Il 6 agosto 1945 alle ore 8:15 un B-29 del 393° Squadrone bombardieri, battezzato "Enola Gay" e partito dalla base North Field di Tinian, nel Pacifico occidentale, a circa sei ore di volo dal Giappone, sganciò su Hiroshima "Little boy", un ordigno nucleare che polverizzò all'istante migliaia di persone e rase al suolo un'intera città.
Il 9 agosto 1945 un’altra fortezza volante B-29, chiamata "Bockscar" sganciava una seconda bomba detta "Fat man" su Nagasaki con analoghi risultati. Niente fu più come prima. A settant'anni da quel giorno ricordiamo le vittime raccontando in breve cosa avvenne.
 

Nonostante sei mesi di intensissimi bombardamenti su obiettivi strategici in 67 centri nipponici da parte degli Usa, il Giappone non sembrava affatto intenzionato ad arrendersi. Così il 26 luglio 1945 Truman e gli altri capi di Stato Alleati stabilirono, nella Dichiarazione di Potsdam, i termini per la resa giapponese e lanciarono un ultimatum al Giappone.
Il giorno seguente, i giornali giapponesi riportarono la dichiarazione, diffondendola anche per radio in tutto il paese ma il governo dell’imperatore Hirohito ignorò l’ultimatum. Fu così che il presidente americano Harry Truman decise di ricorrere alla bomba atomica per giungere ad una rapida fine del conflitto, infliggendo distruzioni tali da spingere Tokyo ad accettare la resa senza condizioni.

Gli Stati Uniti infatti, con l'aiuto militare e scientifico di Inghilterra e Canada, erano riusciti a costruire e provare una bomba atomica nel cosiddetto Progetto Manhattan, nel quale diversi scienziati lavoravano per battere sul tempo il Programma nucleare tedesco ed impedire così ad Hitler di avere una tale arma di distruzione di massa.
Il 16 luglio 1945 ad Alamogordo, nel Nuovo Messico, fu fatto il primo test nucleare (nome in codice Trinity) in cui una bomba (chiamata "The gadget") fu fatta esplodere con successo. Da qui il "Target Committee" di Los Alamos, guidato da J. Robert Oppenheimer, iniziò a studiare quali città dovessero essere prese in considerazione come obbiettivi.
I criteri di scelta furono fondamentalmente tre: avere un diametro di oltre cinque chilometri, essere di importanza strategica ed essere centri urbani. Nella decisione finale, infatti, dovevano essere tenuti in conto soprattutto gli effetti psicologici che l'uso della bomba atomica doveva avere sul governo giapponese.
 

Fra le città prescelte vennero fuori i nomi di Notolini, Hiroshima, Yokohama, Kokura, Nagasaki, Kyoto e Tokyo. Alla fine la rosa si restrinse a tre città: Hiroshima, città di grande importanza militare e industriale, Kokura che aveva un vasto arsenale e Nagasaki che non solo era un porto, ma ospitava anche molte industrie. Al rifiuto di arrendersi del Giapppone, partì la missione.
La scelta della data del 6 agosto fu dettata unicamente da motivazioni di tipo meteorologico. Prima di tutto fu fatto decollare un B-29 senza armamento, il cui compito era solo di indicare al comando la situazione precisa del tempo sopra la città. Tutti i dettagli, compresi la pianificazione precisa della tabella di volo e l'armamento della bomba con i suoi 60 kg di uranio 235 furono studiati nei minimi particolari e tutto si svolse come stabilito.
 

Poco prima delle 08:00, la stazione radar di Hiroshima vide i tre velivoli avvicinarsi, ma essendo pochi, l'allarme aereo non venne dato, perché si pensò che fosse solo un volo di ricognizione. Alle 08:14 e 45 secondi, l'Enola Gay sganciò "Little Boy" sul centro di Hiroshima: il sensore altimetrico era tarato per fare scoppiare l'ordigno alla quota di 600 metri dal suolo, dopo 43 secondi di caduta libera.
L'esplosione si verificò a 580 m dal suolo, con uno scoppio equivalente a 13 chilotoni, uccidendo sul colpo tra le 70.000 e le 80.000 persone. Della maggior parte di esse non rimase niente, vennero letteralmente vaporizzate; di alcune non rimase nient'altro che un'ombra su un muro. Tra uno e due km la gente fu investita dall'onda d'urto e cessò di vivere in pochi secondi a causa dei milioni di gradi scatenatisi con l'esplosione. Circa il 90% degli edifici venne raso al suolo e tutti e 51 i templi della città distrutti dalla forza dell'esplosione.
 

L'equipaggio dell'aereo assistette a tutto con angoscia; lo stesso velivolo che si trovava a circa 17 km dallo scoppio fu scosso dall'onda d'urto tanto che la frase detta da un militare dell'equipaggio ("Dio, cosa abbiamo fatto?") rimarrà nella storia a riprova di quanto molti di loro non non si rendessero conto della gravità del gesto. Al di sotto dell'aereo le persone scomparivano nel senso letterale del termine e Hiroshima non esisteva più.
Gli unici edifici che restarono almeno in parte in piedi furono quelli costruiti in cemento armato. L'onda di pressione che seguì, un vento caldissimo, travolse tutto; ad essa seguì una pioggia radioattiva formatasi per il gran caldo sprigionato. Una nuova tempesta di vento arrivò dopo la pioggia: i venti viaggiavano a più di 200 km/h, sollevando onde enormi dai fiumi tanto che alcune persone morirono letteralmente bollite.
 

Nel resto del paese ci volle un po' per capire l'entità di quanto era successo. All'epoca le comunicazioni non erano certo immediate come adesso. L'operatore di controllo della Società Radiotelevisiva Giapponese di Tokyo si rese conto che la stazione di Hiroshima non era più in onda; tentò usando un'altra linea telefonica, ma non servì a niente.
Circa venti minuti più tardi il Centro Telegrafico Ferroviario di Tokyo si accorse che la linea telegrafica principale aveva smesso di funzionare subito a nord di Hiroshima. Iniziarono a spargersi voci di una tremenda esplosione. Le basi militari provarono ripetutamente a mettersi in contatto con la Stazione di Controllo dell'Esercito di Hiroshima, ma non ricevettero in risposta che assoluto silenzio.
Un giovane ufficiale fu incaricato di volare immediatamente ad Hiroshima, atterrare, rilevare i danni e tornare a Tokyo a fare rapporto: nessuno aveva la minima idea di quello che fosse realmente accaduto.
 

Il giovane partì e dopo circa tre ore di volo, quando mancavano ancora circa 160 km ad Hiroshima, l'ufficiale e il suo copilota videro una grande nuvola di fumo nella quale stavano bruciando le macerie della città. Il loro aereo raggiunse presto la destinazione e lì capirono la portata della devastazione: tutto ciò che era rimasto era una grande cicatrice sul terreno ancora ardente, coperta da una spessa nuvola di fumo. Atterrarono a sud della città e l'ufficiale, dopo aver comunicato con Tokyo, cominciò immediatamente ad organizzare le operazioni di soccorso. Ma le squadre preposte non riuscirono ad avvicinarsi ad Hiroshima a meno di 3 km, perché l'odore di bruciato mischiato a quello dei cadaveri in decomposizione era insopportabile.
 

Il bombardamento causò la morte di circa 140.000 persone: tra il 15 e il 20% di questi decessi fu causato da una miscela letale di ustioni, radiazioni e traumi. Negli anni successivi poi altre migliaia di persone morirono per varie forme tumorali, causate della contaminazione radioattiva. Alla fine del 1945 si stimò che i morti dovuti all'atomica fossero circa 200.000.
Poiché non ci fu una pronta risposta del governo giapponese per quel che riguardava la resa, il 9 agosto fu sganciata la seconda bomba a Nagasaki.

La mattina di quel giorno l'equipaggio del Boeing B-29 Superfortress doveva dirigersi alla volta di Kokura, l'obbiettivo iniziale della missione. Ma il meteo non era favorevole: troppe nubi non permettevano di individuare con precisione l'obbiettivo e quindi, dopo tre passaggi sopra la città e con il rischio di non avere carburante necessario per il ritorno, l'aereo puntò sull'obbiettivo secondario, Nagasaki. Alle 11:02 il capitano del velivolo avvistò il nuovo bersaglio, ma anche qui le nuvole ostacolavano la visuale.
 

Ma non essendo pensabile tornare indietro e rischiare un ammaraggio causa mancanza di carburante con un'arma atomica a bordo, il comandante decise, in contrasto con gli ordini, di usare il radar per individuare l'obbiettivo anche attraverso le nubi. Così "Fat man" con i suoi 6,4 kg di plutonio-239 fu sganciata sulla zona industriale a circa 470 metri di altezza ma a quasi 4 km a nord ovest dal punto previsto, cadendo così nella Valle di Urakami; questo errore salvò gran parte della città, protetta dalle colline circostanti.
Il bilancio delle vittime fu comunque impressionante: secondo la maggior parte delle valutazioni circa 40.000 dei 240.000 residenti a Nagasaki morirono all'istante e oltre 55.000 rimasero feriti. Il numero complessivo, comprese le persone che perirono a causa dell'esposizione alle radiazioni nei mesi seguenti è valutato intorno alle 80.000 persone.
 

I due bombardamenti così ravvicinati, le centinaia di migliaia di vittime e la tremenda potenza di quest'arma costrinsero i giapponesi alla resa il 15 agosto 1945. Hirohito espresse il voto decisivo, sottolineando che il Giappone avrebbe dovuto "sopportare l'insopportabile", cioè arrendersi. Quel giorno il discorso dell'Imperatore con cui si annunciava la sconfitta del paese fu trasmesso via radio ed era anche la prima volta che molti giapponesi sentivano la voce del loro sovrano.

I superstiti del bombardamento furono chiamati hibakusha, che significa letteralmente "persona esposta alla bomba". Si coniò questo termine invece di un più generico "sopravvissuti" per non esaltare la vita, gesto che sarebbe stato considerato come una grave mancanza di rispetto nei confronti dei molti morti. Superstiti e soccorritori divennero il nucleo del pacifismo giapponese del dopoguerra. Pochi anni fa 219.410 hibakusha sono stati ufficialmente riconosciuti come tali dal governo giapponese.
 

Oggi Hiroshima è una città attiva, prospera e dall'atmosfera internazionale. Ma non dimentica il suo passato, anzi: da quel giorno si batte perchè un evento del genere non debba ripetersi mai più. Per questo il fulcro della città, meta di numerosi visitatori da tutto il mondo, è l'epicentro dell'esplosione. Qui si possono visitare il Gembaku Domu, o A-Bomb Dome o Cupola della Bomba Atomica, cioè quel che resta dell'edificio che ospitava l'Industrial Promotion Hall e che è diventato il simbolo della distruzione subita da Hiroshima.
Dichiarato nel 1996 Patrimonio dell'Umanità dall'Unesco, è rimasto in piedi nonostante la bomba sia esplosa quasi sopra ad esso, grazie alla sua struttura di cemento e ferro. Le sue rovine sono state lasciate così com'erano proprio a ricordo perpetuo della tragedia.
 

Esattamente di fronte alla Gembaku Dome, ma al di là del fiume si trova l'Heiwa koen, cioè il Parco della Pace; qui è stato eretto il Cenotafio su cui sono scritti tutti i nomi delle vittime conosciute della bomba. Inoltre esso fa da cornice alla Fiamma della Pace, che sarà spenta solo quando l'ultima arma nucleare sarà smantellata.
Poco più avanti c'è il Monumento Commemorativo per la Pace dei Bambini, su cui è incisa la seguente frase: "Questo è il nostro grido. Questa è la nostra preghiera. La pace nel mondo." Questo angolo, eretto nel maggio del 1958 usando i fondi raccolti dai bambini, è dedicato a Sadako la cui storia è diventata uno dei simboli di questa tragedia.
 

Sadako viveva a Hiroshima a 1,6 km dal punto in cui la bomba atomica fu sganciata. Lei aveva due anni e sopravvisse insieme alla sua famiglia. Tuttavia, quando Sadako aveva nove anni, le venne diagnosticata la leucemia, una malattia che colpì molti bambini della zona, e che fu chiamata la malattia della A-bomb per la sua associazione con le radiazioni.
Un amico di Sadako le raccontò una leggenda: le disse che se si esprime un desiderio e si costruiscono mille origami a forma di gru, il desiderio si avvererà. Sadako iniziò diligentemente a costruire gru di carta con qualsiasi materiale a disposizione. Ma il 25 ottobre dello stesso anno, morì senza aver realizzato il suo obbiettivo. Diventò presto il simbolo di ogni vittima innocente della guerra; ancora oggi moltissime persone fabbricano gru di carta e le lasciano accanto al suo memoriale.
 

Poco più avanti si può visitare il Museo Commemorativo della Pace, fondato nel 1955 e progettato da Kenzo Tange; l'ingresso costa 50 yen (pari a circa 40 centesimi di euro), una cifra puramente simbolica e racconta la storia della bomba e la distruzione che essa causò alla città.

Anche se ogni anno questa tragedia è ricordata e commemorata, in occasione di un anniversario così importante come quello di quest'anno sono ancora di più le manifestazioni, le mostre, i film e i documentari che i media giapponesi dedicheranno all'evento.

Il magazine Big Comic Original, rivista seinen targata Shogakukan, pubblicherà un'edizione speciale in'occasione del 70° anniversario della conclusione del secondo conflitto mondiale.

Fino al 6 settembre il Kyoto International Manga Museum ospiterà una mostra dedicata alla guerra, con un'esibizione speciale di lavori delle mangaka Fumiyo Kōno, Machiko Kyō e Yuki Ozawa.

Uscirà il prossimo 8 agosto 2015 il lungometraggio Kono Kuni no Sora (Il cielo di questa Terra), in cui lo sceneggiatore Haruhiko Arai traspone in film un romanzo di Yuichi Takai, vincitore del prestigioso Premio Letterario Tanizaki nel 1984.
La produzione di Kono Kuni no Sora è affidata alla nuova branca cinematografica KATSU-do di Kogyo Yoshimoto, istituita proprio in commemorazione del settantesimo anniversario dalla fine dell'incubo mondiale.
 

Il giorno 15 agosto 2015 Fuji TV trasmetterà il documentario Sensou wo Oshiete Kudasai (Per favore, raccontami della guerra). La struttura dello speciale verterà su interviste ai veterani e ai sopravvissuti alla guerra, portate avanti da cinque attori di talento: Shun Oguri, Tori Matsuzaka (Detective Conan), Sota Fukushi (As the Gods Will), Kasumi Arimura (Yowakutemo Katemasu) e Suzu Hirose (Gakkou no Kaidan).

Il prossimo 12 dicembre uscirà nelle sale il delicatissimo film Haha to Kuraseba (Vivere con mia madre): il regista Yoji Yamada depone così il suo omaggio al compianto scrittore Hisashi Inoue e al suo ultimo desiderio, delineando per lui l'adattamento in film di una storia ambientata a Nagasaki.

Tra i manga dedicati alla storia di Hiroshima vanno poi sicuramente citati Gen di Hiroshima un toccante racconto autobiografico (nel 1945 il mangaka Nakazawa aveva sei anni) sulle conseguenze della guerra che, nelle intenzioni dell’autore diventa un grido di speranza per le nuove generazioni affinché trovino la forza per dire no a tutte le atomiche. Gen fa rivivere una dolorosa pagina di storia attraverso gli occhi di un bambino che l’ha vissuta e che un giorno ha deciso di raccontarla al mondo.

Ma anche Hiroshima nel paese dei fiori di ciliegio ambientato nel 1955, a 10 anni dall'esplosione della bomba che ha quasi completamente distrutto la città di Hiroshima insieme alle vite di centinaia di migliaia di persone. I sopravvissuti cercano di portare avanti un'esistenza al limite tra una normalità che non gli è concessa e un passato di morte che non li abbandona. I marchi del disastro, quando non fisici, sono soprattutto mentali: l'isolamento, la paura di un lento marcire, le persone che anche a distanza di anni continuano a morire, cercare una ragione della propria sopravvivenza.

Fonti consultate:
LaStampa
Wikipedia
IlSussidiario
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