Il 24 agosto 2010 si spegneva Satoshi Kon, uno dei più apprezzati registi d'animazione giapponese degli ultimi tempi. Per celebrare il quinto anniversario della sua morte, pubblicheremo nei prossimi giorni alcune notizie a lui dedicate, tra approfondimenti e recensioni.
In questo appuntamento presentiamo alcune delle opere meno note di Satoshi Kon.
 

8.0/10
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Ambizione, avanguardia, modernità. Tre aggettivi che ben si addicono a un maestro del calibro di Katsuhiro Otomo, pioniere nel campo delle tecniche di animazione, regista ambizioso e mosso da un forte spirito di innovazione; emblema della concezione stessa dell'animazione da parte di costui è senz'altro Akira, opera che l'ha consacrato a grande regista, nonché da molti considerato capolavoro ineguagliabile. Ma si potrebbe usare un altro film, meno famoso ma non per questo di minor valore artistico e avanguardistico, come paradigma del concetto di anime per il maestro, e il titolo in questione è proprio Memories. Composto da tre mediometraggi, diretti ciascuno da un regista diverso, ma con la supervisione generale di Otomo stesso e la sceneggiatura di un emergente Satoshi Kon, il film tratta argomenti più o meno vari, orbitanti tutti attorno al genere fantascientifico, ma ciascuno con un taglio e un messaggio nettamente distinto dagli altri.

Magnetic Rose - Koji Morimoto
Basato sul racconto Kanojo no Omoide - I ricordi della Signora - di Otomo, il primo episodio di Memories ha per protagonisti dei netturbini spaziali che alle soglie del Ventiduesimo Secolo si occupano dello smaltimento e dell'eventuale recupero di relitti spaziali nei più sperduti angoli della galassia. Un'improvvisa e insolita richiesta di soccorso tramite segnale S.O.S. obbliga l'equipaggio a deviare dalla propria rotta, sulla via del ritorno alla base, e prestare soccorso agli ignoti dispersi; ciò che insospettisce i protagonisti è che il segnale provenga da una zona molto pericolosa dello spazio, caratterizzata da un forte campo elettromagnetico, e che il segnale in sé sia un'aria di Madama Butterfly. Giunti alla fonte del segnale, Heintz e Miguel, due dei quattro membri dell'equipaggio, scendono sull'imponente relitto per iniziare la ricerca dei sopravvissuti. Da questo punto in avanti inizia un gioco di illusioni e sogni ad occhi aperti - nel quale non è possibile non riconoscere l'influenza di Satoshi Kon - che porterà quasi alla pazzia i due astronauti, incapaci di distinguere la realtà dai ricordi di una misteriosa Signora, precedente proprietaria dell'astronave-dimora, e in ultimo luogo dai propri; Heintz in particolare dovrà rivivere più e più volte la morte della figlia sotto i propri occhi, consapevole che ciò che vede non è reale, ma allo stesso tempo incapace di liberarsi dal loop perché logorato dal senso di colpa e impotenza provato la prima volta di fronte alla triste scena.
La regia di Morimoto è sublime, dinamica, onirica, spesso tendente alla claustrofobia nel suo costringere i personaggi in spazi terribilmente ampi e al contempo così soffocanti; i protagonisti si trovano ad affrontare le proprie paure ed è spesso coi loro occhi che il regista decide di presentare la scena, garantendo un ottimo grado di realismo e di immedesimazione nel personaggio; il ricordo funge da via di scampo dalla realtà, unica consolazione, inconsistente e fittizia, per compensare l'istinto escapista dei personaggi e in più in generale, del genere umano. Le animazioni sono curate nei gesti e nella fisiognomica dei personaggi, i dialoghi sono profondi e realistici, accompagnati da una colonna sonora elegante e solenne tratta dalle grandi opere di musica classica, ennesimo mirabile lavoro della sempre brillante Yoko Kanno. In conclusione Magnetic Rose è un prodotto a dir poco ottimo, sotto ogni punto di vista, sicuramente l'episodio che più mi ha colpito.

Stink Bomb - Tensai Okamura
Il secondo mediometraggio di Memories cambia totalmente ambientazione, spostandosi nella Tokyo contemporanea e prendendo in esame le disavventure di un impiegato di una ditta farmaceutica, Nobuo Tanaka, il quale, tormentato dal raffreddore, viene incitato dai colleghi ad assumere un farmaco sperimentale antipiretico presente nell'ufficio del suo capo. I problemi sorgono quando l'impiegato, dopo aver dormito in azienda, tramortito dal farmaco assunto, scopre che tutti i dipendenti, suoi colleghi, sono svenuti e che egli è l'unico cosciente; infine viene a sapere dai vertici della sezione di Scienze applicate del governo che la pillola da lui ingerita è un prototipo di arma chimica e che deve essere consegnata loro immediatamente, prima dell'arrivo della polizia, per evitare una fuga di informazioni, nonché uno scandalo politico. Ma questi non sanno che è stato proprio Nobuo a ingerire il farmaco e a tramortire l'intera azienda, per cui al fine di proteggere il segreto gli ordinano di recarsi proprio alla sede centrale di Tokyo, facendo sì che il povero Nobuo tramortisca tutte le persone che incontra sulla sua strada verso il quartier generale.
Episodio sarcastico, ma non eccessivamente pungente, Stink Bomb si prefigge di satirizzare la scarsa efficienza e poca accortezza dei vertici del governo, del sistema militare e più in generale della civiltà giapponese contemporanea, mostrando la situazione tanto assurda, quanto tragicomica, in cui l'impiegato medio, per obbedire ciecamente ad un ordine imposto dall'alto, abbandona logica e buonsenso e mette a repentaglio la vita propria e di mezza Tokyo pur di portare a termine il proprio incarico. Sottotono rispetto agli altri due, tecnicamente ben realizzato, buono a livello di messaggio, ma decisamente carente quanto a grado di intrattenimento; oltre alle suddette gag e scenette che fanno il verso alla commedia dell'assurdo di metà Novecento, gli sviluppi della trama non sono pervenuti, per cui a lungo andare la noia prende il sopravvento. Insomma, discreto, ma sicuramente mal sfruttato.

Cannon Fodder - Katsuhiro Otomo
Ultimo, ma non ultimo, l'episodio curato sia a livello di soggetto, sia di regia, dal maestro Otomo, che senza smentirsi propone il cortometraggio più particolare tra i tre. Un futuro distopico, un regime militare, una città completamente dedita all'arte bellica; questo lo sfondo per Cannon Fodder, cronaca di una giornata lavorativa di una famiglia qualunque. Il padre è meccanico presso l'edificio del grande cannone, un arma balistica che spara pochi colpi l'ora ma che rappresenta l'orgoglio dell'intera città. Nonostante siano i lavoratori a caricare i proiettili e spezzarsi la schiena perché il funzionamento dell'arma sia sempre corretto, è il gran dittatore, basso e grassoccio, a premere il pulsante e sparare, rituale rigorosamente preceduto da una camminata in pompa magna verso la postazione di comando; la scena, che viene ripetuta più volte, suscita più ilarità che fiero orgoglio patriottico, inscenando una satira - più pungente di Stink Bomb - che ridicolizza il regime e squarcia il velo mitico che lo circonda.
La fantomatica guerra diventa mero strumento di controllo delle masse, un po' come in 1984; il regime accudisce e educa gli individui sin dalla più tenera età, tanto che il figlio del protagonista pare essere più attaccato all'effige tanto splendida, quanto falsa e ipocrita, di un dittatore alto, robusto e fiero, in posa vittoriosa, piuttosto che ai propri familiari. Menzogna e strumentalismo, ignoranza e vanagloria, questi i falsi valori di cui il regime si fa latore, e Otomo li inquadra tutti in maniera efficacie.
Dal punto di vista tecnico, il cortometraggio spicca per un lungo e particolare piano sequenza, scelta particolare, ma che perfettamente si presta alla storia narrata e dall'inizio alla fine dell'episodio offre una panoramica a trecentosessanta gradi della vita della città. Nel complesso un buon prodotto, senz'altro ispirato, ma che lascia un retrogusto di incompiutezza, come se il messaggio potesse essere impresso o enfatizzato in maniera più efficacie.

Parlando di Memories, siamo di fronte a un lavoro nel complesso buono, ma in quanto raccolta, inevitabilmente eterogeneo - a maggior ragione che il regista, sebbene sotto l'attenta supervisione di Otomo, vari assieme agli episodi. Posso solo aggiungere, come molti hanno già fatto, che senza Stink Bomb un voto in più probabilmente lo avrebbe meritato, ma non voglio spendere ulteriori parole in rimpianti e lamentele che potrebbero fuorviare il lettore dal mio effettivo giudizio. Memories permette di mirare un giovane Satoshi Kon, agli albori e già così incisivo, una formidabile Yoko Kanno, capace di adattare le proprie musiche a ogni atmosfera e spaziando fra i generi più vari, infine un sempre piacevole Otomo, abilissimo narratore e regista visionario, un passo avanti ai più. Per chiunque ami anche uno solo di questi tre personaggi, la visione dell'opera non sarà senza dubbio uno spreco di tempo.




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Soltanto di recente ho scoperto che il compianto Satoshi Kon fosse anche un mangaka prima di diventare il celebre e acclamato regista di film (Perfect Blue, Tokyo Godfathers, giusto per citare i miei preferiti) e serie d'animazione (Paranoia Agent) che più o meno tutti conosciamo. Incuriosito da ciò, ho intrapreso la lettura di La stirpe della sirena, volume unico uscito nel 1990 ed edito in Italia dalla Star Comics quando ancora c'erano le lire. Tutto sommato, l'impressione che ne ho avuto è stata positiva.

La vicenda ruota attorno all'uovo di sirena che si tramanda di padre in figlio da sessant'anni nella famiglia di Yosuke, il nostro giovane protagonista. Naturalmente tutti tranne il nonno, ovvero colui che stipulò un patto con la sirena, sono convinti si tratti di una leggenda e il padre di Yosuke, forte di questa convinzione e aiutato da alcuni loschi individui interessati al mero profitto, decide di cogliere l'occasione per trasformare la ridente cittadina marittima in una meta turistica super attrezzata e affollata, la cui attrazione principale sarebbe ovviamente l'uovo in questione. Intanto, mentre Yosuke vede di sfuggita forme strane e inquietanti nelle acque della baia, il patto sta per scadere e la situazione comincia a precipitare sempre di più fino a quando...

Sono piuttosto soddisfatto del character design e dello stile in generale: le tavole sono sempre ordinate senza particolari tagli di vignette (mi ha ricordato lo stile di Taniguchi) e i personaggi sono semi-realistici e dettagliati, così come gli ambienti e i fondali. Plauso particolare per l'acqua e i relativi effetti di luci e ombre: per fare un esempio, a un certo momento una torcia cade in acqua e illumina qualcosa sotto a una barca. Tutto ciò è reso così bene che fa quasi impressione, come se ci trovassimo davvero su quella barca, testimoni dell'intrinseco senso di ignoto del mare. A livello di sceneggiatura la storia scorre bene, ma personalmente ho sempre rimproverato a Kon una certa dose di ellissi fastidiose nel passaggio da un argomento all'altro. Con questo non voglio dire che ci siano lacune nell'intreccio o sbalzi temporali esagerati, solo ho avuto l'impressione che ci fossero dei vuoti tra le diverse sequenze. Comunque, detto questo, mi sento di consigliare questo piccolo gioiellino agli appassionati di Kon regista e anche a chi vuole trascorrere tranquillamente un paio d'ore leggendo una storia semplice ma gradevole.




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Seraphim - 266613336 Wings è sicuramente un progetto molto ambizioso e che aveva tutte le carte in regola per riuscire a soddisfare le pur alte aspettative. Ho appunto usato il passato, in quanto per ovvie regioni è rimasto incompleto e tale rimarrà. Viene comunque proposto in Italia in una edizione curata, scelta che approvo, pur essendo rimasto con l'amaro in bocca per non poterne leggere la conclusione.

Gli autori hanno creato un'ambientazione particolare, dettagliata, ricca di spunti interessanti. Vi è un chiaro riferimento all'iconografia cristiana: alla fine la stessa malattia, le mutazioni che provoca e le allucinazioni che crea, fanno pensare all'ascensione in cielo, ad un passaggio da essere umano a qualcosa di angelico. Passaggio che è rappresentato in modo non certo solare e luminoso, con una pandemia terribile e impietosa, misteriosa, distruttiva ancor più per chi rimane e cerca di combatterla. Oltre questo aspetto viene creato un verosimile contesto apocalittico dove i cieli sono, in certe nazioni, resi inutilizzabili a causa di immensi stormi di uccelli. Buona parte del volumetto è ambientato i quelle che sembrano le attuali regioni mediorientali, flagellate, oltre dalla malattia, anche dalla guerra.

In questo contesto si muove un gruppo di personaggi solido e con una caratterizzazione psicologica attenta e realistica, accompagnati da un paio di figure più misteriose ed enigmatiche. La trama fa inizialmente leva sulla curiosità per questa insolita e misteriosa malattia, ma ben presto introduce il lettore in un'ambientazione dalle diverse sfaccettature, che propone alcune osservazioni sociali per nulla banali, sostenute da protagonisti che mostrano man mano sempre più tasselli del loro passato e della loro personalità. La narrazione è efficace, i testi sono presenti se necessari, non sono mai inutilmente prolissi e sono sempre molto ben studiati, tanto da rendere la fruizione dell'opera piuttosto semplice, nonostante la complessità delle tematiche proposte.

Sfortunatamente sul più bello l'opera si interrompe, in modo impietoso ed improvviso.

Peccato.




9.0/10
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Satoshi Kon è tornato a sfruttare la sua tanto cara tematica tra sogno e realtà?
No, purtroppo Satoshi Kon è morto. Non fatevi ingannare dalla data di pubblicazione del volume post mortem. Opus si è concluso nel 1996 o meglio è stato sospeso dal fallimento della rivista Comic Guy.
Ma aspetta, Kon è veramente morto o lui è solamente un personaggio inventato nel fumetto?

"Chi è il vero Dio?
Il Creatore."

Sembrerebbe un inizio random, ma leggendo la sua opera tutto vi sarà più chiaro.
Si può tranquillamente affermare che Opus rappresenta i semi piantati da Kon per la sua carriera da regista. Infatti la dicotomia sogno-realtà presente in gran parte delle pellicole dell'artista ha inizio con Opus, ma diversamente da come spesso accade, Opus non è una grezza coesione di idee e tematiche successivamente sviluppate meglio. Esso infatti è per me la sua opera più riuscita.
E' un manga complesso, ma facile da seguire grazie al talento innato di Kon nel raccontare storie e la sua capacità di creare un nuovo mondo che è verosimile, ma allo stesso tempo pieno di buchi e in questi buchi si dà spazio alla fantasia risultando così un mondo di mezzo. Dunque la storia viene raccontata su tre livelli: quello reale, la fantasia e nel mondo di mezzo, che è il confine tra i due precedenti. La fantasia è l'amante ideale, è ciò che tu vorresti potesse sostituire il tuo mondo. Tutto ciò accade in Opus, ma in chiave meta-fumettistica, nel senso che si tratta di un fumetto che parla di un fumetto e la realtà di Opus si mischia, tramite i buchi(mancanze che il disegnatore, Chikara Nagai, non è riuscito a colmare per via della serializzazione), a quella di Resonance.
Resonance è il fumetto su cui sta lavorando il protagonista di Opus, Chikara Nagai, che ormai giunto alla fine non vorrebbe mettere da parte per sempre quella che lui considera una parte di sé, cioè Resonance. Dunque stressato da ciò, oltre ai normali stress da fumettista, entra letteralmente nel suo fumetto da una delle sue ultime tavole. Si ritroverà dunque in un mondo che conosce come le sue tasche o quasi (non conosce tanto bene le parti create dai suoi assistenti!), incontrerà persone che ha lui stesso creato, quindi la protagonista di Resonance, Satoco. Dover spiegare a qualcuno che è stato creato da te, anzi che lui in realtà fa parte di un fumetto, presentandoti dunque come un Dio, non è certo facile, di conseguenza si instaurerà subito un rapporto atipico basato sullo stupore e la ricerca della verità oltre all'alleanza per sconfiggere l'antagonista di Resonance.
Ciò che sta accadendo al protagonista è davvero la realtà oppure è un sogno? E se questa situazione si è verificata perché è proprio il fumetto a ribellarsi, anzi e se fosse uno dei suoi personaggi che ha poteri speciali a volere ciò? Ma come fa un fumetto a mettere a rischio la carriera di un fumettista per sua volontà? Già, perché Chikara non riuscirà più a disegnare la fine di Resonance per i sensi di colpa dopo aver vissuto la sua esperienza nel fumetto. Può un umano cambiare il volere di un Dio, il suo creatore? Perché mai Dio dovrebbe aver compassione per un qualcosa su cui ha avuto la totale consapevolezza da sempre? E' ancora definibile libero arbitrio l'impossibilità di opporsi agli eventi e lasciare che il destino si compia?
Grossomodo sono queste le domande che si pongono i personaggi di Opus, Resonance e il lettore. Tematiche esistenziali, ma che non vogliono imporsi come religiose perché lo scopo principale è sempre capire quale è la realtà e fin dove si espandono i suoi confini. La realtà ci aggrada oppure stiamo vivendo di sogni e false speranze? Riusciremo a mettere da parte la fantasia per potere affrontare al meglio la dura realtà come un uomo che finalmente taglia il cordone ombelicale che lo legava ancora alla mamma/famiglia?
Opus viene giustamente etichettato come "fumetto d'intrattenimento sperimentale ", infatti è piuttosto leggero e spontaneo, qualità che dà valore aggiunto alla verisimiglianza dell'opera, ma per i restanti 45 gradi complementari Opus è meta-narrazione, rottura degli schemi tipici di un fumetto.
Kon può vantare di un disegno che fa come suo riferimento principale lo stile di Katsuhiro Otomo, con cui ha anche lavorato, soprattutto per i sfondi dettagliati(seppur non lentamente accostabili ad Akira) e un character design abbastanza realistico. Non mancano neppure somiglianze visive con altre sue opere ad esempio Mei con Sera di Seraphim, il detective con Melchior sempre di Seraphim e così via.
Ad una classica regia di disegno cinematografica non mancheranno pagine che rompono la quarta dimensione, vignette che rappresentano allo stesso tempo Resonance "cartaceo" e Resonance "reale", zoom out che svelano la finzione sulla realtà, vignette rotte come uno specchio all'interno delle vignette, turbini di tavole che rappresentano il passato che scorre davanti agli occhi di personaggi finti.
Allo stesso modo la narrazione toccherà picchi di genialità a tre strati(fumetto nel fumetto nel fumetto, Opus che parla di X? Che parla di Resonance).
Opus è il tipo di fumetto che ogni fumettista vorrebbe aver scritto se ci tiene veramente al suo lavoro.
E' una sorta di 8 e ½ felliniano e Sunset Boulevard di Wilder, ma questa è anche l'unica pecca che mi sento di criticare: la troppa "linearità" e chiarezza, che poi è da ricercare nell'intento originale, ossia il fumetto di intrattenimento. Opus non è tanto lineare per un fumetto standard, ma lo è se si vuole fare qualcosa di sperimentale, secondo me doveva avere una narrazione criptica e surreale, quindi ritornando al meta-cinema doveva essere come Talking Head di Oshii o Inland Empire. Detto questo, non mi rimangio la frase sul talento narrativo di Kon, infatti con questa impostazione lui ha ottenuto il massimo risultato ottenibile.

Come potete notare Opus è incompiuto. Errato. Tenere da parte l'ultimo capitolo non pubblicato su rivista, perlopiù fatto di schizzi, non è altro che la sua volontà. E' la rappresentazione stessa di Satoshi Kon come fumettista, è il Chikara Nagai fatto carne, è il tema portante di Opus, che Kon ha reso anche materiale lasciandolo così. Finale più adeguato non esiste, è una di quelle opere d'arte che sono compiute a modo loro anche non essendolo. Ricordiamoci che è morto nel 2010, non nel 1996, quindi poteva anche finire di inchiostrare gli schizzi se proprio non voleva pubblicarli.
Per gli amanti del meta-fumetto e non, tanto vi travolgerà sin dalle prime pagine.