Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi appuntamento libero, con i manga RG Veda, Bleach e Cross Game.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


Per saperne di più continuate a leggere.



7.0/10
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Grazie alla riedizione della Magic Press ho potuto comprare e gustarmi quest'opera delle Clamp che, devo dire, mi ha lasciata con l'amaro in bocca. L'entusiasmo iniziale della lettura è mano a mano decaduto in un "dai che manca poco", e non a causa della pubblicazione fattasi irregolare negli ultimi numeri.

La trama è tratta dagli scritti sacri che sono alla base della religione vedica e dell'Induismo; non avendoli letti non posso sapere quanto ci sia di Clamp e quanto di originario, ma di certo questo influisce nell'azione e nell'essere dei personaggi, bene o male tutti burattini ai fini della storia, rinchiusi nella loro tipologia mitica e incapaci di atti sconclusionati o imprevedibili.
La storia segue un unico tracciato ben delineato, e chi ha un minimo di conoscenza mitologica anche solo classica può tranquillamente intuire i vari "colpi di scena" pagine prima che succedano, sia a causa del carattere, delle azioni e delle parole dei personaggi, sia dalla struttura stessa della storia, decisamente lineare, propriamente affine alla linearità delle narrazioni epiche.
Se questo era lo scopo delle autrici, allora sono le prime ad essere riuscite a creare la dimensione del mito e ad utilizzarne il linguaggio tramite il fumetto, cosa che per ora non mi sembra abbia fatto nessun altro. Altrimenti pazienza, l'opera è comunque un buon mezzo di intrattenimento, in media un volumetto occupa più tempo di lettura di un normale manga sia per l'impostazione grafica delle pagine, che per la densità di forma e contenuto dei baloon.

Lo stile di disegno va in crescendo dal primo all'ultimo volumetto, si notano miglioramenti nei volti, nelle mani e in generale nell'anatomia (tenendo conto del genere anatomico delle Clamp, in questo caso di figure longilinee ed eleganti, decisamente sproporzionate ma adatte alla narrazione epica). Anche nell'impaginazione, andando avanti la leggibilità delle tavole migliora, non si devono passare 5 minuti sulle vignette a distinguere linee, forme, volti o poteri elementali, anche se aumenta considerevolmente il numero dei baloon e la densità di testo.
Le illustrazioni a colori e le copertine sono ben curate, purtroppo in stampa è difficilissimo rendere bene il dorato, e chi ha visto le tavole di RG Veda esposte a Lucca nel 2009 può confermarlo, ma la Magic Press è stata attenda a non farlo diventare un grigio giallastro, e già per questo meriterebbe i complimenti.
I volumetti sono ben fatti, pochi danni da imballaggio, un piccolo occhio nell'aprire e piegare bene la copertina e il volume non rischia scollamenti di alcun genere.

Il mio giudizio personale non è molto buono, la storia mi ha lasciato l'amaro in bocca a causa della facile prevedibilità degli eventi, di una certa rigidità nella storia e nelle caratteristiche dei vari personaggi, decisamente troppo freddi e distaccati (anche se Kendappa-O è l'unica che mi abbia davvero colpita, probabilmente è il personaggio che mi è piaciuto di più).
Se avessi fatto la recensione immediatamente dopo la lettura il mio voto personale sulla storia sarebbe stato un 5, ma alla luce delle riflessioni postume scritte sopra, il mio giudizio personale si alza a 6, mentre l'edizione è da 8, quindi come voto finale do un 7.




7.0/10
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Il genere “shonen jumpico” alla sua ennesima potenza!
Bleach parte come clone di YuYu, si trasforma in un Saint Seiya con un tocco di Dragon Ball Z, infine decide di invertire le dosi diventando, almeno per quanto riguarda la mole di mazzate senza senso e senza cervello, il degno erede della seconda parte della celebre opera di Toriyama.
Durante le varie saghe non dimentica di riciclare tutto ciò che i suoi ispiratori ci avevano già mostrato: ragazzini dotati di poteri paranormali (naturalmente tutti compagni di classe) si dedicano dapprima alla caccia al mostro nella loro città, dopodiché partono per altri mondi alla ricerca di fanciulle rapite, ovviamente facendosi largo a suon di botte. Non mancano: guerrieri con alle spalle secoli di esperienza in battaglia che si fanno mettere sotto da un gruppo di quindicenni, il protagonista posseduto ogni tot dal suo mostro interiore, storie di ordinaria sfiga (non ce n’è uno che abbia tutti i membri della famiglia ancora in vita!), nemici che diventano alleati, buoni che in realtà sono cattivi, gli eroi ad un passo dalla sconfitta che si riprendono grazie a incoraggiamenti e forza di volontà… Siete sopraffatti da cotanta originalità, vero? No? Beh, non importa, perché, anche se i primi 5/6 volumi potrebbero trarvi in inganno, ben presto vi renderete conto che tutto quel che c’è tra una "spadata" e l’altra non ha poi molta importanza; si tratta di pretesti, più o meno adeguati a seconda dei casi, per poter mostrare ciò che veramente conta in questo manga: le mazzate.
Mazzate tra personaggi stilosi inframmezzate da qualche scenetta comica, qualche lacrima e qualche intrallazzo tra shinigami: questo è Bleach, signori, né più né meno.
Ora, la cosa potrebbe anche andare bene se non fosse che il buon Kubo, nel tentativo di rendere le suddette mazzate il più possibile esaltanti e spettacolari, spesso getta alle ortiche ogni logica e coerenza, mettendoci di fronte a trovate quantomeno discutibili: rapporti di forza completamente sballati, che variano in base al personaggio da esaltare in una determinata occasione, gente che all’improvviso scopre di saper volare meglio di Superman, idioti che tengono nascosti i loro veri poteri fino all’ultimo per motivi assurdi, il maggior numero di salvataggi in extremis mai visti in un manga, power-up istantanei… e ora che ci penso, perché gli spiriti dei morti dovrebbero sanguinare, ammalarsi o, addirittura, ri-morire?
A questo punto avrei già elencato abbastanza elementi per giustificare un votaccio, anzi, se non fosse per il buonissimo chara design e per alcuni personaggi assai carismatici (Kenpachi è un mito!), potrei tranquillamente etichettare il tutto come “spazzatura” senza il timore di aver esagerato.
Invece, non solo non lo stronco, ma gli regalo pure un grasso 7 perché nonostante la scarsa innovazione, la ripetitività, le molte sciocchezze che devo far passare per buone e tutto il resto, Bleach a me piace.
Non ho motivazioni valide, i difetti ci sono e si vedono, e non mi passa neanche per l’anticamera del cervello di affermare che siano perdonabili per qualche strana ragione; semplicemente, mi piace e basta.
L’unica spiegazione sensata posso darvela ripetendo ciò che rispose la mia saggia nonna quando le chiesi perché seguisse Beautiful, nonostante si rendesse perfettamente conto di che idiozia fosse: “È sciocco, privo di contenuti e a volte fa cader le braccia per l’assurdità generale. Però non lo nasconde, non ti fa credere di essere una storia seria, intelligente o verosimile. È una specie di amichetto scemo che vuole solo farti rilassare per qualche minuto senza impegno; se lo vedi così, senza prenderlo sul serio e senza star lì a contare i difetti, non è poi tanto male, il suo dovere lo fa.”
Ecco, se, come me, per staccare il cervello non chiedete altro che della sana e scriteriata azione, Bleach è il vostro “amichetto scemo” ideale! Non vuole reinventare un genere, non finge di avere chissà quale messaggio da comunicare, è semplicemente un picchiaduro votato al disimpegno, un onestissimo prodotto di puro intrattenimento che, se seguito col giusto spirito, risulta godibile e simpatico nonostante tutto.
In parole povere: non fatevi troppe domande e godetevi Candeggino (o Shirosaki, ogihci, omino bianco o come cavolo _non_ si chiama) che mette un po’ di strizza a Ichigo e ai suoi boriosi avversari!
In definitiva: sì, Bleach è obiettivamente una gran scemenza, ha più difetti che pregi e la sua popolarità è dovuta al fatto di essere molto commerciale più che a qualche elemento davvero degno di essere ricordato; ma almeno è una scemenza divertente e per nulla presuntuosa, e, per quanto mi riguarda, una buona commercialata merita di portarsi a casa un 7 molto più di tanti altri spocchiosi titoli incapaci di mantenere ciò che promettono.
Consigliatissimo se cercate una storia leggera e tanta azione: potreste affezionarvici più di quanto possiate immaginare!




8.0/10
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<b>ATTENZIONE SPOILER</b>

Si è appena concluso, con il volume n. 17, Cross Game, uno dei più recenti lavori del Maestro Mitsuru Adachi, manga vincitore del Premio Shogakukan nella categoria shonen nel 2009. Che dire? I "topoi" di Adachi ci sono tutti: la poesia della quotidianità, lo sport, la gioventù, un sogno da realizzare e la morte inaspettata e prematura di una delle protagoniste principali: la dolce e bella Wakaba, bambina di appena 11 anni. Questo tragico evento cambierà per sempre la vita e l'anima di coloro che la amavano, lasciando in loro un vuoto incolmabile ma, nello stesso tempo, il suo ricordo nelle loro menti resterà così vivo da influenzare in maniera decisiva le loro esistenze, le loro scelte. Un assenza che diventa presenza direi, come se la loro amata esistesse ancora e ne fosse la guida.

Veri protagonisti della storia sono proprio coloro che sono stati più segnati dalla scomparsa di Wakaba, visto il rapporto particolare che li legava a lei: Aoba Tsukishima, la sorella più piccola di un anno, e Kitamura Ko, vicino di casa ma più che altro oggetto dell'amore e della stima di Wakaba, da sempre.
Proprio questo particolare legame che unisce Ko e Wakaba, indispettisce e ingelosisce (di chi?) Aoba in continuazione e non fa che inasprire il suo carattere già scontroso, ruvido e indomabile. A ciò si aggiunge la svogliatezza con cui Ko si dedica al baseball, vera passione di Aoba, e la convinzione di Wakaba che Ko potrebbe diventare il miglior lanciatore del Giappone un giorno.
La sua antipatia e ostilità per Ko, perciò, perdura anche dopo che molti anni sono passati dalla tragedia. Il dolore che entrambi hanno vissuto in modo prepotente, la costante assenza di Wakaba che avvertono, pensando a lei in continuazione, non avvicina Aoba a Ko, non la ammorbidisce. Per lei, lui resterà sempre l'oggetto del suo odio. Mentre per lui, lei sarà l'unica ragazza capace di conquistarlo, proprio per la sua energia e caparbietà.

Ci vorrà il baseball (vero sport catartico per Adachi) e il comune desiderio di realizzare l'ultimo sogno di Wakaba, di vedere Ko arrivare al Koshien, ad avvicinarli piano piano, a far realizzare ad Aoba, anche se contro voglia, che Wakaba aveva ragione ad apprezzare Ko per le sue qualità umane, il carattere e le sue capacità nel baseball, che ne fanno un asso. Lui per conquistarla darà il massimo, arriverà al Koshien e riuscirà addirittura a lanciare la palla a 160 km/h, per dimostrare di essere il suo ragazzo ideale. Come compenso, si beccherà un bello schiaffo da Aoba per aver tentato di abbracciarla per la felicità di aver vinto e realizzato il desiderio di Wakaba. Tranquilli: subito dopo arriverà il cedimento di Aoba, che si lascerà andare ad un pianto liberatorio, di gratitudine e di felicità, sul petto di Ko.

Il finale è di quelli Adachiani alla massima potenza. Le mani di Aoba e Ko che finalmente si trovano e i pensieri di lei che continuano a insistere sul fatto che, più di chiunque altro, per sempre lei lo... detesta.
Forse questa volta però finalmente consapevole della falsità di questi suoi pensieri. È un finale aperto, come al solito, forse perché Adachi desidera far continuare a vivere i personaggi al di là dell'ultima vignetta del manga e non mettere il punto definitivo.
Così mi piace immaginare Ko e Aoba che continuano ancora adesso a bisticciare tra di loro come d'abitudine, con la consapevolezza però che si vogliono bene e sono fatti l'uno per l'altra.

Lo stile del manga non ha bisogno di molte parole. Chi ha già letto Adachi ritroverà tutte le caratteristiche tipiche di questo autore: un disegno semplice, tavole pulite e ordinate, momenti di silenzio e di pausa, che non fanno che accrescere l'aspettativa del lettore per le vignette successive. Naturalmente, anche se sempre gli stessi, i disegni del maestro si sono comunque evoluti nel corso degli anni e migliorati, senza perdere la loro identità. Il mio voto dipende dal fatto che non raggiunge i livelli massimi di Touch: anche se la storia un po' gli si avvicina, non raggiunge i vertici del suo capolavoro. In ogni caso è un voto alto perché Adachi tratta sempre emozioni e sentimenti profondi: i suoi protagonisti sembrano reali e comunicano una complessità interiore che difficilmente si trova in altri manga. La loro sostanza, il loro animo resta sempre un po' nascosto a noi lettori che dobbiamo intuire, osservare, riflettere sui loro comportamenti e sentimenti per cercare di capirli a fondo al di là della superficie. Restano creature complesse, con un alone di insondabile, così come accade nella vita reale con le persone che incontriamo quotidianamente. Riuscire a creare una situazione del genere, tramite disegni, non spettacolari poi, è veramente difficile,se ci si riflette. E poi il tutto è condito con una forte dose di ironia, di battute simpatiche e originali, di personaggi che sono macchiette e rallegrano la vicenda e le danno brio.
Adachi regala sempre opere di qualità, senza banalità, senza sentimentalismi da romanzetti rosa, situazioni eclatanti ma irreali e da soap opera. Il che non è davvero poco.