Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi appuntamento libero, con gli anime Joker Game, The Lost VillageKoutetsujou no Kabaneri.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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8.5/10
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“Joker Game”, una delle piacevoli sorprese che ci ha riservato questa stagione primaverile del 2016, è l’adattamento animato dell’omonima novel di Koji Yanagi. La storia è ambientata negli anni che vanno dal 1937 al 1939, in un’atmosfera prettamente pre-bellica, e racconta le vicende di un’organizzazione clandestina di spie, la D-Agency, capitanata dal comandante Yuuki, in passato membro dell’esercito. In opposizione al più rigido e classico modo di pensare dei soldati, il comandante Yuuki allena le sue spie con una dottrina più di ampie vedute, seguendo il motto “Non uccidere, non morire” ed essenzialmente insegnando che, per una spia, la cosa principale è la sicurezza delle proprie informazioni che è strettamente collegata alla sicurezza personale e alle azioni che un’eventuale uccisione di un nemico può comportare.
Comincio con il dire che uno dei rimpianti maggiori che ho nei confronti di questo anime è l’averlo cominciato all'undicesima puntata: io non sono una tipa da binge watching e nonostante questo mi sono guardata le undici puntate tutte d’un fiato!

La serie non parte decisamente in quarta, i primi minuti sono un po’ densi di informazioni sommarie e frammentate sul contesto storico in cui ci troviamo, le quali sono inutili e noiose per chi possiede delle conoscenze storiche pregresse o, per chi come la sottoscritta è una capra in storia, decisamente confusionarie. Si riprende subito però, dato che vengono subito messe in evidenza le atmosfere tipiche di altre opere, quali ad esempio “Baccano!” del sommo Narita, che agli amanti del genere sono molto care. A differenza della suddetta serie, però, qui non sono presenti elementi sovrannaturali o simili, ma anzi, a volte il realismo è presente in una maniera che spiazza e prende decisamente alla sprovvista lo spettatore, come viene messo particolarmente in evidenza nelle ultime puntate.
La serie è composta da due puntate iniziali in cui ci vengono presentate le vicende di un membro dell’esercito, Sakuma, alle prese con le nostre spie, e per il resto abbiamo episodi singoli dedicati ai diversi membri di questa organizzazione (o a dei loro nemici) e quindi essenzialmente auto-conclusivi. Un’organizzazione del genere può essere devastante per un anime lungo solo dodici episodi, ma la regia riesce quasi sempre a evitare la noia e il drop da parte dello spettatore, inserendo personaggi secondari e soprattutto tematiche molto affascinanti che, nonostante non vengano trattate nel dettaglio, rendono la visione dell’episodio piacevole e interessante. Un esempio lo possiamo trovare proprio nelle prime due puntate nelle quali, sempre in maniera molto velata, viene messo in evidenza come, in un’ottica di guerra mondiale, il morboso attaccamento al patriottismo dei soldati dell’esercito li renda oltremodo vulnerabili al nemico. In una puntata viene anche citata la macchina Enigma che, a un’appassionata di queste cose, fa sempre molto piacere.
A causa di questa ricchezza di contenuti e personaggi, i supposti protagonisti della serie, le spie, non vengono delineati benissimo (anzi, io fatico ancora a distinguerli fisicamente tra loro). Però, a pensarci bene, è anche azzeccato nel caso di personaggi che devono fingere sempre e per i quali, di conseguenza, un approfondimento psicologico “classico” sarebbe alquanto fuori luogo. Gli unici di cui ci viene detto un po’ di più sono Sakuma e il comandante Yuuki: le informazioni su quest’ultimo, però, servono solo a sottolineare il suo essere almeno cinquanta spanne avanti a tutti gli altri personaggi, che alla lunga potrebbe quasi stancare, ma l’anime finisce giusto in tempo per evitare ciò.

Questo mi porta, o meglio, non mi porta a parlare dei personaggi, in quanto c’è davvero poco da dire. Le uniche volte che li vediamo interagire tra loro sono nelle puntate iniziali e nei dieci secondi a fine puntata, nella preview dell’episodio. Nonostante io sia davvero parecchio frustrata dalla mancanza di un background di questi personaggi (eccezion fatta per Sakuma - del quale ci regalano addirittura un riassunto veloce della sua vita - il quale però non fa parte dell’organizzazione ed è quindi fuori dall'alone di mistero e “mostruosità” che la serie costruisce intorno alle spie), capisco che sia stata una scelta registica in linea con il fatto che, nell'anime, le informazioni personali delle spie siano qualcosa di altamente riservato e non accessibile.

Per quanto riguarda il comparto tecnico, le animazioni sono davvero curatissime, non abbiamo esempi vergognosi di episodi “quality”, in quanto la qualità viene tenuta parecchio alta per tutte le puntate. La colonna sonora è divina, davvero. C’è in particolare una traccia che è abusatissima nel corso della serie ma che sta bene in tutte le sante scene in cui l’hanno messa. Inoltre, una chicca che ho davvero adorato, da amante dei voice actor, è lo scegliere, a inizio puntata, di far recitare alla spia “protagonista” una specie di “riassunto” sulla D-Agency. E, a proposito di voice actor, sono stata davvero felice di sentire alcune delle mie voci preferite sulle diverse spie, ed è obbligatoria la menzione a Yuki Kaji, che si becca sempre il piccolino un po’ arrogante. La opening è spettacolare, nonostante i footage utilizzati facciano pensare a una serie dove prevale la coralità delle spie, quando invece l’unica volta in cui li vediamo agire leggermente in gruppo è solo nell'ultima puntata. Sulla ending non ho particolari commenti, tranne il fatto a cui ho già accennato che riguarda il mio non riuscire a riconoscere le varie spie, vabbè...

In conclusione, ho amato questo anime davvero tanto e posso affermare che sicuramente questa è una serie che si lascia vedere e soprattutto rivedere molto volentieri. A malincuore mi vedo comunque costretta a dare un 8,5. Questo a causa di alcuni scivoloni a livello di coerenza che sono stati commessi nelle ultime puntate e, direi soprattutto, per il sessismo un po’ gratuito che ci viene regalato negli ultimi minuti dell’ultima puntata e che, a mio parere, poteva essere tranquillamente evitato o comunque formulato con dialoghi decisamente migliori. Nonostante questo, lo consiglio comunque a tutti gli amanti del genere, soprattutto se vi sono piaciute serie come “Baccano!” o “Gangsta”, nonostante, come già accennato, questa sia davvero molto più incentrata sul realismo dell’ambiente storico in cui si colloca. Infatti, in perfetto stile realista, vengono portate alla luce, in sottofondo e quasi sussurrandole, delle tematiche e delle problematiche forti e crude dell’epoca, ma senza mai condirle con opinioni personali del regista, denunce sociali o moralismi che, dato il genere di storia, risulterebbero decisamente fuori luogo.



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Credo che l'Accademia della Crusca dovrebbe autorizzare un aggettivo ad hoc per descrivere roba come quella che mi sto accingendo a recensire. Qualcosa che unisca i termini "stupendo" e "estremamente stupido". Forse stuped... no. Stupiden... no, nemmeno questo.
Beh... credo che il concetto sia chiaro: un'opera talmente idiota da fare il giro e sbucare sull'altro lato del range di valutazione.
Magari potrei usare la terminologia inglese e utilizzare la parola "trash", ma il problema è che quest'opera si prende troppo sul serio per rientrare in tale categoria. Insomma: un compito piuttosto arduo, che credo lascerò ai posteri.
Fortunatamente l'atto di giudicare quest'opera risulta decisamente più semplice, per quanto sia difficile descrivere ciò che ho visto senza scivolare nello scurrile.

“Mayoiga” è un'opera sbagliata. La metto così, senza troppi giri di parole, per far comprendere che questo era un disastro annunciato ancora prima di essere messo in produzione. È evidente che qualcosa nel controllo qualità dello studio Diomedea e della produzione generale non abbia funzionato: probabilmente la manchevolezza di un qualche impiegato disfattista ha fatto in modo che tutto ciò venisse approvato, con il conseguente spreco di centinaia di minuti di vita per gli incauti spettatori.
Eppure non tutto è andato per nuocere: l'essere nel periodo di internet e della comunicazione di massa ha potuto mitigare il deleterio impatto dell'anime in questione, e moltissimi utenti sono riusciti ad arrangiarsi generando un originale divertimento a posteriori, per merito del fatto che l'estrema bruttezza dell'opera in questione ben si prestava alle discussioni più variegate.

Tuttavia non sono qui per recensire le esilaranti considerazioni che sono scaturite dalla visione dell'opera (purtroppo, oserei aggiungere), ma mi sono fatto carico dell'ingrato compito di scrivere qualche riga sull'opera stessa, cosa che mi accingerò a fare.

Gli errori che hanno ammorbato “Mayoiga” in modo sistemico sono stati commessi fin dalle primissime fasi, ovvero la stesura del soggetto e la creazione della sceneggiatura. Supponiamo anche che l'idea del villaggio perduto non fosse da buttare via (0% di creatività, ma vabbé...), ma il resto è stato un calando mostruoso. Onestamente non capisco perché la Odaka (la sceneggiatrice di questo scempio) insista a voler dare una certa dose di substrato scientifico all'acqua di rose a una certa parte delle sue opere (lo fece in “M3: Sono Kuroki Hagane” con effetti disastrosi, e ha perseverato in questa stagione con quest'opera e con il contemporaneo “Kiznaiver”), in quanto esso risulta di una forzatura assoluta. Evidentemente, per idee del genere, non basta copiare da anime che hanno utilizzato tale espediente con successo, come nella prima parte di “Ghost Hound” (che però ha altri nomi ben più importanti dietro), ma bisognava perseverare nelle brutte abitudini.

Ovviamente, se gli antefatti sono carenti, bisogna tentare di nascondere il problema con altri elementi. E da qui probabilmente deriva l'idea dell'ampio cast, con cui avrete a che fare sin dal primo episodio. Già questo è di per sé un errore, in quanto le possibilità di sviluppare per bene un numero così ampio di personaggi in soli dodici episodi sono pressoché nulle (e infatti vi ricorderete sì e no un terzo dei nomi dei personaggi di quest'opera), ma hanno anche deciso di popolare questa serie con una non invidiabile selezione di casi umani. E non è uno scherzo: la psicologia e lo sviluppo sono quasi inesistenti, e l'unico tentativo di caratterizzazione è dato dall'uso di diversi flashback (i quali, in linea con la qualità dell'opera, scivolano frequentemente nel grottesco) utilizzati in malo modo (un flashback rompe il ritmo, e ‘spammarne’ cinque-sei di breve durata in un episodio non è certo una ‘genialata’).

Superato il tremendo impatto con il cast, l'opera procede tergiversando per un discreto numero di episodi: in questi scopriremo le motivazioni che hanno spinto questa selezione da reparto psichiatrico ad accodarsi a un viaggio/gita (?) finalizzato alla scoperta e insediamento in un villaggio perduto (una contraddizione? Un'idea molto ‘meh’? Sì, lo è, e non sarà l'ultima), ed entreremo in contatto con i “misteri” di questa zona. Tuttavia è estremamente difficile prendere sul serio ciò che vi verrà propinato, e questo a causa del ridicolo comportamento dei personaggi e del grottesco dipanarsi degli eventi.
Ma è l'elemento “mistero” la maggiore furberia di quest'anime: come ho già detto, è l'intero impianto ad essere carente, ma la presenza di un mistero attorno al quale tutto ruota è una mossa furbissima per posporre il più possibile lo sbroglio della matassa.
Tuttavia i nodi devono venire al pettine, e nelle ultime puntate l'opera subisce un crollo ancora più repentino (se pensate che il livello era già basso all'inizio, verrete sorpresi da come le cose possano peggiorare ulteriormente), dovuto alle pessime idee e alle notevoli forzature alla base di tutto, terminando in un finale da antologia: non esagero dicendo che l'ultima puntata rivaleggia e sconfigge i peggiori finali aperti tipici degli anime promozionali.
E oltre al danno si aggiunge pure la beffa: ci sono diverse questioni che rimarranno più o meno insolute, ma ovviamente l'opera si concluderà in un modo orribilmente banale e stereotipato.
Però c'è da ammettere che difficilmente noterete quest'ultima criticità, in quanto sarete con tutta probabilità impegnati a ringraziare la divinità da voi adorata per avervi fatto superare indenni ciò che avete visto.

Probabilmente l'unico aspetto vicino al salvabile è il comparto tecnico: la sigla iniziale non è male, e nemmeno il disegno generale è troppo biasimabile, ma anche lì si possono riscontrare enormi leggerezze. Il character design ne è un lampante esempio, visto che la forbice d'età fra i personaggi è ampia in media quasi quindici anni (vi sono elementi di quattordici ed elementi che sfiorano i trenta), ma sarà estremamente difficile assegnare le giuste età con certezza (forse però non è un problema: tanto i personaggi sono psicologicamente così piatti che il loro encefalogramma potrebbe benissimo essere il medesimo, ovvero piatto).

Quest'opera va vista solo in gruppo, per farsi qualche risata in compagnia sui personaggi improbabili che la costituiscono e su una delle peggiori sceneggiature del 2016. Non ci sono altri scopi.



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Della stagione primaverile 2016, “Koutetsujou no Kabaneri” è sicuramente tra i titoli più attesi. Sarà il nuovo “Shingeki no Kyojin”? Personalmente sono molto restio a paragonare varie serie TV, soprattutto se non ho ancora avuto modo di vederle. Ebbene, dopo aver concluso questa nuova opera, posso dire che tra le due ci siano alcune somiglianze, vero, ma in linea generale si assomigliano ben poco, mostrando invece caratteristiche del tutto originali.
“Koutetsujou no Kabaneri” ha una struttura di base piuttosto semplice: dodici puntate molto dinamiche e movimentate, che uniscono la passione per gli anime d’azione al fascino perverso dello splatter. E’ presente una buona dose di sovrannaturale, che, a mio avviso, acquisisce una bellezza ancora maggiore se mischiata a un’ambientazione di tipo storico.

In un Giappone allo sbando, l’umanità si ritrova costretta a sopravvivere in un numero sempre più ristretto di “stazioni”, ovvero città fortificate, che fungono da punti di ristoro per gli unici mezzi locomotori capaci di muoversi per le desolate terre nipponiche: treni fortificati.
Ma da chi si riparano? Non vedremo spuntare giganti umanoidi, bensì “semplici” cadaveri zombie. Non ci viene raccontata la causa di questa sovrannaturale invasione, ma, di colpo, l’umanità si ritrova a che fare con tale infezione, che imperverserà e conquisterà gran parte del Giappone (non ci sono riferimenti al restante globo terrestre).
Ikoma è il protagonista, un semplice macchinista in erba, che, però, sogna di diventare un cacciatore di cadaveri grazie a un’invenzione che ha in serbo. Idealista fin nelle ossa e fortemente convinto che il fenomeno dei cadaveri non sia altro che un virus, ovviamente curabile. Le sue convinzioni, però, verranno messe a dura prova quando la città in cui si trova viene attaccata da un esercito di cadaveri. Lui, i suoi amici (tra cui la misteriosa Mumei) e i compaesani sopravvissuti fuggono su un treno e riescono a scampare il pericolo, nonostante le forti perdite.
Ma ce la faranno a cavarsela in mezzo a questo mondo selvaggio e desolato? E, ancora di più, siamo sicuri che i pericoli maggiori verranno da questi morti viventi?

Ho volutamente tralasciato un piccolo particolare nel corso della trama, così da analizzarlo maggiormente in questa sede: Ikoma verrà morso da un cadavere, ma riuscirà a fermare a metà la mutazione. Un mezzo spoiler (che viene annunciato già nell’opening) doveroso per poter raccontare pienamente il personaggio di Ikoma. Un protagonista che prende come riferimento i classici stilemi, con atteggiamenti sognatori, fin troppo idealizzati e dal carattere dolce e caritatevole. Peccato che, fin da subito, si ritrova a che fare con un dubbio esistenziale non da poco, ovvero diventare lui stesso un mezzo-cadavere, il nemico che ha proclamato di sterminare.
L’inizio di un contrasto interiore? In effetti no. Vi è giusto un germoglio, ma niente di più. La trama deve andare avanti e non c’è tempo per queste cose. Un peccato, a mio avviso, visto che c’erano le basi per creare un protagonista veramente buono. Ma bisogna precisare che tutto ciò si ripete, in parte, con gli altri personaggi. Mumei, Ayame, Kurusu, Biba... offrono tutti ottimi spunti di riflessioni, costretti però a una doverosa limitazione a causa di determinate tempistiche e, forse, alla volontà di non far cadere quest’anime in una battaglia troppo psicologica e interiore. Da notare comunque che, nel corso della serie, riescono ad evolversi e crescere, seppur di poco.
La trama, come già detto, si sviluppa in maniera piuttosto semplice e lineare. I colpi di scena ci sono, ma, a essere onesti, appaiono fin troppo prevedibili. Alle volte ho avuto l’impressione che si sia cercato più di creare le classiche “situazioni epiche”, che, invece, mostrare allo spettatore un rivolgimento più elaborato e sopraffino.

Il punto di forza è sicuramente il comparto tecnico, che ci consegna un prodotto di ottima fattura, sia per la grafica che per le musiche. I disegni mi ricordano molto anime più datati, e così pure i vari colori. Da un lato si vedono toni cupi e tenebrosi, dall’altro effetti scenici molto particolari, con tinte forti e cariche di pathos.
Le musiche riescono a coinvolgere subito lo spettatore e non si può rimanere passivi di fronte ai vari combattimenti, esaltati al massimo dalla colonna sonora.
La regia riesce comunque a svolgere un buon lavoro, sebbene non privo di difetti. Ben curato, invece, il doppiaggio.

Concludo la mia recensione con un parere complessivo: discreto. Un voto che, però, assume un sapore amarognolo, quasi di delusione. Ci si aspettava molto, o almeno questo valeva per il sottoscritto, e invece ci si è ritrovati con una serie buona, nel complesso, ma forse sottotono di fronte alle alte aspettative che vi erano riposte.
Non voglio dar troppo perso a eventuali somiglianze: dopo “Shingeki no Kyojin” sono uscite altre serie molto simili, ma credo ognuna di queste offrisse qualcosa di originale, a modo suo.
Per quanto mi riguarda, è mancata la scintilla finale. Quel dettaglio in più, capace di accendere del tutto un anime e trasformarlo in un capolavoro.
Carenze nella caratterizzazione dei vari personaggi e piccoli difetti di trama... Ma, chissà, forse erano semplicemente troppo elevate le aspettative...

Voto finale: 7 meno