancora qual è stato il dialogo/frase così legato alla cultura giapponese o ad un gioco di parole comprensibile solo in giapponese che ti ha fatto esclamare: "Ok, adesso che cavolo scrivo"?
Ciao Marco, non ho tempistiche estremamente rigide sui tempi di traduzione, ma cerco sempre di consegnare un lavoro a settimana: a volte mi può capitare ovviamente di metterci molto meno, altre volte la traduzione mi richiede dei giorni in più, ma dipende dal numero e dalla complessità di battute contenute.
Passando invece alla seconda domanda, se devo essere sincero al momento non saprei proprio eleggere il gioco di parole più diabolico che abbia incontrato. Per le frasi così legate alla cultura giapponese da essere difficilmente traducibili si tende spesso a ricorrere a note esplicative, mentre con i giochi di parole è più difficile, in quanto devono mantenere una certa immediatezza e comprensibilità. Sicuramente c’è stata più di un’occasione in cui un gioco di parole mi ha fatto impazzire, ma in qualche modo se ne viene sempre fuori: quando ci sono queste situazioni lascio sempre una nota per l’adattatore, spiegando tutto nei minimi dettagli e lanciando delle proposte; qualora invece non si trovi una soluzione si può sempre ricorrere a una nota, ma è un po’ come una sconfitta, perché si spezza il ritmo della lettura.
Giulia vorrebbe sapere quanto difficile è stato il corso di studi che hai intrapreso per diventare traduttore. Impegnativo? e magari anche costoso? 
Ciao Giulia, per diventare traduttore io mi sono semplicemente laureato in lingue e letterature straniere (triennale+magistrale): ho seguito quindi un corso di studi piuttosto ordinario, ma esistono anche corsi di laurea appositi per chi vuole studiare tecniche di traduzione e che offrono tutti gli strumenti specifici per diventare professionisti del settore. Sfortunatamente però credo che in Italia non ne esistano per diventare traduttori letterari proprio di lingua giapponese (anche se potrei non essere aggiornato)… Sicuramente chi ha studiato per diventare interprete e traduttore ha maggiori competenze specifiche, ma penso che dipenda molto anche dalla persona: se si è precisi, scrupolosi e si padroneggia un buon italiano, è possibile imparare il mestiere direttamente lavorando. L’importante è avere una buona conoscenza di entrambe le lingue con cui si va a lavorare: ad esempio, io ho frequentato un corso intensivo di lingua giapponese della durata di un anno direttamente a Tokyo, per migliorare le mie conoscenze e perfezionarmi. Quando si fanno questi corsi bisogna studiare veramente tanto perché i professori ti mettono un po’ sotto torchio per farti apprendere veramente il più possibile e farti sfruttare al meglio l’occasione. Oltretutto le lingue sono in continua evoluzione, quindi per tradurre manga che sono spesso rivolti a un pubblico giovane occorre leggere veramente tanto per mantenersi sempre aggiornati sui neologismi, slang o contrazioniPer i costi direi che in Italia, a livello di università, rientrano nella media, però ovviamente poi occorre investire sulla propria istruzione andando in Giappone e studiando là. Ovviamente vivere all’estero non è particolarmente economico, ma se si ha un visto e un po’ di intraprendenza non è impossibile per uno studente trovare un lavoro part-time e aiutarsi con le spese.
Rimanendo su questo tema Elettra scrive: da futura traduttrice (si spera) e attualmente studentessa di giapponese all'Università vorrei chiederti quale sarebbe l'iter da intraprendere per completare i propri studi in Giappone; è stato molto impegnativo ottenere un anno di studio all'estero? Come ci si presenta , da traduttori, alle case editrici?
Ciao Elettra, fortunatamente studiare in Giappone sta diventando sempre più facile: credo che ormai tutte le università italiane abbiano instaurato rapporti con scuole o università giapponesi per permettere ai propri studenti di trascorrere un periodo di studi all’estero più o meno lungo in cui dare esami di lingua che vengono poi riconosciuti anche in Italia. Per quanto riguarda la mia esperienza, io ho fatto domanda per un posto annuale in un’università di Tokyo con un bando interno al mio ateneo: solitamente i posti assegnati tramite concorso (quelli per lunghi periodi) sono pochi, quindi viene fatta una selezione meritocratica tra gli applicanti. Usufruire di queste possibilità permette di poter accedere alle costose università giapponesi senza pagare tasse aggiuntive (come se fosse un Erasmus, ma senza ovviamente le sovvenzioni europee mensili per vitto e alloggio, che sono tutte a tuo carico) o per lo meno con prezzi notevolmente agevolati, e ti rende molto più semplici gli iter burocratici, in quando vengono veicolati e seguiti dalla tua stessa università. Altrimenti è sempre possibile pagarsi un corso di lingua nelle tante scuole per stranieri in Giappone: ce ne sono tantissime che offrono lezioni per ogni livello e in ogni periodo dell’anno. 
Per proporsi a una casa editrice basta invece inviare il proprio curriculum vitae: per farlo, consiglio però di avere almeno una certificazione linguistica di buon livello o l’attestazione di un periodo di studi prolungato in Giappone in modo da avere maggiori chances di venire richiamati. Se il CV viene ritenuto interessante, la casa editrice solitamente sottopone l’aspirante traduttore a un test chiedendo di tradurre un blocco di pagine da uno dei propri manga, in modo tale da poter valutare la conoscenza del giapponese, l’abilità nel riscrivere dialoghi in italiano e la capacità di attenersi con precisione alla regole editoriali preventivamente illustrate (punteggiatura, formattazione, segnalazione dei diversi font, ecc.).
Ne approfitto poi per farti un in bocca al lupo per lo studio della lingua giapponese e per il tuo futuro da traduttrice!
E con questo augurio a Elettra, chiudiamo la prima parte della nostra intervista a Marco. Ci rivediamo mercoledì con la seconda parte… a presto!