Tsukuroi_Tatsu_Hito-p1.jpgTutto ha un'anima in Giappone. Ogni cosa può illuminarsi, e dire. Se non a parole, esprimersi con un gesto. Se non è dato neanche quello, un vestito. Un abito, che è come dire: il modo in cui vorrei che mi vedessi. Ichie ha un privilegio. Sembra saperlo, con le sue maniere cortesemente altere, distinte, cucite con la modestia dell'eleganza. Alla maniera d'antan. Gestisce un piccolo atelier di confezioni sartoriali, ereditato dalla nonna, sarta anch'essa. Una vecchia macchina per cucire, azionata a pedale, la medesima per la nonna e per Ichie, che non la vuole affatto cambiare, e a quel paese le tecnologie, le tendenze, le mode. Una vecchia macchina per cucire. A volte non si piange per la morte di una persona cara — non al funerale. Ma quando si tocca qualcosa che le era appartenuto, la si sente rivivere, ci si sente morire. Perché un po' d'anima è rimasta attaccata, al rocchetto, al pedale, al rumore prodotto, ritmico, rassicurante, usuale. E così, pigiando quel pedale, si ha la sensazione di poterle parlare.

Nonostante le lusinghe del mercato della moda, la donna si rifiuta ostinatamente di trasformare le sue creazioni in un brand, e rimane tenacemente legata all'abito 'su misura'.

 
«Come si può confezionare un vestito per uno sconosciuto?»

Tsukuroi Tatsu Hito (titolo internazionale A Stitch of Life) è un film dal vero di Yukiko Mishima tratto dall'omonimo manga josei di Aoi Ikebe, e ne restituisce al meglio le atmosfere intime, discrete. Ambientato nei dintorni di Kobe e Kawanishi, racconta di un Giappone garbato, signorile, squisitamente provinciale.
Lo shopping, l'ossessione per il nuovo, per il trend metropolitano, trovano una battuta d'arresto in questo piccolo angolo di Giappone, nella casa-bottega di una 'anacronistica' signorina. Si può resistere all'omologazione? In un mondo usa-e-getta, che consuma gesti e parole, senza volersi soffermare... ci si può provare.
Sperare, sapere che alla fine il tempo l'avrà vinta sulla velocità, ma non sulla lentezza amorevole di una macchina a pedale. Quel suo indugiare, punto dopo punto, è un modo di combattere il tempo con l'amore. Un modo di fare del tempo una durata, o fare di un vestito l'abito di una vita.
E se le ingiurie dei giorni lasciano sdruciture, se le misure non tengono il passo dell'età, dell'invecchiamento, non è il momento di cambiare, ma di perseverare — preservando per conservare. Rammendare come fare ammenda, per il tempo che scorre, per il fatto di non poterlo fermare. Eppure, sotto l'ala di un'attenta cura, non c'è ferita senza toppa, perché un abito che reca incisi i segni degli anni è incomparabilmente più bello di un vestito sfavillante, anonimo, neutro.
 
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Ichie si tiene stretto il proprio privilegio. Fare qualcosa che accompagni l'altro per la vita, mettere mano a ciò che aiuta le persone a stare in mezzo agli altri, a non sentirsi insignificanti. È il mio vestito, non un vestito come tanti.
Perché «gli abiti non sono per chi si sente già bello». Sono per chi ha pudore di mostrare al mondo il proprio splendore, e lascia che sia l'abito a parlare.

Cosa desidera Ichie? Fare vestiti che si vorrebbero indossare per sempre. Creare per ciascuno il 'vestito migliore', quello della festa, quello che s'indossa per qualcuno di speciale. Magari per una serata danzante, riservata a persone negli 'anta', che di smettere di vedersi belle negli occhi dell'amato non ne vogliono sapere. Che bello aiutarle a brillare!
Perché, altrimenti, un universo rischia di svanire. Ichie è l'angelo sartoriale di un mondo gentile, un piccolo mondo antico che non deve scomparire.
Per prevenire una sparizione, per scongiurarla con le proprie mani, bisogna avere immensa cura, anche dei dettagli, anche delle parti che non si vedono. Ci si sente coccolati fin nei più intimi risvolti, nelle pieghe più nascoste.
Parlando col venditore di stoffe, già amico della nonna, pronto a chiudere bottega, per il crollo del mercato 'su misura', Ichie non si vuole rassegnare alla scomparsa di un mestiere.
«Dio non vuole che smettiamo», che rinunciamo alla nostra paziente opera sulle cose. A mano a mano, perché nessun punto sia fuori luogo.
 
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Eppure, qualcosa potrebbe cambiare. Non in peggio, non in male.
Imbastire altre cose. A farglielo pensare è Fujii, all'inizio solo 'un tale'. Inizialmente il giovane ha il compito di farla mutare d'avviso, di indurla a passare al branding. Ma accade che egli s'innamori. Dei suoi vestiti? Sì. Impara ad amare Ichie, attraverso ciò che lei esprime. Perché “lo stile è l'anima”, e traspare, anche nella refrattarietà della donna a qualsiasi lusinga. Trapela una squisitezza educata, un modo schivo di farsi ammirare. La sorella di Fujii le fa sapere quanto, quanto egli la ammiri, tanto da parlare di lei tutto il tempo — come un bambino. L'ostinazione dell'uomo è il sogno di vederla brillare.
Persino la nonna l'avrebbe rimproverata. Non puoi rinunciare così presto.
Ichie capisce che può metterci del suo, senza fare del male al ricordo, indelebile, di chi è scomparso. Capisce che può 'superare' la nonna, dandole una gioia immensa.
 
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Ichie comincia a creare. A modo suo, senza snaturarsi. Senza svendersi, dà il giusto valore alla sua ispirazione.
Sì, lei va bene così com'è. Non deve cambiare. È stato Fujii a farglielo capire. È stata la gente che ama da sempre il suo modo di fare. Sono state le ragazze all'ultima moda, che la pregano di confezionare per loro un vestito. È stato il silenzioso omaggio all'abito dei giorni migliori di un anziano, un habitué delle feste danzanti organizzate una volta all'anno — un gentile signore, scomparso, ma non nel ricordo.
Tutto questo le dà coraggio e conforto — la porta in alto. E da lì, con leggerezza, Ichie può sollevare chi è confinato a terra. Come la sorella di Fujii, costretta in carrozzina, finché un velo da sposa diventa una vela. Un sogno.
E per sempre vorresti indossarlo.

GAGA distribuzioni non sbaglia un colpo. Il tocco del regista Yukiko Mishima è estremamente delicato. Come le tinte del film, tenui, anticate, 'a modo'.
Miki Nakatani si conferma attrice di grande espressività, accompagnata da un efficacissimo Takahiro Miura. L'accompagnamento musicale è per nulla invadente, anzi discreto. La theme song Kitte no Nai Okurimono, di Ken Hirai, è jazzata con garbo. Sa anch'essa di passato, perché cover di un successo del '78 di Kazuo Zaitsu. Le sue note sono il modo migliore, allegro con stile, per salutare questo film, con la voglia di rivederlo.