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Adotta un titolo 1Adotta un titolo 2Titoli poco conosciuti, passati in sordina all'epoca dell'uscita o dimenticati col tempo... su AnimeClick.it abbiamo migliaia di schede anime e manga senza alcuna recensione, privando quindi i lettori di uno dei principali punti di forza delle stesse.
Per cui, ad ogni appuntamento di questa rubrica vi proporremo alcuni di questi titoli, con la preghiera di recensirli qualora li conosciate. Tutti gli utenti che recensiranno le opere proposte entro la scadenza assegnata riceveranno l'icona premio Scheda adottata. Per le regole da seguire nella stesura delle recensioni rimandiamo al blog apposito, che vi preghiamo di utilizzare anche per commenti, domande o tenere traccia dei premi (non commentate l'iniziativa in questa news).

I titoli al momento disponibili sono:

[SERIAL] Smallville (Scadenza: 1/7/2015)

[MANGA] Toki, il santo d'argento (Scadenza: 5/7/2015)

[ANIME] L'incantevole Creamy - Il ritorno di Creamy (Scadenza: 8/7/2015)

[LIVE] 
Calling You (Scadenza: 12/7/2015)

Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi appuntamento libero, con gli anime Remì senza famigliaThe Ideon - Be Invoked e Mushishi zoku shou.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


Per saperne di più continuate a leggere.


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Remì, ti senti felice o infelice in questo momento? Pensaci, voglio una risposta precisa.
Non... non lo so proprio.
E' una risposta giusta. Purtroppo non possiamo mai saperlo. Se tu pensi alla tua felicità di una volta, allora ti capita di sentirti infelice adesso. E se invece ti senti felice adesso e pensi di essere stato infelice in passato, questo vorrebbe dire che non sai cosa sia la felicità. Sai ragazzo, da questo villaggio è uscito un uomo che un giorno diventò Re. Non voleva essere povero, e così si mise a lavorare sodo, e combatté, e uccise molti nemici, e alla fine diventò il Re di Napoli. Ma quell'uomo una volta mi disse che rimpiangeva i giorni in cui era un semplice ragazzo di paese. Non mi disse il perché, ma io lo sapevo benissimo.
Non possiamo cambiare il destino di una persona, né il suo passato né il suo presente, e non sappiamo se è felice o no.
- Vitalis si rivolge a Remì.

Il vecchio e misterioso Vitalis, un comico viaggiante dallo sguardo penetrante e vissuto, parla così della felicità a Remì, un orfanello acquistato in un piccolo paese della Francia per pochi denari. Racconta una storia parlando anche della sua vita, del suo passato, fornendo alcuni indizi a quell'innocente essere che in quel momento lo sta guardando con gli occhi sgranati per l'ammirazione. Il racconto di Vitalis, in un certo senso, è la summa del loro viaggio; il viaggio di due comici che insieme a dei cani e a una scimmietta si esibiscono per le strade dei paesi della Francia al fine di racimolare qualche moneta buttata in terra; buttata lì, così tanto per, da qualche passante; buttata qualche volta con indifferenza, qualche volta per pietà, qualche volta per compensare il talento di quei due poveracci - quel vecchio autoritario e dall'animo nobile che una volta aveva conosciuto il Re di Napoli, e quel bambino ripudiato con ferocia dal padre adottivo. E' impossibile determinare quale potrà mai essere il destino di quei due mesti buffoni, i quali sono altresì figure estremamente tragiche nel drammatico circo che è la vita. Vita che nel viaggio di Remì viene esplorata sino in fondo: l'amicizia, la crescita, la gioia, la verità, la menzogna, la sofferenza, la disperazione. Ci sono momenti di gioia estrema, come quando si viaggia sul Cigno, l'imbarcazione della dolce Signora Milligan, una nobildonna fiera e gentile che porta in giro per la Francia il suo figlioletto malato; oppure momenti di solitudine, di angosciosa tristezza; delle contingenze che farebbero perdere la speranza a chiunque. Ma la cosa che certamente rende il viaggio di formazione di Remì un viaggio speciale sono le persone ch'egli incontra lungo il suo cammino: Vitalis, la Signora Milligan, l'esuberante ragazzo delle strade di nome Mattia... e tanti, tanti altri, i quali paiono più persone reali che meri simulacri senz'anima: alcuni di essi saranno dei veri e propri disperati, altri loschi figuri, altri ancora onesti e leali, degli amici su cui contare nei momenti più difficili. Ed ecco che, interagendo con i suddetti nel suo triste vagabondare, Remì man mano comprenderà quello che intendeva dire il vecchio Vitalis con la sua storia; e comprenderà altresì il comportamento del Re di Napoli, il quale rimpiangeva i giorni in cui era un semplice ragazzo come tanti altri.

"Ie Naki Ko", alias "Remì le sue avventure" per noi italiani, è l'adattamento diretto dal celebre Osamu Dezaki dell'omonimo romanzo ottocentesco di Hector Malot. L'opera è passata alla storia come uno dei titoli più influenti nel suo genere (il meisaku), e il merito è dell'indiscusso talento della coppia Dezaki/Sugino, i quali, mediante il loro stile inconfondibile, hanno trasposto in animazione un classico occidentale infondendogli un retrogusto visceralmente melodrammatico e intimamente affine allo spirito giapponese del dopoguerra. Osamu Dezaki, infatti, tra le altre cose, propone un finale radicalmente diverso da quello del romanzo: un finale che nella sua assoluta bruttezza e incoerenza rispecchia perfettamente lo spirito di abnegazione di un popolo orgoglioso, povero e sconfitto.

Siamo di fronte a pura arte, e per convincersi basta osservare alcuni fotogrammi dell'opera: i fondali sembrano dei quadri di pittori espressionisti; la regia di Dezaki è empatica ed espressiva al massimo, e ovviamente così personale da essere riconoscibile dopo poche inquadrature; il character design di Akio Sugino è come sempre perfetto, così elegante e raffinato che può tranquillamente rivaleggiare con quello del leggendario Shingo Araki per finezza e caratura artistica. Le musiche, con la loro carica evocativa, colma di genuina tristezza, sono composte da accordi rigorosamente minori che paiono scanditi da piangenti chitarre, e contribuiscono a creare un'atmosfera altamente poetica e drammatica. Personalmente, alcune melodie mi hanno vagamente ricordato i brani più intimi e depressivi del celebre "Tubular Bells" di Mike Oldfield, un disco uscito qualche anno prima di "Ie Naki Ko" e altresì pregno del fascinoso e inimitabile mood degli anni settanta.

Episodi come "La Morte del Generale" sono concentrati di tragedia spiazzanti per lo spettatore odierno, il quale è completamente estraneo alla durezza dell'animazione giapponese degli anni settanta. In "Ie Naki Ko" non è presente alcuno sconto, e il tutto scorre libero tra morti, sventure, lacrime, povertà, difficoltà estreme, fame, stenti. I pochi momenti solari in cui domina la felicità sono enfatizzati e resi indelebili dall'abisso di sventure che li hanno preceduti; e i rapporti positivi che nascono tra i personaggi diventano molto coriacei grazie alle avversità esterne. La mancanza di benessere unisce le persone e le spinge ad avere rapporti più sinceri, più duraturi, più sostanziali.

In conclusione, "Ie Naki Ko" è un anime molto adulto, cupo e artisticamente valido, nonché uno dei numerosi capolavori che uno dei più grandi registi della storia dell'animazione - se non il più grande - ha lasciato in eredità ai posteri. La suddetta è una di quelle serie che vanno a costruire il bagaglio culturale di chi le guarda sotto tutti gli aspetti, sia dal punto di vista dell'animazione giapponese stricto sensu - in quanto ne rappresenta uno dei lavori fondamentali - che della cultura occidentale di ampio respiro, giacché chi ha già letto il romanzo potrebbe trarre godimento da una sua pregiata versione televisiva o, viceversa, chi è rimasto affascinato dal lavoro di Osamu Dezaki potrebbe interessarsi ai capolavori della letteratura ottocentesca.




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Come molti registi di genere italiani degli anni '60-'70 che sfruttavano generi considerati di "serie B" dalla critica - ad esempio l'horror, il western o il thriller - per portare allo scoperto le ombre della società, così fa nel 1982 Yoshiyuki Tomino, geniale regista che ha innovato il genere robotico per trasformarlo in opera d'arte, e facendone così, in questo caso, un veicolo della sua personale e originale poetica: la comprensione come unica via da percorrere per giungere alla pace, l'anti-militarismo e il divario generazionale. Purtroppo l'innovazione non viene capita subito e così la serie TV "Space Runaway Ideon" seguì il triste destino di "Mobile Suit Gundam", un cocente flop di ascolti e di vendite di giocattoli che la portarono a una prematura cancellazione lasciandone sospeso il finale.
Non è difficile immaginare le ragioni del flop: il robot protagonista anti-estetico al massimo (per mettere in primo piano i contenuti), scarsa varietà del set di mosse dell'Ideon (per gran parte della serie abbatte i suoi avversari solo con calci e pugni) e, infine, un'intellettualità molto ricercata per l'epoca, la quale s'addentrò in temi impegnati come razzismo e xenofobia - già affrontati in alcuni robotici precedenti - traendone conclusioni filosofiche di ampio respiro cariche di un inaudito pessimismo. In sostanza, il genere del super-robot, nato come mero intrattenimento per bambini, non poteva reggere a tale contraddizione e quindi il flop non poteva essere che inevitabile.
Fortunatamente, grazie alla rivalutazione a livello commerciale di "Gundam" coi tre film cinematografici, Tomino riesce a farsi produrre da Sunrise il film "Ideon: Be Invoked", concludendo magnificamente la serie TV e portando così il robotico a vette sino ad oggi mai più toccate.

Il film riprende nella prima mezz'ora le ultime puntate della serie riassumendole velocemente, per poi entrare finalmente nel vivo con le parti inedite. "Space Runaway Ideon" soffriva, come molte serie robotiche dell'epoca, di una storia principale molto labile (fatta di incessanti quanto ripetitivi scontri), un ritmo eccessivamente lento (nonostante i molti combattimenti) e non controbilanciato da una trattazione di contenuti molto dialogata, poiché l'azione era sin troppo preponderante su tutto il resto (pur con una riuscita caratterizzazione dei personaggi), e una continuity quasi inesistente, così che sommando il tutto si finisce con l'ottenere una serie TV ostica da visionare per uno spettatore odierno, ma alla fine il suo sforzo sarà ripagato dalla magnificenza di tale pellicola.

Grazie al fatto che i tempi cinematografici devono per forza di cose essere necessariamente più veloci rispetto a quelli di una serie TV, Tomino finalmente riesce a conferire un ritmo adeguato alla storia, trasformando così uno dei difetti di "Ideon" in un punto di forza. Libero da qualsiasi costrizione, l'autore può trattare a briglie sciolte il tema del razzismo e l'odio che scaturisce da esso. Umani e Buff Clan, ad eccezione degli occhi, hanno il medesimo aspetto fisico (molte volte nel corso delle puntate è capitato che, nelle missioni di spionaggio, l'infiltrato non venisse scoperto proprio perché identico ai Terrestri), stile di vita e sentimenti. Ha senso quindi di parlare di "essere diverso" in questo caso? Forse semplicemente Tomino ci sta dicendo che noi esseri umani preferiamo dare "dell'alieno" a chiunque ci stia antipatico o percepiamo come diverso, perché non integrato nei meccanismi socio-culturali imperanti nella nostra comunità.
Il concetto di "alieno" non esiste, essendo una mera invenzione delle nostre infondate paure, le quali sia nel passato quanto nel futuro più remoto sono rimaste sempre identiche, visto che tuttora non riusciamo a "comprendere" l'altro - tanto che nel recente periodo storico stanno ritornando in auge episodi intolleranza contro il diverso. Se poi vogliamo fare sciocche classificazioni basate sulla razza, c'è da dire che neanche tra noi "simili" riusciamo a far rispettare un principio di uguaglianza sociale, vista la creazione di continue barriere socio-economiche, tanto che, alla fine, non ci comportiamo in modo diverso dai Terrestri popolanti le varie colonie dell'universo di "Ideon" e che, in teoria, facendo parte della stessa specie, dovrebbero fare gioco comune. Invece ogni pianeta pensa ai fatti propri negando all'equipaggio dei Bes un rifugio sicuro, arrivando alcune volte ad allearsi con il Buff Clan per annientarli, pur di ambire al potere dell'Ide (consistente in un'energia infinita, in grado di distruggere l'intero universo, contribuendo già in passato a spazzar via la "Sesta Civiltà").
L'essere umano si dimostra incapace di comprendere l'altro e superare il suo profondo odio di stampo razziale verso l'altra fazione, preferendo a tutti i costi annientarla. Buff Clan e umani in questo modo non fanno altro che incrementare maggiormente il sempre più incontrollabile e distruttivo potere dell'Ide; ogni tentativo di mediazione tra le due fazioni da parte degli individui più idealisti come Karala è destinato a fallire, destinato a infrangersi innanzi all'incessante forza dell'odio e della guerra che spazza via ogni velleità di pacifica convivenza, poiché nessuna comprensione è possibile se nessuna parte è disposta a mettere in gioco le proprie idee. La mattanza finale operata da Tomino all'apice del suo nichilismo più profondo e cupo non guarderà in faccia a nessuno: né gli adulti, preda del loro odio, né i giovani ragazzi, anch'essi indotti a essere spietati verso il nemico.
Nessuna teatralità o sadismo gratuito nelle tante morti, ma solo la constatazione del fallimento della specie umana. Il potere dell'Ide, che non è una mera divinità ma un qualcosa di ancora più profondo a livello concettuale (essendo formato da un'energia frutto dell'auto-coscienza delle volontà degli esseri viventi dimoranti nell'Ideon), emetterà la sua spietata sanzione. Premuto il pulsante di "reset", gli umani e Buff Clan troveranno una pace tra loro solo post-mortem, ma una piccola luce di speranza è data nel visionario finale da "Messia", il figlio frutto dell'unione di Karala e Bes, che potrà guidare una nuova generazione rinata dalle ceneri della precedente all'apprendimento dell'universale messaggio di pace e uguaglianza. Nel nichilismo più estremo si intravede una piccola luce nell'oscurità... ma è un bene? Non era forse meglio per gli esseri umani una totale distruzione, perché sono portatori solo di meschini interessi, divisioni, odio e morte? Tomino non vuole compiere questo spaventoso salto concettuale che lo avrebbe portato nell'abisso della disperazione dal quale non sarebbe più uscito.

Ad eccezione dei primi minuti di film, presentanti scene riciclate dalla serie TV, il resto della pellicola possiede animazioni create ex-novo.
Grazie a un budget molto elevato, Tomino ha finalmente largo spazio per costruire battaglie più articolate e complesse, anche se a livello registico siamo un po' lontani dallo stile usato in "Gundam", decidendo di optare per dei normali campi e controcampi, realizzando scene d'azione chiare e pulite, le quali risultano ben lontane dal caos registico di "Z Gundam", dove la telecamera viene mossa all'impazzata creando una sensazione di confusione nello spettatore.
Solitamente Tomino viene ricordato sempre per i contenuti e quasi mai per l'aspetto registico, che spesso nelle sue opere risulta essere secondario; invece in tale film il regista riesce a dare una forte impronta personale alla sua regia grazie a una visionarietà senza freni nell'ultimo atto della pellicola, con virtuosi quanto arditi piani sequenza rappresentanti onde di energia colorate e spiriti di defunti che si manifestano lasciando dietro di sé scie luminose, costruendo quindi una messa in scena originale che non ha precedenti in nessun film d'animazione - potendo essere comparata solo alla scia luminosa multicolore di "2001 Odissea Nello Spazio", dove ogni parola risulta inutile e conta solo l'immagine.

In conclusione, ci si ritrova innanzi a una delle più importanti opere d'animazione degli anni '80 e al miglior film robotico di sempre, ex-aequo con l'immenso "Patlabor 2: The Movie" di Mamoru Oshii. Con l'ultima mezz'ora di tale film, il cinema di Tomino da narrativo si fa contemplativo, uno stadio di magnificenza artistica che solamente i migliori riescono a raggiungere.
Un'opera che, nonostante abbia sulle sue spalle svariati decenni e sia mascherata da film di genere, si dimostra tuttora sempre più attuale, lanciando un duro attacco contro la piega che sta prendendo l'intera umanità, che è ancora in tempo per cambiare.
Ci si ritrova con "Ideon: Be Invoked" innanzi all'apice mai più raggiunto dell'intera carriera del regista in questione, una visione imprescindibile per ogni amante del genere robotico e che dovrebbe essere riscoperta dai cultori del cinema, per darle finalmente il giusto risalto dall'oblio in cui essa sembra rilegata.




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A quasi otto anni di distanza dalla messa in onda dell'ultimo episodio della prima serie, "Mushishi" è tornato sugli schermi con un blocco di dieci puntate tra aprile e giugno e con uno special, adattamento di ulteriori due capitoli del manga di Yuki Urushibara, trasmesso il 20 agosto.

Ovviamente la trama è sempre incentrata sul cammino di Ginko attraverso suggestivi paesaggi giapponesi e sui suoi incontri con persone influenzate dai Mushi, esseri primitivi e ultraterreni, dissimili da qualsiasi altra forma di vita, nonché oggetto di studio del protagonista. Quest'ultimo, grazie alla preparazione in materia e agli strumenti di cui è in possesso, qualora sia possibile, tenterà di curare coloro che sono entrati in contatto con le strane creature e hanno vissuto sotto il loro influsso.
Gli episodi sono autoconclusivi, in quanto si occupano di casi differenti, come da tradizione dell'anime, ma capiterà di imbattersi in qualche elemento già presente nella prima stagione: personaggi, guardiani delle montagne e il Koumyaku sono i principali. Inoltre, per apprezzare al meglio alcuni gesti all'apparenza insignificanti, è meglio tenere a mente la storia di Ginko. A chi dunque, leggendo la recensione o avvicinandosi a "Mushishi" per la prima volta, si chiedesse se è possibile visionare la seconda stagione senza aver guardato la precedente, rispondo che non è un requisito necessario, ma è consigliato.

Descrivere "Mushishi Zoku Shou" è un'ardua impresa, in quanto qualsiasi parola sarebbe riduttiva. Si tratta, infatti, di un anime che punta a creare un'atmosfera atta a catturare lo spettatore e coinvolgerlo emotivamente. È inutile dire che il risultato è quello sperato, ma è importante sottolineare come le basi per una buona riuscita vengano poste già da una fantastica opening, "Shiver" di Lucy Rose, che, così come del resto tutta la colonna sonora, è dotata della lentezza e della delicatezza caratteristiche della serie. Il loro sviluppo è reso possibile grazie alle storie di personaggi assolutamente umani che affrontano e convivono con situazioni personali verosimili (rotture di legami di amicizia, perdita di persone care, mancanza di fiducia in sé stessi e negli altri, problemi familiari, eccessiva dedizione al lavoro, convivenza con una malattia, impossibilità di realizzare un'aspirazione, ecc.) e provano sentimenti reali comunissimi, dall'amore alla preoccupazione, dalla disperazione alla gioia. Se da un lato l'elemento soprannaturale, i Mushi, è utilizzato meramente come mezzo, forse più come scusa nonostante il ruolo primario che ricopre, per porre le basi di uno di quegli aspetti da approfondire, dall'altro i gesti e le ambientazioni fisiche e temporali recitano un ruolo fondamentale nel calcarli più marcatamente. In particolare, a temi più lugubri mostratici indirettamente, ad esempio il mancato rispetto della natura da parte dell'uomo, corrisponderanno spesso e volentieri un paesaggio notturno, capace di appesantire l'atmosfera, e azioni con conseguenze più macabre.

Volendo paragonare "Mushishi Zoku Shou" a "Mushishi" si può dire che soggettivamente l'ago della bilancia può pendere su uno qualsiasi dei due pesi, considerata la notevole qualità di entrambe le stagioni, ma due fattori potrebbero indurre i più a preferire la seconda: il primo, seppur scontato e relazionato allo sviluppo del settore, è il miglioramento grafico, piuttosto importante in una serie in cui il soggetto di molte inquadrature è il panorama; il secondo è il minor numero di episodi, non necessariamente un punto a favore, in quanto costituisce una minore molteplicità di storie e temi, ma svariate critiche erano state mosse alla corposità della prima stagione, pertanto accusata (erroneamente) di ripetitività.

"Mushishi Zoku Shou" è una serie in grado di trasmettere molto allo spettatore, se guardata col giusto spirito e con una buona dose di attenzione. E' estremamente consigliata a chiunque voglia cimentarsi in una visione unica e inimitabile, di altissima qualità, o semplicemente a qualunque amante di anime.

In un 2014 che non ha regalato sessioni molto felici, questa è fin qui la vera perla, in attesa del sequel in uscita a novembre. Voto 10, senza storie.