L'edizione online del quotidiano spagnolo El País commenta le 'conseguenze' educative del passaggio televisivo del sempiterno Doraemon sulla TV iberica, visto dall'occhio di un papà giornalista, 'preoccupato' per i messaggi che l'anime incentrato sul gattone spaziale veicolerebbe ai suoi pargoli, fan sfegatati della serie.

Doraemon - El Pais

L'articolista spagnolo esordisce categoricamente: «I miei figli – di tre e sei anni – si sono appassionati a Doraemon, serie animata giapponese. Tuttavia, io la odio».
L'autore del pezzo passa poi in rassegna le caratteristiche della storia, descrivendo Doraemon come «un gatto del futuro che risolve i problemi mediante artefatti magico-tecnologici», e fin qui nulla di trascendentale. Si potrebbe storcere un po' il naso di fronte al paragone tra il gattone ed Harvey Keitel del tarantiniano Pulp Fiction, ma... guarda e passa, direbbe il poeta.
Non va meglio a Nobita, descritto come «il bambino più codardo e pigro del teleschermo. Il suo obiettivo vitale è evitare ogni sforzo, specialmente se si tratta dei compiti o dei lavori domestici. Se non può sfuggire alle proprie responsabilità, Nobita frigna e si dispera, ma non affronta mai i problemi».
Evidentemente, segnaliamo, l'intento pedagogico non è al primo posto nella storia ideata dal duo Fujiko Fujio, piuttosto c'è l'eco del concetto giapponese d'indulgenza (amae); tuttavia, si può dire che Doraemon cerchi di aiutare Nobita ad affrontare con maggior fiducia le sfide dell'infanzia, superando gli ostacoli rappresentati dalla competitiva vita scolastica ed extrascolastica (bullismo, richieste di docenti e genitori, i 'turbamenti' del primo amore per Shizuka).

In ogni caso, per il giornalista 'c'è del marcio in Doraemonarca': «Tra il gatto e il bambino esiste un conflitto: Doraemon sospetta che Nobita non lo ami davvero, che voglia solo approfittarsi dei suoi poteri». Più duramente aggiunge: «La lezione fondamentale della storia è: “Non darti affanno per la tua vita. Meglio far finta di essere amici di qualcuno che sistemerà i tuoi guai”». E poi, incalzando, sostiene che la serie «presenti aspetti ancor più deleteri». Dal modello pedagogico a quello sociale, sembra non ci sia appello per la 'Weltanschauung' di Doraemon. Ad esempio «il suo modello di famiglia. Dovrebbe essere una famiglia futurista, eppure sembra uscita dal XIX secolo. Il padre è un perdigiorno unicamente occupato a leggere il giornale, pronto solo a sollecitare la moglie riguardo alla cena e a lamentarsi della pulizia della casa. La madre fa il bucato e alleva la prole, senza allontanarsi mai dalla propria abitazione. Ho provato a chiedere a mia figlia di tre anni:

– Che fa la mamma di Nobita?

– Cucina.

– Che fa il padre di Nobita?

–Fuma.

– Che fa Nobita?

– Piange.

Edificante, vero?»


La 'sferza' del giornalista iberico si abbatte anche sugli altri bambini: «Nobita ha due amici: il bullo e il ricco (Gigante e Suneo nella versione spagnola). Il primo si dedica a spaventarlo, picchiarlo e a rubargli le merendine. Il secondo si vanta dei suoi averi e non li vuole prestare. Nobita vive invidiando la forza del primo e il denaro dell'altro, e a volte, con l'aiuto di Doraemon ovviamente, riesce a rubare e ingannare. Si tratta dei momenti più felici ed educativi».

«Non sopporto la morale di Doraemon, e questo si è capito. Ma i miei figli ne sono fan. Lo guardano mattina, pomeriggio e sera, perché, a quanto pare, non danno altro su quel canale». Alla faccia del canale tematico!
«Sono anche andato al cinema a vedere un film di Doraemon» (chissà se il papà è al corrente del fatto che in Giappone ne sfornano uno all'anno... meglio non dirglielo!). Eppure, Doraemon funziona meglio di una baby-sitter: «Anche se stanno mettendo la casa a soqquadro, alla vista di Doraemon si siedono sul divano, concentrati e ipnotizzati». Tanto che il giornalista deve riconoscerne a denti stretti il merito: «pur essendo un orrore etico, Doraemon è focalizzato sui desideri infantili». Perché, sostiene l'editorialista, «se hai tre anni, il tuo sogno più grande è quello di ottenere una macchina che faccia le cose al posto tuo». Freud non sarebbe d'accordo.

Una piccola considerazione finale: la Spagna, così come l'Italia, è uno dei paesi di più antica 'colonizzazione' da parte degli anime nipponici.
Nei tardi anni '70 la stampa cartacea e radiotelevisiva italiana si lanciò, come noto, in filippiche e requisitorie contro l'animazione giapponese (emblematico il 'caso Goldrake'), ma le polemiche, censure anni '80 a parte, sembravano essersi in seguito assopite, a fronte di una sempre maggiore penetrazione della cultura pop nipponica nel nostro paese e in Europa. Alcuni recenti interventi giornalistici sembrano contraddire questa tendenza.

Fonte consultata:
El País