Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi appuntamento libero, con gli anime Midori, la ragazza delle camelie, Saint Seiya Soul of Gold e Tenshi no tamago.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


Per saperne di più continuate a leggere.



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Nella filosofia orientale, sopratutto nel buddhismo, il tema riguardante la linea di demarcazione tra illusioni e realtà è dominante. Al di là della ruota dell'esistenza, che imprigiona le creature nell'eterno ciclo del Samsara, c'è l'assoluto, il quale allo stesso tempo è il nulla. La sofferenza prodotta dalla vita nel mondo dell'illusione è uno dei temi chiave degli insegnamenti del Buddha. Così come la liberazione dalla sofferenza derivante dalle illusioni create dalla nostra mente. Ora provate a immaginare una trasposizione horrorifica e malata di tale concezione, nella quale il vivere è pura angoscia. Una cosa nauseante. Macabra. Grottesca. Questa è l'idea che ha avuto Hiroshi Harada, il quale, da solo, per cinque anni, ha creato questo controverso film, "Midori/Shoujo Tsubaki", basandosi sul manga di Suehiro Marui, adattamento a fumetti di una "Kamishibai" (lett. "dramma su carta"), ovvero un racconto folkloristico giapponese tramandato in passato dai monaci buddhisti attraverso le "emakimono" (lett. "pergamene immagine"). Diciamolo subito: per l'elevata dose di violenza disturbante, psicologica, con incursioni nello splatter e nel macabro, "Midori" potrebbe scoraggiare parecchio alla visione. Oppure lo spettatore occasionale a digiuno di cultura orientale potrebbe snobbarlo come un semplice horror più malato del solito. Ergo non si tratta di una visione adatta a tutti, ma solamente a un certo target di pubblico di mente aperta, che magari ha già apprezzato il folkloristico "Mononoke" e certi lavori di David Lynch, come ad esempio "Eraserhead" e "The Elephant Man".

Midori è una sfortunata ragazza-archetipo di umili origini, la quale per sopravvivere è costretta a fare la schiava in un circo; ivi verrà maltrattata, sarà l'oggetto di cattiverie e abusi di vario tipo; la sua unica consolazione sarà l'amore dell'inquietante "mago della bottiglia" Masanitsu, sentimento che non mancherà di far scatenare la feroce invidia dei mostruosi feticci umani del circo. E' fin troppo chiaro, una delle metafore del film è la perdita dell'innocenza nel circo della vita/esistenza, tema che, inconsciamente, mi ha fatto associare l'opera all'ambiguo brano "Circus" contenuto nell'album "Lizard" dei King Crimson. Le musiche di J.A Seizer ("La rivoluzione di Utena") sono ineccepibili, fascinose e ataviche, allo stesso modo delle immagini che accompagnano: si pensi all'alchimia suono-immagini della memorabile sequenza finale del film, la quale traspone in modo molto suggestivo la metafora orientale del mondo delle illusioni.

Non è per nulla un semplice horror, "Midori". Al di là dei già discussi intenti metaforici e folkloristici, il film ha una sua poetica molto particolare, coadiuvata da raffinati disegni in pieno mood retrò; infatti, non a caso, l'opera viene spesso paragonata al capolavoro targato 1973 "Kanashimi no Belladonna". Ergo le tecniche d'animazione utilizzate si rifanno agli standard in voga negli anni '70: primi piani intensi e drammatici, pochi frame disegnati interamente a mano, effetto cartolina alla Dezaki, utilizzo delle inquadrature trasverse per accentuare il senso del claustrofobico e così via. Come accadeva in "Belladonna", la perizia registica si fonde con gli sperimentalismi low budget, tuttavia creando un prodotto unico nel suo genere, quanto mai angosciante, affascinante, violento e maledetto.




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Di "Saint Seiya", probabilmente, non ci libereremo mai. Del resto, è già da più di una decina d'anni che l'opera di Masami Kurumada sta vivendo una nuova giovinezza tramite infiniti spin off in forma cartacea e animata. Ogni volta, puntualmente, ci casco, ricercando le emozioni che questi guerrieri mitologici mi avevano dato durante l'adolescenza, e ogni volta, puntualmente, rimango deluso, trovando serie che di "Saint Seiya" hanno solo l'apparenza, ma a cui manca il fascino dell'ormai mitica (è proprio il caso di dirlo) serie anni '80.
Questa volta tocca a "Soul of Gold", una miniserie animata i cui protagonisti sono (ancora) i dodici Gold Saint. Protagonista ufficiale è Aiolia del Leone, ma i suoi capelli sono ancora castani e il disegno generale è simile a quello della serie classica, privo di personaggi effeminati e di confusione stilistica, quindi da ciò si evince che "Soul of Gold", pur avendo gli stessi protagonisti, non è la versione animata del manga "Episode G".

Le premesse da cui parte "Soul of Gold" appaiono ridicole e insensate, e tali rimangono per tutta la serie, tutto sommato: mentre Seiya e compagni sono nell'aldilà, impegnati a combattere contro Ade, i dodici Gold Saint vengono resuscitati in circostanze misteriose, dopo aver perso la vita sacrificandosi al Muro del Pianto, e si ritrovano fra le nevi di Asgard, impegnati in un'enigmatica missione che li porterà a scontrarsi contro un misterioso officiante, un dio malvagio e l' (ormai inflazionatissimo) albero Yggdrasil. Una storia talmente assurda che, paradossalmente, spinge lo spettatore a interessarsi alla serie per vedere come verrà giustificata, anche se poi, quando arriveranno le risposte, saranno confuse e poco soddisfacenti.
Di base, non v'è nulla di particolarmente diverso dalla saga di Asgard vista nella serie anni '80: l'ambientazione è la stessa, i personaggi sono più o meno gli stessi (compaiono Hilda, Freya, Siegried e persino gli altri God Warrior noti ai fan storici, anche se solo in brevissimi flashback), la struttura è la stessa ed è la stessa persino la sigla, visto che la opening della serie è un rifacimento della storica "Soldier Dream".

I nuovi avversari dei Gold Saint non si distinguono né per il design (non particolarmente ispirato salvo rarissime eccezioni) né per il carattere o il background, sebbene, come nella saga di Asgard classica, anche a loro siano concessi qua e là dei flashback che ne spiegano le motivazioni. Ci si prova, a caratterizzarli, ma risultano personaggi che scompaiono nell'anonimato, al punto che viene più facile preferir loro persino i generali marini della classica saga di Poseidone, che almeno avevano dalla loro poteri particolari legati alla mitologia o al loro luogo d'origine, che davano una piacevole nota di colore agli scontri che li vedevano protagonisti. Questi nuovi guerrieri di Asgard non hanno le storie struggenti dei loro predecessori, non hanno armature particolarmente belle, non hanno colpi particolarmente speciali, quindi difficilmente vien da fare il tifo per loro.

Non va granché meglio al lato "buono" della barricata, per colpa del problema che i Gold Saint si portano dietro da sempre, ma che in Giappone, galvanizzati dalle vendite dei loro modellini, non si riesce proprio a capire. C'è un motivo se nell'opera originale i protagonisti erano i Saint di bronzo, giovani e inesperti, e non quelli d'oro, adulti, fighi e implacabili, e questo risiede nel grandissimo margine di crescita che avevano Seiya e compagni, che all'inizio della serie sono ragazzotti egoisti e terminano la storia arrivando a maturare un eroismo che li porta a un passo dalla divinità.
I Gold Saint non possono avere questo percorso, essendo personaggi già adulti e "formati". Arroccati sul loro piedistallo dorato, forti del loro rango superiore, i Gold Saint sono impenetrabili e maestosi, ma è stato bellissimo, nella serie originale, vedere le loro dorate convinzioni crollare a causa degli inesperti colpi di giovani e passionali guerrieri di bronzo a cui poi si ritrovano legati in maniera indissolubile, diventando per loro saggi maestri, esempi, straordinari fratelli maggiori che condividevano con Seiya e compagni la loro saggezza solo in alcuni casi estremi.
Rendendoli protagonisti, tutto ciò si perde e, comprensibilmente, ciò che si ottiene è una serie di scontri in cui i Gold Saint 'sfigheggiano' e fanno la paternale ai loro avversari, rendendo le battaglie ripetitive e poco interessanti.
Fortunatamente, si è colta la propizia occasione di approfondire i rapporti interpersonali fra di loro, di risolvere alcune questioni che inevitabilmente l'averli tutti e dodici vivi dalla stessa parte dopo i fatti della serie storica si portava dietro, di ricondurre sulla retta via quei guerrieri che nella serie vi si erano allontanati. Sono questi piccoli momenti in cui a parlare sono gli uomini e non i guerrieri la cosa più interessante di "Soul of Gold", che finisce per farsi apprezzare maggiormente per scene inaspettatamente toccanti o comiche sparse qua e là piuttosto che per i suoi noiosi scontri o per la sua storia confusa.

A "Soul of Gold" non mancano le forzature, le assurdità e le contraddizioni con la serie originale, ma è una serie dall'intento dichiaratamente commerciale, creata esclusivamente per vendere nuovi modellini - che dare l'armatura divina solo ai Bronze Saint era uno spreco, quando c'erano dodici nuovi modellini serviti su un piatto d'argento. Le armature divine d'oro non sono male, ma risultano abbastanza campate in aria, lontane dal legame sacrale e toccante che aveva portato alla creazione delle God Cloth originali nella serie storica.

A differenza di molti altri spin off cartacei e animati, che per questo sono stati criticati, qui il disegno e lo stile cercano di allinearsi quanto più possibile a quello della serie animata storica: niente tutine attillate, gemme che si trasformano in armature, capelli tinti di rosso, artifizi vari da shoujo manga. Non è una serie particolarmente dinamica, così come il manga che l'ha ispirata, ma ogni tanto ha i suoi momenti anche durante gli scontri, grazie anche a una buona colonna sonora dai ritmi epici quando servono. In sala di doppiaggio sono stati richiamati i doppiatori storici, ma l'età avanza e si sente, e l'effetto non sempre è bellissimo, specialmente quando i personaggi sono ancora giovani, bellocci e prestanti, ma la voce è anzianotta.
Buona la nuova versione di "Soldier Dream", sigla molto bella di cui si era sentita la mancanza nel "Saint Seiya Omega" di un paio di anni fa (che furbi, avevano già questo in mente, ecco perché lì non fu usata), mentre la sigla di chiusura è carina ma dimenticabile.

"Soul of Gold" è una serie abbastanza dimenticabile, che vive di luce (dorata) riflessa ma non propone granché di interessante, salvo un lungo spot per dei nuovi modellini. Ha avuto, ogni tanto, i suoi momenti e le va dato merito di aver usato personaggi storici senza snaturarli troppo, ma anzi riuscendo a interessare i fan con buoni spunti per la loro caratterizzazione, purtroppo intervallati da scontri abbastanza noiosi. Un "Saint Seiya" (in teoria, Seiya non c'è) classico in molti aspetti, ma tutto sommato superfluo.




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Alla domanda relativa al contenuto di questo lungometraggio, a quanto pare il regista Mamoru Oshii rispose che non lo sapeva nemmeno lui. Il character designer Yoshitaka Amano, d'altra parte, in un'intervista al New York Comic Con di qualche anno fa, ha voluto fornire degli indizi interessanti, affermando che una delle influenze di "Tenshi no Tamago" è un film drammatico del 1973 intitolato "El espíritu de la colmena" ("Lo spirito dell'alveare") ad opera del regista spagnolo Víctor Erice Aras. Riflettendoci, in effetti, tra i due film si possono individuare numerosi punti di contatto a livello di significato.
Amano ha dato anche un altro indizio, rivelando che al tempo della realizzazione del film d'animazione in esame, Mamoru Oshii stava attraversando un avvenimento molto spiacevole nella sua vita privata, che per rispetto non espliciterò in questa sede, ma che forse fa capire qualcosa di questo caotico incubo sotto forma di cartone animato, di questo terrificante grido di dolore.

Il lavoro tecnico effettuato in questo film mi lascia del tutto sorpreso: è un film di ben trent'anni fa, eppure la grafica sembra molto più accurata e più sottile della quasi totalità degli anime più recenti. Nemmeno negli altri anime che presentano Yoshitaka Amano al character design ho mai visto niente di simile. Parte di me capisce bene che può risultare in un certo qual modo attraente, ma dall'altra parte lo stile adottato in quest'opera mi trasmette un lontano senso di terrore. I due personaggi hanno degli strani occhi quasi assenti e privi di vita. In certe inquadrature la bambina sembra quasi avere il volto di una bambola di porcellana, anche perché indossa quella che sembra una camicia da notte in stile ottocentesco. Le animazioni sono ridotte al minimo, con diverse scene di totale immobilità, lunghe anche qualche minuto, tanto risulta flemmatico e statico il film nel suo insieme, ma sono contenuti qua e là pochi piccoli climax di movimento fluido piuttosto sorprendente per essere stato fatto nel 1985.
L'ambientazione dai toni gotici è del tutto surreale, con città e abitazioni intatte ma deserte.
Le musiche sono piuttosto eterogenee: a tratti sentiamo un pianoforte solista emettere melodie ermetiche e oniriche, a tratti si esplode in pomposi e drammatici cori che mi ricordano un po' il cinema biblico d'altri tempi.

Sul piano dei contenuti, io penso che in questo caso sia un errore tentare lo sforzo di leggere tanto a fondo. Tuttavia le informazioni fornite da Yoshitaka Amano mi illuminano riguardo alcuni punti essenziali: in questo film si assiste alla distruzione dell'innocenza di una bambina, interessata alla vita e piena di speranze per il futuro, dopo aver sostenuto il confronto con il mondo tormentato e disilluso di un adulto. Quando il guerriero vede davanti a sé quel che sembra l'oggetto dei suoi confusi ricordi, il suo volto si rattrista, quasi a voler dire: "Sarebbe meglio che tutto ciò fosse soltanto un brutto sogno, tutto questo dovrebbe essere cancellato".
Probabilmente ciò a cui assistiamo in questo film è anche esattamente uno "spirito dell'alveare", ovvero una volontà cieca ma inarrestabile che continua a perpetuare e riciclare la vita terrena, così come le api lavorano instancabili senza riflettere, spinte da una forza istintiva sconosciuta. Il modo in cui questo "spirito" viene rappresentato è molto disturbato e ricolmo di malessere, mi sembra.

Ma ritengo che il tema centrale del film sia quello introspettivo e psicologico: il mondo ingenuo, innocente e sognatore dell'infanzia contro la macchia - ma anche il distacco emotivo - dell'età adulta. Quel che rimane è un irrisolvibile punto interrogativo sull'esistenza stessa.

Per quanto dietro la realizzazione tecnica ci sia un buonissimo lavoro, sul piano sostanziale l'ho trovato decisamente insostenibile. Esprime una condizione di disagio del tutto inutile e dannosa.
L'autore sembra davvero voler gridare il proprio stato di malessere, chissà contro cosa; forse contro un forza creatrice che tra le righe egli sembra affermare, in fin dei conti, forse in maniera vagamente affine alla filosofia dei cristiani gnostici e a quella platonica, ma il suo grido non lascia niente che possa servire veramente alle persone, niente che possa arricchire interiormente: solo un mero esercizio espressivo di dolore e insoddisfazione.
Francamente, a me non importa del gran lavoro tecnico, se non è solidamente sostenuto da una effettiva sostanza. Esistono molti anime tecnicamente inferiori a questo, ma sostanzialmente anni luce superiori. Quella che in questo film potrebbe sembrare sostanza, in realtà a me pare solo un futile vuoto di sofferenza psicologica. Questa è la mia opinione.
Per questi motivi, personalmente, gli assegno un voto inferiore alla sufficienza.