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Adotta un titolo 1Adotta un titolo 2Titoli poco conosciuti, passati in sordina all'epoca dell'uscita o dimenticati col tempo... su AnimeClick.it abbiamo migliaia di schede anime e manga senza alcuna recensione, privando quindi i lettori di uno dei principali punti di forza delle stesse.
Per cui, ad ogni appuntamento di questa rubrica vi proporremo alcuni di questi titoli, con la preghiera di recensirli qualora li conosciate. Tutti gli utenti che recensiranno le opere proposte entro la scadenza assegnata riceveranno l'icona premio Scheda adottata. Per le regole da seguire nella stesura delle recensioni rimandiamo al blog apposito, che vi preghiamo di utilizzare anche per commenti, domande o tenere traccia dei premi (non commentate l'iniziativa in questa news).

I titoli al momento disponibili sono:

[MANGA] Koudelka (Scadenza: 20/5/2015)

[ANIME] 
Midori no neko (Scadenza: 24/5/2015)

[MANGA] 
Dominion Conflict One (Scadenza: 27/5/2015)

[LIVE] Bokura ga ita (First Movie) (Scadenza: 31/5/2015)

Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi ci dedichiamo ai live action, con gli anime Saikano, 13 assassini e The Taste of Tea.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


Per saperne di più continuate a leggere.


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Strana merce i "live action" tratti da una serie animata di successo: non sai mai cosa aspettarti, si passa dai film che cavalcano l'onda del successo ottenuto grazie ad altri che hanno fatto il lavoro sporco (la conquista del pubblico), al lampo di genio del regista che, condensando in un tempo ridotto le emozioni trasmesse dalla serie, riesce a farti rivivere i momenti più intensi senza obbligarti a rivederla. Se poi l'artista riesce a creare una parte inedita che rispecchia l'idea alla base dell'opera originale, ha fatto un piccolo capolavoro: tutti si chiederanno come mai quelle scene non sono state incluse nella serie principale.
Il film tratto da Lei, l'arma finale, purtroppo, sembra più vicino alla prima delle opzioni. Forse il mio giudizio è influenzato dal fatto che ho adorato la serie, ma per buona parte del film sono rimasto piuttosto deluso: cambiamenti nell'ordine degli eventi e l'omissione (o la citazione molto superficiale) di parti molto intense dell'anime mi hanno dato l'impressione di trovarmi davanti a qualcosa di "tirato via". Solo il finale e la bellezza degli effetti speciali mi hanno convinto a non buttare nel cestino questo film; la sensazione finale è stata comunque di una certa delusione.

Piccola introduzione per chi non ha visto l'anime: Chise è una ragazzina goffa, imbranata e timida che, come tante liceali, ha una tenera storia d'amore con uno dei suoi compagni di scuola. Quello che Shuji - il suo fidanzato - e il resto del mondo ignorano è che Chise, in realtà, è un cyborg messo a punto dall'esercito giapponese per distruggere gli invasori che mettono sotto assedio la nazione. Chise si trova così combattuta tra il suo ruolo di arma di distruzione di massa e la sua natura di ragazza dolce e innamorata, mentre ci vengono mostrate le atrocità di una guerra che semina morte e distruzione contro la quale gli uomini sono del tutto impotenti.

La fantascienza, genere di base del film, richiede l'uso massiccio degli effetti speciali: senza di questi scene come quelle dei combattimenti o i momenti in cui Chise si trasforma in un'arma non avrebbero senso. Sotto questo punto di vista il film è perfetto, le sequenze dove gli aerei nemici attaccano le città sono estremamente credibili e coinvolgenti; anche le scene in cui le ali metalliche di Chise spuntano e crescono dalla sua schiena sono tecnicamente perfette, la fluidità è impressionante e si ha quasi l'impressione di rivedere le scene dell'anime. Lei, l'arma finale, però, è anche una serie sentimentale e psicologica: questi due aspetti richiedono tempi più lenti, che permettano allo spettatore di riflettere sulle scene che passano davanti ai suoi occhi. Nel film, purtroppo, questi momenti sono appena accennati: chi non ha visto l'anime si perde buona parte del coinvolgimento emotivo che si prova durante la visione degli episodi.
Una pecca molto più grave, a mio parere, è quella di aver eliminato del tutto alcuni dei passaggi che portavano con sé momenti molto intensi e commoventi: la caccia al pilota nemico sperduto sulle montagne, la drammatica sequenza dove Akemi (l'amica del cuore di Chise) è la protagonista, le due settimane di pausa dalle attività dell'esercito che Chise si concede per stare insieme a Shuji... so che per esigenze di tempo diventa necessario ridurre i tempi dedicati alle varie scene, ma eliminare del tutto quelle più caratteristiche lascia un gran senso di smarrimento in chi sperava di ritrovarle nella versione recitata dagli attori.
A proposito di questi ultimi: non mi sono sembrati particolarmente espressivi, soprattutto nei momenti in cui la storia assume connotazioni decisamente drammatiche. Non so se questa è una caratteristica comune agli attori orientali, ma le espressioni sostanzialmente neutre dei vari personaggi non hanno reso giustizia ai momenti più intensi.
Le ambientazioni presenti nell'anime sono riprodotte in maniera piuttosto fedele nel film; il belvedere dove si incontrano spesso Shuji e Chise e il panorama sottostante sono sovrapponibili alle immagini viste nella serie. Molto buona la colonna sonora, soprattutto nella parte che accompagna le scene dell'ultima mezz'ora del film: le musiche sono molto dolci, perfette per rendere il clima di disperato romanticismo dell'incontro tra i due protagonisti.
Il finale è sicuramente la parte più riuscita del film. È un approccio diverso agli eventi che portano alla conclusione dell'anime, frutto della fantasia del regista, che non stonerebbe all'interno della serie. Molto toccanti gli ultimi minuti in cui Shuji trova, nel deserto, la struttura metallica che costituisce una delle ali (o l'armatura) di Chise: difficile non lasciarsi sfuggire una lacrima in uno dei momenti più sentimentali della pellicola.

Luci e ombre per questo film: non me la sento di consigliarlo a chi non ha visto l'anime, perché rischierebbe di non capire molte delle cose che vengono narrate. A chi ha amato la serie suggerisco di non aspettarsi una trasposizione fedele della storia, di mettersi il cuore in pace se non vedrà alcune delle parti più intense e di avere pazienza per gustarsi un finale che, da solo, vale il prezzo del biglietto.




7.0/10
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A volerne fare un sunto, 13 assassini è il live action della saga videoludica Samurai Warriors, che vede pochi guerrieri farsi valere contro centinaia di nemici. In realtà questo film, diretto da Takashi Miike, è il remake di un omonimo film del 1963, mai giunto in Italia. Il mio rapporto con i film di Takashi è particolare. Dopo aver apprezzato Audition e dopo essere andato in fissa per Ichi the Killer, l'ho scoperto il regista più fiacco tra i tre che hanno partecipato al film collettivo Three... Extremes e poi sono rimasto decisamente deluso da quello Zebraman che non sono neanche riuscito a concludere. Inoltre ho sempre collegato la prolificità alla scarsa qualità, quindi mi sono lentamente allontanato dalle produzioni di Miike.

L'incipit è particolare. A dieci minuti dall'inizio del film ho chiesto alla mia ragazza se ci stesse capendo qualcosa, ricevendo un secco "no" come risposta. Effettivamente questo film è destabilizzante per chi non ha dimestichezza con la storia Giapponese e non solo, in quanto c'è una carrellata di termini e nomi propri che rendono confusionaria la trama. Se poi aggiungiamo i personaggi tutti vestiti uguali e con lo stesso taglio di capelli, la situazione si rende ancora più ardua. Ma se riuscite a resistere alla botta iniziale, presto vi sarà chiaro tutto: "c'è un tizio molto cattivo e bisogna ucciderlo". Tutto fumo e niente arrosto quindi, ma dal momento che non si poteva riempire un'ora di mazzate, si è deciso di aggiungerne un'altra di preparazione. Se da un punto ne capisco l'esigenza, da un altro continuo a chiedermi se non fosse possibile ridurre il minutaggio rendendo il film più veloce e avvincente, oppure ancora utilizzare la prima metà per approfondire i 13 assassini, dato che solo la metà di loro ha un (lieve) accenno di caratterizzazione.

Un'altra particolarità di 13 assassini è il suo stile. Se da una parte ci sono scene estreme e altre che rasentano il trash per quanto sono tamarre, da un'altra parte abbiamo un'eleganza e una semplicità tale da togliere perfino alla morte qualsivoglia teatralità, rappresentandola nella sua forma più vera e triste. Nella grande orgia di botte finale il bene e il male finiscono per mischiarsi fino a rendere la missione dei protagonisti privi di senso, finendo inglobata dallo scorrere ciclico del tempo. 13 assassini non cerca di colpire regalando emozioni, anzi, cerca di eliminarle per darvi un altro punto di vista. Crea un sottile muro tra l'opera e lo spettatore, anche grazie al suo stile asciutto che mi ha ricordato Kurosawa. Trattandosi del remake di un film mai giunto in Italia, è difficile capire quanto di Takashi c'è in quest'opera, se si tratta di una mera trasposizione o di una rivisitazione in chiave personale, ed è quindi anche difficile imputare meriti e difetti al regista. Quello che si può dire di 13 assassini è che tutto sommato ha un suo stile e che pur durando due ore riesce a farsi vedere. Ovviamente la visione è consigliata agli amanti dei film d'azione e combattimento o meglio ancora dei film di samurai.




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Gli Haruno vivono in una modesta casa di campagna nella periferia di Tokyo. Insieme formano una famiglia che, sì, potremmo definire normale, ma che, nella sua variegatura, fa di ogni suo componente un vero e proprio personaggio: il papà, che di professione fa l'ipnoterapista; la mamma, una disegnatrice che ha seguito le orme del genitore, uno 'sprintoso' e carismatico nonnetto, con qualche rotella ormai fuori posto; il timido figlio maschio adolescente, che si è perdutamente invaghito di una neo arrivata compagna di classe (come nel più classico degli anime scolastici); e una femminuccia, che in casa parla meno di tutti poiché è sempre immersa nei suoi pensieri, imbronciata, per colpa di quei piccoli grandi problemi che gli adulti non possono capire; c'è poi lo zio, un tipo strano, che lavorava come fonico, ma che adesso trascorre il tempo ad oziare; mai eccentrico quanto un parente fumettista con la tendenza a scrivere canzonette di dubbio gusto. A fare da contorno troviamo figure minori, alcune delle quali piuttosto grottesche, che si affacciano e riaffacciano nelle vite dei protagonisti, in un modo che sembra del tutto casuale, ma che è assolutamente in sintonia con la narrazione.

Il "Sapore del tè" è un titolo che rappresenta esattamente le sensazioni che la visione del film garantisce: un po' dolci, un po' amare, quotidiane, che conosciamo e che ci appartengono (nel nostro caso ci vedremmo meglio il caffè). Come è da sacra tradizione giapponese bere il tè, tradizionale, pur nella sua stravaganza, è l'impianto familiare che ci viene ritratto. È il 2004 quando Katsuhito Ishii si accinge, con grande personalità, a dirigere la sua terza pellicola cinematografica. L'esito ottenuto è un ritorno alle atmosfere, ai temi (famiglia, contrasto campagna-città ecc.), alle inquadrature ferme e dilatate, del cinema di Ozu, che abbellisce con spruzzate di surrealismo pop - sia scenico sia visivo - armoniosamente inserite nella quotidianità. Ma soprattutto garantisce un'esperienza rilassante e a tratti elegiaca per lo spettatore, accolto in una dimensione intima che sfiora la memoria sensoriale, spesso col solo ausilio di un'immagine o di un suono. D'altronde la fotografia e il sonoro danno adito agli splendidi scenari, che parlano da soli, di comunicarci tutte le sensazioni di cui abbiamo bisogno, limitando i movimenti della macchina da presa. Particolare (ma non perfetto) è l'utilizzo di effetti grafici abbastanza cartooneschi, che spuntano qua e là a voler sottolineare l'alone surreale che avvolge il racconto.
Nonostante la condizione di estraneità e di leggero spaesamento che è facile provare in partenza, Ishii è bravo a far sì che ci riconosciamo, a poco a poco, in almeno uno dei protagonisti, o in una fase della vita, o in una delle piccole abitudini, che li caratterizzano.

A far respirare aria di casa ci pensano anche le buonissime prove attoriali di quasi tutto il cast. Fra i volti noti spicca quello di Tadanobu Asano, nei panni dello zio "vagabondo", di ineccepibile bravura anche in questo frangente, sebbene di fatto non si veda moltissimo; da segnalare poi due inaspettate presenze, che mi hanno perfino strappato un sorriso: il primo, famigerato Susumu Terajima, che ormai mi sono rassegnato a identificare come "quello che fa lo yakuza in ogni film giapponese che vedo", e che porta avanti la tradizione anche qui, pur comparendo in poche sequenze; il secondo è un signore che per gli anime-fan non avrà bisogno di presentazioni, ovvero Hideaki Anno, qui nei panni di regista, o meglio, proprio nei suoi panni. Non a caso l'argomento "anime e manga" viene proposto più volte nel corso del film (memorabile anche la scena degli otaku in treno), difatti Katsuhito Ishii è anche un animatore affermato. Valide le interpretazioni dei tre giovanissimi: Takahiro Sato nei panni del riservato Hajime, Anna Tsuchiya (che si farà conoscere anche con "Kamikaze Girls", lo stesso anno) come compagna di banco, e la dolce Maya Banno, classe '96, a impersonare la piccola Sachiko.

Passato in rassegna a Cannes e vincitore di numerosi premi in patria e all'estero, "Cha no Aji" è sicuramente uno dei film contemporanei nipponici che più ricorderò con piacere. È una commedia/slice of life certamente atipica ma intrisa di sensazioni comuni, un'opera che elegantemente mescola la poetica del minimalismo alla fantasia del weird (che contaminerà ampiamente il successivo lavoro del regista, "Funky Forest"). Fino ad ora avevo accostato il termine "slice of life" soltanto ad opere d'animazione, ma credo che in questo caso calzi proprio a pennello. Un film che non teme il peso della sua durata, bensì una visione estremamente delicata, leggera. Come il cuore di un bambino che dopo aver raggiunto un primo, piccolo grande obiettivo nella vita, può finalmente lasciarsi andare a un sorriso liberatorio e spensierato. Un sorriso che oltrepassa lo schermo e ci contagia, durante e dopo i titoli di coda.