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Adotta un titolo 1Adotta un titolo 2Titoli poco conosciuti, passati in sordina all'epoca dell'uscita o dimenticati col tempo... su AnimeClick.it abbiamo migliaia di schede anime e manga senza alcuna recensione, privando quindi i lettori di uno dei principali punti di forza delle stesse.
Per cui, ad ogni appuntamento di questa rubrica vi proporremo alcuni di questi titoli, con la preghiera di recensirli qualora li conosciate. Tutti gli utenti che recensiranno le opere proposte entro la scadenza assegnata riceveranno l'icona premio Scheda adottata. Per le regole da seguire nella stesura delle recensioni rimandiamo al blog apposito, che vi preghiamo di utilizzare anche per commenti, domande o tenere traccia dei premi (non commentate l'iniziativa in questa news).

I titoli al momento disponibili sono:

[ANIME] Mitsuwano (Scadenza: 28/1/2015)

[MANGA] Astroboy Remake (Scadenza: 1/2/2015)

[ANIME] Gugure! Kokkuri-san (Scadenza: 4/2/2015)


Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi appuntamento libero, con gli anime L'attacco dei giganti, Mashiro-iro Symphony The Color of Lovers e Ao Haru Ride.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


Per saperne di più continuate a leggere.


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Una breve ma doverosa premessa prima di iniziare a dar fuoco alle polveri: non ho familiarità alcuna col manga di Isayama. Ne conosco la trama, ma non le modalità, ragion per cui potrei involontariamente attribuire all'anime - che comunque mi risulta abbia avuto la sua benedizione - dei difetti non suoi. Ciò detto, una parolina per chi, trovandosi nelle medesime condizioni, temesse di non essere sufficientemente preparato alla visione di questo suo parziale adattamento animato: non correte pericolo di venir lasciati indietro, perché non solo i personaggi principali ne sanno meno di voi, ma la narrazione procede a un ritmo che definire bradipesco è farle un complimento, con tanto di riassunti a prova di pesci rossi, eyecactch espositivi - gli unici davvero interessanti - e supercazzole pseudo-esplicative come se fosse antani. Sì, insomma, 'na goduria. Un atto di tafazzismo in venticinque comode rate. Ma la cosa che ti fa davvero esclamare: "Oh, rabbia!" è che al di là di questi inspiegabili e reiterati tentativi di rovinarsi con le sue stesse mani questo "Shingeki no Kyojin" un suo perché ce l'ha. Cos'aspetti a tirarlo fuori è un mistero - l'ennesimo e senza ombra di dubbio il più snervante di tutti. Ma magari la colpa è mia che ho sbattuto le palpebre una volta di troppo e mi sono persa il momento.

Da cent'anni l'umanità vive entro i confini di tre alte cerchie di mura: Maria, Rose e Sina. Questo esilio tutt'altro che volontario si deve alla comparsa dei Giganti, misteriose creature perlopiù non iscrivibili tra i "soggetti senzienti e pensanti" (cit.) il cui unico scopo si direbbe quello di far di noi povere formichine ambiziose il loro fiero pasto. Si vive bene, in questa gabbia dorata multistrato; non proprio equamente, certo, ma se non altro le mura sono abbastanza alte da tener fuori i mostri. Ma per confortevole che possa essere una prigione rimane una prigione, e a Eren Jaeger di far finta che vada tutto bene proprio non va. Che ne è della sovranità dell'uomo? Che ne è del mondo là fuori? Ma soprattutto, chi l'ha detto che questa sorta di tregua armata durerà per sempre? La risposta a quest'ultima domanda non si farà attendere a lungo: la città di Shingashina, propaggine meridionale del Wall Maria dove vive il ragazzo, viene presa d'assalto dai Giganti, l'arrivo dei quali coglie in contropiede sia la popolazione che, cosa ancor più grave, il cosiddetto Corpo di Guarnigione, intitolato a proteggerla. Sopravvissuto per un pelo alla mattanza, a seguito della quale ha perduto la madre, Eren giura vendetta ed entra nell'esercito assieme agli amici Mikasa e Armin. Il suo obiettivo è quello di diventare un membro del Corpo di Ricerca, specializzato nel combattere i Giganti nel loro territorio allo scopo di contenerne l'avanzata e acquisire nel contempo quante più informazioni possibili sul loro conto.

In realtà questo è più che altro un antipasto di quel che andremo effettivamente a vedere, perché dei cinque anni che intercorrono tra l'offensiva dei Giganti su Shingashina e la fine dell'addestramento di Eren e compagni ci viene mostrato ben poco: qualche (buona) riflessione di gundamiana memoria sulle brutture della guerra, un paio di scazzottate tra reclute, fiacche strizzatine d'occhio a "Full Metal Jacket" - con il Sergente Hartman che dall'aldilà ricambia con uno sputo -, siparietti comici che c'entrano come il cavolo a merenda, salti temporali di comodo e una caratterizzazione dei personaggi molto all'acqua di rose. Poi iniziano gli scontri coi Giganti e da lì in avanti è una melina continua. Per interi episodi ci si agita sulla sedia per l'irritazione di essere costretti ad assistere a scene dilatate fino all'inverosimile, con Eren che cincischia mentre attorno a lui amici e colleghi cadono come mosche. Panico? Rigurgiti di pacifismo? Macché: non c'è nulla che lo renda più felice di pestare i Giganti tipo acini d'uva. E li pesta, eh? Eccome se li pesta. Ma prima che entri in azione ci vuole una vita, cosa che specialmente nella seconda parte causerà ai suoi commilitoni ancora più problemi di quelli dovuti dalla sua natura di cane sciolto. La spiegazione che viene data in-universe, e cioè che ha bisogno di un motivo, rivela tutta la sua volatilità durante l'arco del Gigante Femmina (chi sarà mai "El Barto"?), di cui nemmeno l'Avvocato Messina di Fiorello potrebbe mai assumere la difesa; ciononostante ci vorrà del bello e del buono per convincere Eren a fare qualcosa, come se in precedenza non avesse dato prova di poter scattare per molto meno. E no, non si tratta di character development, quanto piuttosto di vaghi sprazzi non contestualizzati di umanità.
Qual è il problema, mi domando? La troppa o troppo poca fedeltà al manga? Un numero troppo esiguo di capitoli da adattare? È vero che stiamo parlando di un titolo a cadenza mensile, ma non mi pare che la carne al fuoco gli faccia difetto. E allora perché questo stillicidio? Non è uno slice of life, questo. Non è di arrivare in ritardo a scuola o di farsi notare dal senpai di turno che questi ragazzi si devono preoccupare, ma della loro stessa vita. E non è facendoli parlare gli uni addosso agli altri - quanti di coloro vengono provvisti di favella, cioè - che se ne delinea la psicologia.

Ecco, appunto, la psicologia dei personaggi. Del terzetto principale l'unico a salvarsi è Armin, che magari sarà anche un po' piattola, non dico di no, ma se non alto ha cuore, oltreché testa. Mikasa invece non sarebbe malaccio se solo non fosse così ridicolmente efficiente nei combattimenti e interessata unicamente a Eren, le cui evidenti turbe psichiche - non è un'iperbole, quel ragazzo ha veramente qualcosa che non va ai piani alti - non sembrano impensierirla affatto. Molto "meh" anche i loro compagni di brigata, eccettuati Annie, Marco e Jean, l'unico nel quale sia ravvisabile il compimento di un qualsivoglia percorso. Per quanto riguarda gli ufficiali è inutile dire che quello che spicca maggiormente è il capitano Levi, ma sono tanti quelli che meritano una menzione speciale, dal suo superiore Smith a Rico del Corpo di Guarnigione passando per Hanji, che pur mostrando un entusiasmo decisamente fuori luogo per il suo mestiere rimane uno dei personaggi più caritatevoli e facilmente accessibili in circolazione. Nel complesso poteva andare peggio, ma la mancanza di un protagonista-eroe - non sono la stessa cosa, non mi stancherò mai di ripeterlo - si fa sentire in maniera oserei dire drammatica: non si può esserlo soltanto a targhe alterne, non in un mondo tanto crudele e bisognoso di qualcosa, o meglio qualcuno, in cui poter credere.

Alla regia ritroviamo Testuro Araki, e già da questo ci si può fare un'idea di ciò a cui andiamo incontro; in una parola, anzi, tre, spacconate a non finire. Sia chiaro, non è un male, anche perché una storia di questo tipo di presta molto bene allo scopo. Il problema sono i continui cali di tensione a cui va soggetta la sceneggiatura. "Ma almeno così il budget è salvo, no?". Eh, mica tanto. Passi qualche espressione infelice di tanto in tanto, passino un paio di sequenze non proprio ispirate, ma il riciclo no, quello mi fa girare le scatole. Il character design è un pelino incostante, ma tutto sommato abbastanza ben fatto; quanto ai Giganti, in generale rendono bene l'idea, ma alcuni, come quello moe e il sosia di Freddie Mercury, risultano improbabili anche per gli standard di questo show.
Io ho seguito il doppiaggio giapponese, e devo dire di averlo trovato piuttosto interessante. Ho apprezzato in particolar modo Marina Inoue nei panni di Armin e l'accoppiata Ono-Kamiya su Erwin e Levi, ma mi sento di promuovere un po' tutti, non foss'altro che per ricompensarli di tutti gli sbadigli immeritati. Tuttavia il vero fiore all'occhiello del comparto tecnico è l'OST, variegatissima e di un'espressività più unica che rara; molto adrenaliniche le due opening, sofisticata la prima ending, ampiamente collaudato ma ben riproposto il concept della seconda.

Per concludere, per me che prima ne conoscevo soltanto i meme un pregio quest'anime ce l'ha, vale a dire che mi ha fatto venire voglia di dare un'occhiata anche al manga. Ma a che prezzo, Frits mio d'oro, a che prezzo!



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"Mashiro-iro Symphony: The Color of Lovers" è una commedia scolastico/sentimentale (anche harem ci aggiungerei) uscita nell'ormai lontano 2011, ma che, ancora oggi, presenta caratteri innovativi e, tutto sommato, originali. Detto questo non voglio affermare chissà che cosa riguardo quest'anime che, comunque, rispetta i canoni del genere scolastico-sentimentale, raccontando le vicende di un gruppo di studenti liceali alle prese con le solite questioni d'amore.
Il fattore harem è un'aggiunta carina, anche se, più che un vero e proprio harem, si tratta di una guerra di cuori verso un solo ragazzo, il "povero" Shingo Uryū.

Quest'ultimo fa parte, insieme alla sorella Sakuno Uryū e all'amico d'infanzia Hayata Mukunashi, di un piccolo gruppo di studenti che, a causa di problemi economici della loro scuola, vengono scelti come rappresentanti per un nuovo progetto di unificazione con un altro liceo, quest'ultimo strettamente femminile e dedicato alle ragazze di alta classe. Come appare subito evidente, l'integrazione non sarà così facile e, tra le più ostili avversarie, ci sarà Airi Sena, figlia del preside e fiera sostenitrice dell'indipendenza della sua scuola. La bella ragazza mostrerà subito un atteggiamento ostile nei confronti di Shingo, aggravato, tra l'altro, da una serie di incomprensioni che porteranno il giovane studente a essere etichettato come pervertito. La situazione sembra irrisolvibile? Tutt'altro, perché Sena, pian piano, mostrerà dei sentimenti molto più profondi verso il nuovo studente, così da scombussolarle ancora di più i pensieri. Amore, odio, cosa sceglierà? Shingo però non demorde ed entra a far parte di un club molto particolare, dove si assistono gli animali in difficoltà, accudendoli, curandoli e nutrendoli fino a che non saranno capaci di ritornare alla vita selvaggia. Qui troverà altre ragazze, tra cui la peperina Sana Inui e la bella e candida Miu Amaha, verso cui, tra l'altro, Shingo proverà subito una forte attrazione.

Termino qui il riassunto della trama perché, da questo momento in poi, toccherà a voi scoprire cosa succederà. Le giornate passano tranquille, ma, in fondo, neanche tanto, vista tutta la tormenta d'amore che circonda il povero ragazzo. Proprio riguardo questo argomento vorrei fare una precisazione: Shingo non è un completo idiota in fatto di ragazze. Come spesso succede in una commedia harem, il protagonista sembra non aver mai visto una fanciulla e tanto meno fatto un discorso con questa; bene, in questo caso Shingo mostra una certa cura nei confronti del gentil sesso, mostrando atteggiamenti che, se proprio non possono essere considerati galanti, almeno non sono da completo ignorante. In aggiunta, lui stesso prova dei sentimenti verso Miu e, come potrete vedere voi stessi, questi andranno a scontrarsi con le emozioni provate dalle altre ragazze che lo circondano.
Il carattere dei vari personaggi è ben curato e, nonostante vengano riproposti, almeno in parte, i soliti cliché dell'animazione, questi non sembrano pesare sulla storia e, tanto meno, assumere tratti demenziali. Ogni ragazza ha un proprio sentimento e lo vive in modo diverso, anche se, devo ammetterlo, proprio non sopporto il "siamo amiche e rivali in amore, aiutiamoci a vicenda". Forse questa è l'unica cosa che proprio non son riuscito a mandar giù (avverrà tra Sena e Sana).

La grafica è carina e anche i disegni non sono male, mantenendosi sullo standard di quegli anni. Vorrei fare una precisazione sui colori che, come lo stesso titolo annuncia, sono molto candidi e delicati, non assumendo per nulla quelle tinte forti presenti in molte commedie, bensì mantenendosi su tonalità più morbide e "sinfoniche".
Le musiche sono buone e anche il doppiaggio è fatto in maniera più che discreta.

In conclusione non mi rimane altro che farvi la solita raccomandazione di guardare voi stessi l'anime e poi giudicarlo secondo vostri criteri. Una recensione è personale e, inevitabilmente, varia a seconda di chi la scrive. A me "Mashiro-iro Symphony: The Color of Lovers" è piaciuto e ho voluto comunicarvi queste mie sensazioni. Ora tocca a voi giudicarlo, tenendo ben presente di non fermarvi su preconcetti, negativi o positivi che siano. Dunque... buona visione.

Voto finale: 7



4.0/10
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Il primo amore non si dimentica mai. Anche se non ha avuto modo di realizzarsi, il primo amore non si dimentica. Questa verità piomba come una falce sul collo di Yoshioka Futaba, quando fra i corridoi del liceo che frequenta incontra il ragazzo che alle scuole medie aveva fatto battare il suo cuore. Dopo il divorzio dei genitori, Tanaka Kou si era infatti trasferito improvvisamente, privando Futaba di un confronto. Il destino a volte combina le cose in maniera sapiente: due anime che si erano quasi arrivate a toccare, si reincontrano e di nuovo si ritrovano a un passo l'una dall'altra. Stavolta, però, non solo lui ha cambiato cognome e si chiama Mabuchi, ma si ripresenta in maniera completamente diversa da come lei lo ricordava. Se in un passato non troppo remoto Futaba era riuscita a sfiorare il cuore di Kou, ora si ritrova a dover ricominciare da capo la sua conoscenza, perché di quel ragazzo sorridente, timido e gentile che alle medie l'aveva conquistata, ad oggi è rimasto ben poco. O forse è solo un muro quello che vede, un muro che cela alla vista un generoso giardino? Passo dopo passo, lentamente, Futaba spera di ritornare a quell'unico che li separava allora...

Ao Haru Ride. Aoharaido. Ao Haru RAID. Sì, come il repellente per la fastidiosissima piaga estiva delle zanzare. Fastidiosa tanto quanto la tendenza dello shoujo contemporaneo di nascondere dietro drammi psicologici e lutti familiari una vuotezza di contenuti, pari solo alla trita dimensione scolastica che si trascina dappresso i suoi svariati cliché. Incuriosita dall'enorme successo che il manga sta riscontrando in Giappone, e nel suo piccolo anche in Italia, ho cominciato la visione di A un passo da te in estrema libertà di giudizio, anche se il mio buon senso, che all'epoca mi portò a lasciare sullo scaffale della fumetteria il primo volumetto, mi continuava a lanciare un campanello d'allarme. E avevo visto giusto! Cercavo una storia d'amore innovativa, che portasse una ventata di aria fresca nel panorama dei manga sentimentali degli ultimi anni, ed invece di nuovo non c'è proprio niente. La storia di Io Sakisaka, che lo studio Production I.G, già conosciuto per aver trasposto in animazione il manga di "Kimi ni todoke", ha mandato in onda per quest'estate 2014, ha la presunzione di inserirsi nella scia di quei manga introspettivi, che attraverso lo scandagliamento della psiche di un personaggio puntano a trasmettere un messaggio profondo legato ai malesseri dell'uomo. Con un protagonista maschile dalla personalità introversa, molto spesso scaturita da un trauma passato che ha incanalato la crescita verso un atteggiamento schivo, diffidente ed estremamente indipendente, e una protagonista femminile solare, ingenua, semplice, che spesso vede nella fermezza del partner un modello di forza da seguire, Aoharaido non ha detto nulla di più al di là di quello che già altri anime prima di lui hanno detto. Soprattutto le cose che ha detto le ha trasmesse in maniera semplicistica e superficiale. A volte non mi spiego il ricorso a situazioni drammatiche eccessive nell'ambito di una love story d'ambientazione scolastica, al solo scopo di dare una parvenza di spessore in più all'opera in questione. Sembra quasi che attualmente non si riesca a comunicare un messaggio positivo e la bellezza di un rapporto senza dover per forza usufruire di topos come la perdita di una persona cara per malattia, situazioni di bullismo al femminile che provocano difficoltà nella creazione futura di amicizie sane, oppure amori trasversali fra sistemi che la società vuol vedere separati tipo quello insegnante e alunna, o divorzi che si lasciano dietro una scia di incomprensioni e problematicità nell'adattamento. In un periodo della vita, quello adolescenziale, che già di suo vive l'amore con ansie, frasi fraintese, sentimenti inespressi, esagerate emozioni, in un vortice di impulsi che solo in quell'età riesci a percepire prepotente, perché occorre ficcarvici ulteriori tensioni e tristezze? Si può descrivere un sentimento d'amore anche senza andare a pescare un personaggio dal vaso di Pandora, perché non sono le esperienze dolorose in sé a caratterizzare la bellezza di una storia, ma è il modo in cui queste vengono affrontate e la maniera con cui esse sono inserite che fanno la differenza. E sicuramente Ao Haru Ride non centra quest'obiettivo.

Va molto lontano anche dall'avere dei personaggi validi. Lasciamo da parte Kou, sul quale non mi va di infierire perché, purtroppo per lui, l'autrice ha scelto di fargli vivere una delle peggiori sofferenze che la vita può porre in quell'età davanti ad un ragazzo, e per la medesima esperienza di vissuto confermo che ti forgi il carattere quando ti colpiscono lutti del genere in tenera età. Ma su Futaba non transigo! La crescita che il suo personaggio ha avuto nel corso della serie, se crescita si può definire, è scaturita quasi interamente dagli input che le mandava Kou, in una condizione che vede la donna condotta per mano dall'uomo, come se non fosse capace di riflettere e decidere da sola. Col suo atteggiamento infantile e superficiale, non solo ferisce più e più volte i suoi amici, ma persevera negli errori in maniera esasperante, per cui ogni cosa che dice o fa in seguito, seppur giusta, può risultare falsa, perché tardiva, perché non spontanea. Inoltre viene fatta passare come la ragazza ingenua e imbranata, alla quale si può perdonare tutto perché non ci pensa, perché non lo fa con quell'intenzione, non ha malizia, quando invece in altri contesti è fin troppo disinvolta nel pensare male delle amiche, nel provare gelosia, nell'invadere con presunzione lo spazio altrui avanzando giudizi. E' pur vero che durante l'arco dedicato a Kou, ossia quello finale dell'anime, mostra l'incipit di una prossima maturità, ma non sono sicura ci sarò quando si deciderà a concludere il suo ciclo. Tuttavia, ammetto che con Kou sta portando avanti un discorso interessante, ma che sono convinta l'autrice massacrerà con l'intromissione di terzi incomodi, da parte maschile e da parte femminile, che rovineranno quel poco di buono che i due protagonisti hanno costruito alla fine di questa serie, conducendo la storia in un baratro di triangoli amorosi di cui il mondo può benissimo fare a meno. Sui personaggi secondari non mi soffermo perché sono di una banalità sconcertante.

Tecnicamente l'anime non è niente di eccezionale. Il chara design è passabile, non riesce a riprodurre appieno il tratto di Io Sakisaka, e per ossimoro le animazioni sono statiche, in un'ambientazione, quella scolastica, che già di suo è fortemente stereotipata. La colonna sonora non lascia un'impronta e il doppiaggio non è niente di così indimenticabile, pur se ho gradito la versione cupa di Kaji Yuuki nei panni di Kou. A conti fatti, è stato positivo che ho avuto modo di guardare prima l'anime, perché mi si sono fugati tutti i dubbi che mi avevano fatta titubare nel momento dell'acquisto del manga, che poi ovviamente non è più avvenuto. Anzi no, un dubbio mi resta. Come è possibile che le persone che si lamentano dell'andamento negativo degli shoujo manga sono le stesse che assecondano questo tipo di storie? Eppure pensavo che a tutti piacesse un mondo senza zanzare...