Nell'era di Internet e della televisione, ci sembra che solo adesso le immagini rivestano una grande importanza, ma in realtà lo hanno sempre fatto, basta pensare ai grandi fotografi che con i loro scatti hanno fermato e tramandato i grandi e i piccoli fatti della storia. E prima? Prima c'erano i disegni, i quadri e in particolare in Giappone le ukiyo-e, cioè xilografie che raccontavano a 360 gradi la società nipponica dell'epoca Edo (1603-1868).
 

La parola ukiyo-e significa letteralmente "immagini del mondo fluttuante" e si ispira al concetto buddista dell'illusorietà dell'esistenza terrena. In particolare però durante appunto l'epoca Edo, acquistò una connotazione edonistica: poiché secondo questo principio la vita è breve e incostante, è meglio lasciarsi trasportare dalla corrente, vivere l'attimo e godere appieno dei piaceri transitori. Per questo fu associato ai momenti piacevoli che gli abitanti delle città trascorrevano nelle sale da tè, nei postriboli, nei teatri kabuki e agli incontri di sumo. Per capire meglio però la loro origine, occorre fare un tuffo nel passato e raccontare brevemente il contesto storico di quel periodo.
 

Nel 1603 infatti, lo shogun Tokugawa Ieyasu (1542-1616) decise di installare la sua base a Edo (il vecchio nome dell'attuale Tokyo), all'inizio un piccolo villaggio che però in pochi anni diventò una grande città, capace di rivaleggiare con Kyoto, la capitale imperiale. La pace dopo tanti anni di guerra e la stabilità economica favorirono la crescita dell'economia; inoltre fu instaurato un sistema che obbligava i daimyo a servire lo shogun a Edo e questo li obbligava a fare la spola fra i loro possedimenti e la nuova capitale, con notevole dispendio di denaro. Rapidamente i signori si indebitarono e finirono per chiedere prestiti alla classe dei mercanti e degli artigiani, facendoli diventare molto ricchi e facendo venire loro il desiderio di divertirsi e di vivere nel lusso.
 

Questa nuova classe agiata non tardò ad imporre i suoi gusti in tutti gli ambiti, dall'arte alla letteratura, dal teatro agli spettacoli di vario genere, dando vita ad una nuova ed effervescente cultura. Ed è in questo contesto che si sviluppa la tecnica della ukiyo-e che divenne in breve tempo molto popolare. Inizialmente importata dalla Cina per illustrare i testi buddisti, fu sdoganata anche per altri usi da Hishikawa Moronobu, uno fra i primi a stampare le sumizuri-e, in bianco e nero, usando inchiostro di China su carta giapponese. Ma il pubblico voleva i colori e così fu introdotto il tan, un colore ocra arancione derivato da una miscela di zolfo e mercurio; alle stampe tan-e, si aggiunsero poi le beni-e, viranti al rosso, colore ottenuto dal Carthamus tinctorius, e le urushi-e, laccate di nero.
 

Verso la metà del XVIII secolo, si arrivò a stampe con tre colori, dette benizuri-e che portarono infine, ad opera di Suzuki Harunobu, alle nishiki-e, cioè quelle policrome, la prima delle quali fu un calendario illustrato. All'inizio erano piuttosto costose, ma ben presto, con la pratica, il loro prezzo scese moltissimo, tanto che si diceva costassero come un nido di tagliatelle! Stampare una ukiyo-e era poi un vero gioco di squadra: dall'editore che lo ordinava ad un artista, alla censura che approvava il soggetto della stampa all'incisore e infine allo stampatore. Uno degli editori più famosi fu Tsutaya Juzaburo, mecenate e scopritore di artisti quali Utamaro, Hokusai o Sharaku. Vendute presso negozi specializzati chiamati ezoshiya o da venditori ambulanti, diventarono presto molto amate soprattutto per la loro leggerezza e facilità di trasporto, che le resero il souvenir perfetto per tutti coloro che si recavano nella capitale; furono soppiantate solo dall'avvento della fotografia nel XIX secolo.
 

Le stampe rappresentavano di tutto: dalla pubblicità di negozi e ristoranti a quella dei cosmetici (come rossetti o ciprie), da metodi per proteggersi o guarire da malattie contagiose, alle ultime novità in fatto di moda. Molto rappresentato era infatti Yoshiwara, ovvero il quartiere dei piaceri, celebre per le cortigiane che dettavano il costume in fatto di acconciature o trucco; altrettanto quotati erano gli attori del teatro Kabuki, vere e proprie star, i cui ritratti erano acquistati allora come si fa oggi con i poster delle celebs più in voga.
E quando i viaggi e i pellegrinaggi diventarono una moda, i paesaggi dipinti da Hokusai e Hiroshige furono magnifici spot per le località più turistiche. In molte stampe poi sono raffigurati studenti delle terakoya, cioè le scuole dei templi, in cui si insegnava a scrivere e a fare di conto usando proprio ukiyo-e: quando durante l'epoca Meiji il Giappone si aprì al mondo e si iniziò ad insegnare l'inglese, si usarono proprio queste stampe per imparare l'alfabeto e i vocaboli di base.
 

Ma non solo: le ukiyo-e si usavano anche per illustrare usi e costumi degli stranieri oppure come giochi per bambini e adulti (quali ad esempio il gioco dell'oca, rebus, ombre cinesi, vestiti da ritagliare per le bambole), ma anche al posto dei giornali per far sì che le notizie più importanti raggiunsero anche le province più lontane o come antologie per raccontare le gesta di guerrieri, le leggende tradizionali e le favole con protagonisti mostri, demoni e yokai.
Una menzione a parte meritano i Surimono, il cui scopo era puramente artistico: sfuggivano al controllo della censura e non erano destinate alla vendita ma commissionate da privati usando la carta più pregiata, i colori più lussuosi e le tecniche più sofisticate, senza lesinare sull'uso di polvere d'oro e d'argento. Il loro unico scopo era di essere ammirate, tenendole con delicatezza fra le mani e inclinandole per poter apprezzare appieno la delicatezza delle sfumature e i riflessi.
 

Infine non si può parlare di ukiyo-e senza citare le Shunga, cioè le stampe che raffigurano immagini erotiche. Il loro nome significa letteralmente "immagini di primavera" e bisogna distinguerle dalle abuna-e, più soft e meno esplicite. Tutti i più grandi si sono cimentati in questa forma d'arte piena di passione, ma anche di humor e in molti casi satirica. Erano conservati con molta cura e tramandati di generazione in generazione, essendo anche molto costosi: un rotolo costava circa 60 monme di argento, pari a 300 litri di fagioli di soia. Erano molto apprezzati non solo per il loro carattere erotico: si usavano anche come fonte di incoraggiamento per i guerrieri prima della battaglia ed erano ritenuti talismani contro il fuoco.
 

Le shunga servivano poi come una sorta di manuale di educazione sessuale per le giovani coppie e sebbene dipinte da uomini per un pubblico maschile, sembra che anche le donne non disdegnassero queste stampe. La maggior parte delle coppie rappresentate danno l'impressione di essere profondamente coinvolte anima e corpo nell'atto e di trarne un piacere reciproco.
Spesso sono raffigurati marito e moglie, tra le mura domestiche, nella vita quotidiana, altre invece mostrano immagini poco reali, con genitali dalle dimensioni smisurate e situazioni decisamente comiche, spesso irriverenti e impertinenti. Le shunga infatti nascondono anche uno spirito di ribellione, con fini politici anche seri; alcune volte le parodie sessuali di opere serie somigliano così tanto all'originale da far pensare che siano state realizzate dallo stesso autore.
 

Nel 1722 però questo spirito satirico fu sanzionato: gli organi censori vietarono le "immagini di primavera", dichiarandole illegali ed impedendone la produzione per una ventina d'anni. Ma lo spirito indomito delle shunga continuò ad esistere e le opere iniziarono ad apparire clandestinamente, ancora più sarcastiche ed audaci di prima. Alla fine dell'epoca Edo le shunga iniziarono a sbarcare anche in Occidente: l'ammiraglio Matthew Perry, che mise fine all'isolamento del Giappone, le ricevette in dono dallo shogun. Picasso, Rodin e Toulouse-Lautrec si profusero in lodi e esse, insieme a tutte le ukiyo-e che arrivarono ad Occidente, contribuirono a dare vita al movimento artistico denominato Japonisme, che ispirò artisti del calibro di Manet, Degas, Monet e Van Gogh.
Contemporaneamente però i giapponesi preferirono dimenticarsi di esse e le shunga così caddero nell'oblio. Bisognerà attendere fino agli anni 70 per avere una mostra dedicata a loro nel Sol Levante.

Fonti consultate:
Nippon-Les estampes japonaises
Nippon-Les shunga
"Hiroshige" di Adele Schlombs stampato dalle edizioni Taschen