Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi appuntamento libero, con gli anime Panzer World Galient e Wizard Barristers ed il manga Jeanne, la ladra del vento divino.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


Per saperne di più continuate a leggere.


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"Panzer World Galient" è un robotico di metà anni ottanta, realizzato da un cast di tutto rispetto: Ryosuke Takahashi alla regia, Kunio Okawara al mecha design, Norio Shioyama al chara design. Si tratta di un team ben rodato, che aveva già realizzato "Dougram" e "Votoms", e che non delude neppure in questa occasione. A differenza di quanto possono lasciar supporre il titolo e il curriculum del regista, Galient non è un'opera di fantascienza militare: i Panzer del titolo sono centauri corazzati in stile cavaliere medievale, con tanto di lancia. Il mecha design, così come tutto l'anime, è a metà tra classico e moderno: i robot combattono con spade e alabarde, ma anche con fucili e cannoni; e se da un lato vi sono i robot centauri, dall'altro vi sono dei mecha in stile quasi real robot; viene riciclata anche la scivolata su cuscini d'aria, come in Votoms. Al mecha design ha collaborato anche l'ottimo Yutaka Izubuchi, anche se non so esattamente di cosa si sia occupato; propenderei per i centauri, mentre Galient ricorda molto di più i robot di Okawara, in particolare il vecchio Daikengo, di cui sembra essere una versione aggiornata e molto più bella. Notevole anche l'idea della frusta che si trasforma in spada.

Galient ha vari richiami alla tradizione classica del robotico, basta pensare che i Panzer non vengono costruiti, ma rinvenuti dal sottosuolo, come relique di un'antica civiltà: il miglior modo per giustificare l'origine dei robot fin dai tempi di Mazinga Z. Inoltre dai personaggi si capisce facilmente che il target di pubblico di Galient è lo stesso di quello dei super robot tradizionali: basta pensare che il protagonista e pilota del robot, il principe Jordy, ha solo dodici anni. A differenza di Dougram e Votoms, Galient è un robotico molto più leggero, adatto soprattuto ad un pubblico giovane, anche se non rinuncia qualche strizzatina d'occhio ai ragazzi più grandi, specialmente nelle forme delle coprotagonista Hilmuka, donna matura e prosperosa che ben si presta a vari accenni ecchi a scopo umoristico. Ma del resto le donne prosperose sono un classico anche del robotico nagaiano, tutto regolare quindi. Dove Galient dimostra di essere un robotico degli anni ottanta è nel rifiuto del format tokusatsu: nel 1984 il buon vecchio mostro della settimana è caduto in disuso e Galient cambia lo schema narrativo da episodi autoconclusivi a storia continua, con cliffhanger sul finire della puntata che obbligano lo spettatore a vedere l'episodio successivo.

Per il resto è tutto tradizionale: le solite ambientazioni su pianeti rocciosi, principesse e guerrieri, super armi e navi spaziali, insomma tutto l'armamentario della science fantasy, fin dai tempi della Principessa di Marte di E. R. Burroghs (1911). Ingredienti che funzionano sempre e che insieme a un'ottima regia, una buona sceneggiatura, un ottimo chara design e belle opening e ending, con un sound tutto anni Ottanta, rendono Galient un anime assai gradevole da seguire. Si difende bene rispetto ai robot in onda negli stessi anni, serie leggere come Xabungle, L-Gaim e anche serie drammatiche come Votoms e Dunbine, se si tiene conto del target di pubblico giovanile e si usa quindi il metro corretto. Rispetto ai concorrenti dell'epoca risulta più veloce e meno ripetitivo, e questo grazie alla breve durata (25 episodi, un'eccezione in tempi in cui 52 episodi erano la norma). L'unica pecca che posso riscontrare è nel finale, che lascia presagire una grande spettacolarità (entra in gioco l'antichissimo Eraser, un'arma spaziale in grado di annichilire interi sistemi stellari) ma che si chiude invece in maniera troppo sbrigativa lasciando lo spettatore a bocca asciutta. Per questo non mi sento di arrotondare il mio 7,5 a un 8, anche se ne sarei tentato. È comunque una serie che consiglio, da riscoprire.


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Questo bellissimo manga di Arina Tanemura, conosciuta ai più per la sua opera "The Gentlmen's Alliance Cross", è una perfetta storia di magia e sentimenti.
La storia è ben sviluppata, accompagnata da bei disegni puliti, dettagliati e curati. La trama è originale, grazie a trovate narrative che evitano la banalizzazione dell'elemento magico, così usuale nei manga e negli anime odierni. Basti pensare che la protagonista, la dolce Maron, è in realtà la reincarnazione di Giovanna d'Arco. Questo crea un insolito background narrativo che comporta una serie di rimandi al passato davvero imperdibili e determinanti a donare quell'alone di mistero che imperversa e rende ancora più speciale tutta la storia.
L'autrice, in una dolcissima postfazione, afferma che la cosa che le sta più a cuore nel suo mestiere è lasciare qualcosa ai lettori, suscitare emozioni e far si che le sue storie siano da input a un nuovo modo di vedere le cose. In questo manga tutto ciò è possibile. Trattare tematiche sacre e profane è un po' un arma a doppio taglio ma la mangaka è riuscita in pieno, a mio parere, a donarci il suo particolarissimo punto di vista del mondo divino, della creazione dell'uomo ecc. Questo perché il tutto è trattato con una sensibilità estrema, che aiuta sicuramente a farci pensare più che a dare una vera e propria lezione da accettare e basta.
La presenza dell'elemento magico è accompagnato da conflitti emotivi dei più vari, ed è proprio a questo proposito che i personaggi sono ben delineati caratterialmente. Ognuno di loro ha un vissuto alle spalle complicato e misterioso, fitto di segreti e sogni nascosti. Ed è proprio questa voglia di scoprire cosa si cela dietro quelle che sono ad esempio delle facciate, oppure cosa si cela dietro i misteri che provengono da mondi lontani e che accompagnano e sconvolgono le vite dei personaggi, che si mantiene alta l'attenzione del lettore, nonostante tante spiegazioni alquanto contorte, dovute all'originale chiave interpretativa dell'autrice.
Inizialmente avevo molti pregiudizi su questo manga. Un po' forse pensando in una somiglianza, o peggio in una "scopiazzata" di quello che è il manifesto del manga/anime majo shojo degli anni '90, Sailor Moon. Beh mi sbagliavo! Quest'opera richiama quelle atmosfere indimenticabili, una nostalgica come me della mitica "guerriera che veste alla marinara" non può che esserne felice, ma senza mai cadere nel cliché. È un'opera brillante e originale. Sicuramente non vi deluderà!


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Cosa potrebbe mai succedere se in un mondo come quello degli X-Men piombasse di botto la magia come la conosciamo magari da Fairy Tail? Beh, come prima cosa i "mutanti" non si chiamerebbero più così ma sarebbero direttamente i "maghi". E tutto ciò già senza tenere in conto che, ovunque e ogni volta che si mettono di mezzo quelli di Fairy Tail, sicuramente ben presto ci sarà un gran casino.
E già con queste ultime parole potremmo sintetizzare cosa è Wizard Barristers: Benmashi Cecil, progetto ambizioso e ultima fatica di Yasuomi Umetsu (Kite Liberator) qui alla regia, al character design, alle animazioni, al soggetto originale, al trasporto del caffè e anche allo svuotamento pattumiere. Uno "one man show" insomma...

Egli ci racconta di un mondo in tutto simile al nostro ove le divinità (o la cattivissima evoluzione, non si sa...) appiopparono agli uomini la magia con poteri che si risvegliano random durante l'umana esistenza. Temuti e discriminati, i maghi vivono per lo più celando i loro poteri, guai anche solo a usarli per difendersi o sono volatili per diabetici.
Ma non tutto è perduto: ultimo baluardo dei maghi contro le catene dell'opprimente (in)giustizia sono i Benmashi, gli avvocati magici, che difendono gli accusati innanzi alla corte. Tra questi c'è anche Cecil Sudo, la più giovane Benmashi di sempre, divenuta tale per scagionare la madre da anni soggiornante nelle patrie galere.

Wizard Barristers in effetti inizia subito in quinta marcia, quasi a mostrare subito tutto quello che ha a disposizione. Tronfio, aggressivo, quasi pulp e lanciato come il treno in corsa che apre il primo episodio, ci mostra subito uno scontro "a fuoco" tra la polizia e un mago criminale in fuga: sparatorie, palle di fuoco, morti, feriti, il treno che deraglia e spacca tutto, il criminale che viene infine catturato e poi processato e arrostito in quattro e quattr'otto. Il tutto realizzato con grande dispendio di mezzi tecnici che si manifestano in sequenze d'acrobatica regia, animazioni fluide come l'acqua e tanti effetti speciali. Onestamente però il pensiero è stato: "Ah, se Fairy Tail l'avessero fatto con queste animazioni...", ma questa è un'altra storia.
Passata l'orgia di azione viene il momento dell'entrata in scena della protagonista Cecil, che va a esordire nel suo primo giorno allo studio legale Butterfly, e qui bisogna dire che l'impatto non è proprio dei migliori: la ragazza pare sfrontata e spudorata (non nel senso che mostra le grazie però) oltre misura, ciononostante è ben voluta da quasi tutti i colleghi e tutto le si perdona. Ha dunque ben più di un motivo l'altra neo assunta Hotaru a indispettirsi un pelino, la si capisce pure.

Le successive puntate - nel frattempo però abbiamo assistito alla creazione con la magia di mega-mecha alti una decina di piani o quasi - sono dedicate a far conoscere meglio allo spettatore Cecil e gli altri avvocati della Butterfly nel mentre che hanno a che fare con alcuni casi. Ne viene fuori quindi un arco slice of life con elementi di pratica legal-magica. La cosa migliore di questa fase è sicuramente lo scoprire che la prima impressione avuta su Cecil magari era sbagliata, poiché la ragazza pare dimostrare essere anche simpatica e di avere più umiltà di quanto non sembrasse inizialmente.
Degli altri legalisti magici invece che si può dire? Beh, stanno al loro posto a svolgere il loro ruolo di supporto senza mai emergere troppo. Hachimitsu e il vecchietto sono i più interessanti; gli altri (Hotaru a parte che emerge più avanti) sono e restano non pervenuti, specialmente "le tre grazie" Moyoyon, Tsunomi e Sasori (tra l'altro sarebbe interessante abbinarle alle altre e più famose "Grazie"), cui compito è di spargere in ogni dove battute sconce e soprannomi improponibili nonché inutili da ricordare.

Due parole le spenderei poi sul character design adottato, uno dei tratti distintivi del regista Umetsu. Pare bello a una prima occhiata, poi, una volta fattoci l'occhio, può apparire bruttino assai. Al contempo però, se all'occhio può sembrare brutto, nel minuto successivo potrebbe abbellirsi improvvisamente. Non si può dire certamente che non sia in sé originale, ma produce anche un effetto molto strano. Luci e ombre, due lati della stessa medaglia.

Un riflesso che, praticamente, si ha anche nella serie stessa in cui, dopo le buone luci avute nella prima metà, pesanti ombre si vedono incombere nel suo cammino verso la conclusione.
Molti elementi e particolari vengono introdotti nel corso dell'arco finale, ma purtroppo molti di questi saranno destinati a non avere approfondimento alcuno. La situazione "svacca" largamente al penultimo episodio, misteriosamente (ma neanche tanto) ridotto a un "picture drama" che rovina sia qualsiasi pretesa di epica che, alla fin fine, anche di riuscita generale della serie, in quanto ne esce rovinato il fondamentale climax. La puntata finale che fa (velocemente) da coda e conclusione si riprende abbastanza dal punto di vista tecnico, ma ormai la frittata era fatta.

Più in generale è proprio l'idea del contesto di discriminazione e semi-conflitto tra umani e maghi ad essere buttato lì tanto per (oltre ad esse più o meno scopiazzato da X-Men), senza che gli fosse dato il dovuto approfondimento. Probabilmente dodici episodi saranno stati anche pochi per dare spazio a tutto, ma è anche vero che la storia si sarebbe potuta mettere in scena senza scomodare impegnative premesse da divisioni "razziali". La stessa storia della protagonista Cecil appare confusa e non molto ben delineata.
Indubbiamente il famigerato episodio 11 pesa molto sul giudizio finale, però l'impressione sostanziale è che gli autori abbiano voluto esagerare mettendo dentro troppe cose. E hanno esagerato anche con i mezzi impiegati all'inizio, visto che poi si devono essere trovati senza fondi causando tutto quello che si è visto.
Un'occasione sprecata dunque, poiché c'erano delle buone premesse come storia e come mezzi che erano disponibili. Mal che vada i nostri Barristers ricorreranno in appello.