Il poster ufficiale di One-Punch ManChiudete per un attimo gli occhi. Immaginate di trovarvi improvvisamente di fronte a un tizio anonimo, di media statura e completamente calvo, che – avviluppato in un’improbabile calzamaglia color giallo canarino – vi fissa svogliatamente con un ancor più improbabile sguardo da pesce lesso, affermando di essere un “supereroe per hobby”. Quale sarebbe la vostra reazione d’innanzi a costui? Credereste che in realtà vi trovate al cospetto della creatura più forte dell’intero universo, capace di polverizzare qualsiasi cosa gli si pari davanti con un singolo pugno sferrato senza neanche troppa convinzione?
 
One-Punch Man, serie d’animazione del 2015 della durata di dodici episodi, è ciò che apparentemente potrebbe definirsi “semplice”. Fulcro assoluto dell’opera è l’apatico Saitama, mediocre supereroe “per diletto”, ma dotato dell’incredibile capacità di spazzar via qualsiasi nemico con un pugno solo; le molteplici e pericolosissime minacce alle quali la Terra è costantemente soggetta si risolvono dunque – con somma delusione dello stesso protagonista – in un combattimento a tempo record nel quale il villain di turno viene puntualmente stecchito in un sol colpo. Fine. Il tutto con una semplicità tanto disarmante quanto esilarante.
L’immediatezza è quindi tangibile ovunque: nella trama, nei personaggi, nei dialoghi, nello svolgimento degli eventi e nel loro scioglimento, riflettendosi ed espandendosi in un minimale meccanismo narrativo che procede a una velocità spropositata, diretto e tagliente come un pugno. E, a conti fatti, il problema è proprio questo: le numerose complessità nel recensire questo titolo nascono paradossalmente proprio dalla sua semplicità; o meglio, da tutto ciò che è occultato dietro la veste di (parossistica) immediatezza che lo circonda. Perché fermarsi alla superficie, nel suddetto caso, è esattamente il modo peggiore di approcciarsi alla serie e ai suoi contenuti.
 
Iniziamo con qualche breve cenno storico: la genesi di One-Punch Man risale ancora al lontano 2009, anno in cui su un blog pressoché sconosciuto comparve il primo capitolo di un webcomic creato da un fumettista amatoriale, che firmava le proprie fatiche con il nome di ONE. Il singolare risultato generatosi dal connubio tra la scarsissima qualità dei disegni – dovuta alla totale inesperienza del suo autore – e il bizzarro, ma a modo suo brillante soggetto, portò l’opera a un successo sorprendente in patria: una popolarità tale che il blog fu notato nientemeno che da Yūsuke Murata, talentuoso disegnatore dell’apprezzato Eyeshield 21. Il celebre mangaka ne fu talmente colpito che, dopo aver saggiato il potenziale dell’opera, contattò immediatamente ONE e si offrì di ridisegnarlo da capo; a partire dal 2012 il remake ottenne una pubblicazione regolare in formato digitale sulla pagina web di Young Jump, una delle riviste di punta della casa editrice Shueisha, e raggiunse in tempi irrisori un successo planetario.
L’anime omonimo – approdato sul piccolo schermo nipponico verso la fine del 2015 e prodotto dal rinomato studio Madhouse – emerge in un momento di particolare crisi creativa del settore, sempre più monopolizzato dal consumismo dilagante e dalle derivanti esigenze di mercato; l’opera in questione dunque, per via della sua notevole e dissacrante originalità, raggiunge ampiamente e senza troppe difficoltà l’effetto sperato, ritagliandosi a suon di pugni – o in un colpo solo, per non venir meno al titolo – un posto d’onore tra le serie più seguite e apprezzate dell’anno.
 
Il “pugno normale” di Saitama
 
Arriviamo subito al punto: One-Punch Man è principalmente una decostruzione, nel senso più ampio e completo del termine. E ciò è ravvisabile innanzitutto nel personaggio principale, Saitama.
Avete presente i classici protagonisti belli, altruisti e perfettini tipici dei battle shōnen odierni? Quelli che con l’impegno e il sudore della fronte riescono a diventare sempre più forti e a superare qualsiasi avversità? Ecco, Saitama invece è già talmente forte da esserne addirittura depresso. Non ha bisogno di allenarsi né di impegnarsi, perché anche il nemico più invincibile e mostruoso per lui è cosa da niente; power-up, potenziamenti, teletrasporti, onde energetiche e super-armature sono completamente inutili, per il semplice motivo che la sua superiorità è talmente spropositata da essere irraggiungibile a priori. E pertanto, privo di sfide e stimoli a migliorarsi, Saitama si ritrova a trascorrere le proprie giornate nell’inedia, chiuso nella sua condizione di isolamento autoinflitto. Il nostro protagonista pelato può dirsi a tutti gli effetti un eroe-simbolo della postmodernità; egli rappresenta il classico “uomo medio” apatico e senza scopo, specchio di una generazione abituata ad avere tutto, che di conseguenza va passivamente ad alimentare quello che resta di una realtà estraniata e immersa nel più completo vuoto esistenziale.
 
Saitama e Mumen Rider

La “messa in dubbio” è dunque l’elemento chiave dell’opera: mentre Saitama scardina alla radice le strutture archetipali del supereroe, tutto ciò che lo circonda non è altro che la quintessenza dei più comuni cliché del genere. A partire da Genos, l’intrepido cyborg bishōnen che spalleggia il protagonista proclamandosi suo “discepolo”; Genos fa chiaramente il verso all’eroe canonico – normalmente punto focale dell’intera storia, qua ridotto al ben più misero ruolo di “spalla”. Ma il biondo androide non è l’unico caso, in quanto tutta la schiera di improbabili personaggi che si avvicendano attorno a Saitama non è che uno spunto per esibire un sarcastico coacervo di citazioni e rimandi all’immaginario shōnen, in tutte le sue forme e incarnazioni. Sia l’appassionato che lo spettatore occasionale ritroveranno in One-Punch Man quelle figure viste mille volte in mille opere diverse, (ab)usate fino alla nausea e spesso infilate senza cognizione di causa, tanto per buttare carne al fuoco: alieni che si rigenerano, ninja agilissimi, creature emerse dagli abissi marini o dalle profondità della terra, antichi maestri d’arti marziali, esper, mutanti, nerboruti energumeni in pose plastiche, e via discorrendo; a ciò si aggiungono inoltre tutte le situazioni ormai codificate e immancabili, come i classici e lunghissimi “pipponi” dei cattivi sul loro passato, qua gelidamente stroncati dal protagonista dopo pochi istanti («Bla, bla, bla… abbiamo già finito di combattere?»).
Saitama è l’eroe (im)perfetto inserito in una realtà perfetta: l’anime infatti è interamente giocato sul perenne contrasto tra l’iper-stereotipia del contesto e l’antitetica figura del protagonista, unico elemento completamente fuori luogo, e di conseguenza del tutto privo di una raison d’etre.
 
Saitama e Genos

In tutto questo andirivieni di situazioni e circostanze (volutamente) ripetitive, l’unico tessuto connettivo è costituito dall’Associazione degli Eroi cui il protagonista decide di iscriversi. Vera e propria istituzione gerarchica, l’Associazione offre diversi spunti di satira sociale, che vanno a valorizzare gli elementi prettamente parodistici della serie. I supereroi che ne fanno parte sono in larga parte degli smidollati e degli incapaci, desiderosi unicamente di ottenere successo e soldi; nei rarissimi casi in cui ciò non fosse vero, ci pensa la dura realtà a porvi un freno – come nel caso dello sfortunato Mumen (o “Spatent”) Rider, il cui appassionato entusiasmo è purtroppo direttamente proporzionale alla debolezza fisica. In una società come la nostra, sempre più standardizzata, legata all’apparenza e governata dalle etichette e da rigidi canoni comportamentali, l’Associazione degli Eroi mette in luce tutta la vulnerabilità dell’uomo postmoderno, incapace al pari del protagonista – che per ridicole questioni “burocratiche” si ritroverà inserito in classe C, ovvero la più bassa – di far fronte al sistema sconvolgente (e sconvolto) in cui è intrappolato. Nonostante Saitama abbia dimostrato svariate volte di essere la creatura più forte dell’universo, la sua “etichetta di eroe medio”, per la società massificata in cui vive, è paradossalmente assai più convincente della realtà visibile con i propri occhi.
 
Saitama in Classe C

Di fronte alla martellante impostazione narrativa, il “punto debole” (se così si può definire) di One-Punch Man diventa inevitabilmente la ripetitività. Ma attenzione, il fatto che qualcosa sia ripetitivo non implica che debba necessariamente subentrare la noia, in particolar modo se il potenziale espressivo viene valorizzato a dovere. Questo alla Madhouse l’hanno capito molto bene, a partire dal regista, Shingo Natsume: pur essendo un quasi-esordiente, l’ex collaboratore di Shinichirō Watanabe riversa nel proprio lavoro la sua lunga, ricchissima carriera come animatore di scene d’azione, imbastendo l’opera con una confezione raffinata e scrupolosa. L’esperienza accumulata da Natsume in questo settore si vede, perché One-Punch Man tecnicamente può definirsi quanto di più curato e sorprendente si possa trovare in questo periodo in una produzione televisiva.
Forte di uno staff giovane e talentuoso, l’anime deve quindi buona parte del suo apprezzamento alla meticolosa attenzione posta nella fase di adattamento del manga e nella sua messinscena filmica: pur non essendoci una totale fedeltà alla controparte cartacea per quanto concerne la sceneggiatura, la serie si impone una regia e un comparto grafico che – a partire da inquadrature e formalismi visivi – ne rimarcano pienamente lo stile. La colonna sonora inoltre si attesta su livelli più che buoni, fondendo sonorità elettroniche al rock con risultati decisamente riusciti: menzione particolare va allo splendido singolo “THE HERO!! ~Ikareru Kobushi ni Hi wo Tsukero~”, utilizzato per la sigla d’apertura e interpretato dalla celebre band JAM Project.
 

Ma il piatto forte dell’opera è rappresentato indiscutibilmente dallo straordinario apparato grafico, che esibisce un enorme dispiego di forze – appoggiandosi persino alla web generation virtuale, ovvero ai giovani talenti nati e scoperti sul web; le curatissime animazioni seguono lo stile impostato nei primi anni Ottanta da Yoshinori Kanada, una delle principali influenze dell’animazione odierna, attraverso la costruzione di folgoranti effetti visivi e focalizzandosi su movimenti volutamente esasperati e potenziati nelle pose chiave. Ulteriore rafforzamento dello stile “aspro” si ottiene grazie alla presenza di Yoshimichi Kameda, key-animator di punta della serie, già celebre per aver disegnato alcune delle più interessanti e virtuosistiche sequenze di Fullmetal Alchemist: Brotherhood: la sua impostazione grafica – poi ripresa e rielaborata da diversi altri animatori – fonde inquadrature grandangolari, modulazione delle lineart e un segno “sporco” e vigoroso, regalando all’opera un’energia fresca e dinamica che ben poche serie possono vantare.
È opportuno sottolineare che l’immenso lavoro tecnico che incornicia l’anime è frutto unicamente dell’estro e dell’entusiasmo infusi dallo staff nel proprio lavoro, tanto che lo stesso direttore delle animazioni Chikashi Kubota ha dovuto specificarlo di persona. Niente budget stratosferici, dunque: solo tanta passione e voglia di fare, che infiocchettano un’idea brillante e ottimamente sviluppata.
 

  
One-Punch Man – in Italia integralmente disponibile sulla piattaforma di streaming VVVVID.it – si dimostra in definitiva una piacevolissima sorpresa, che senza prendersi mai sul serio mette in scena le disgrazie dell’eroe medio con un’arguzia e un’ironia di grande efficacia, grazie anche a un eccellente comparto tecnico sempre funzionale all’insieme in cui è inserito.
Bastano dunque questi pochi elementi per innalzare il suddetto anime a “caposaldo” di un genere che pareva non avesse più nulla da offrire? Solo il tempo potrà dirlo con certezza, anche perché la mia impressione è che gli stessi autori si siano semplicemente concentrati sulla solidità del prodotto, senza crogiolarsi nell’inutile presunzione di sfornare a tutti i costi il capolavoro. Ma si sa che le cose più semplici sono spesso anche le più intense e incisive, e alla luce dei numerosissimi pregi One-Punch Man si merita ampiamente il successo ottenuto: è la prova concreta che con il talento e l’entusiasmo l’animazione giapponese è ancora in grado di produrre opere piacevoli, originali e di grande qualità.