Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi appuntamento libero, con Ressha Sentai Toqger, Tantei Team KZ Jiken Note e La principessa mononoke.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


Per saperne di più continuate a leggere.


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Ogni anno, la saga Super Sentai cambia storie, personaggi, temi, ambientazioni, staff, sceneggiatori. Capita che questo finisca per penalizzare una serie, che perde il confronto con quella dell'anno precedente. E' il caso di "Ressha Sentai Toqger", che arriva con i suoi insipidi trenini colorati quando lo spettatore ha ancora gli occhi che brillano per la 'figosità' di "Zyuden Sentai Kyoryuger", la serie precedente, che è stata esaltante, spassosa ed esagerata fino all'ultimo.
"Ressha Sentai Toqger" è invece agli antipodi: i personaggi non sono 'fighi', i robot sono brutti, la storia non è esaltante.
Per rendere più gradevole una storia dall'ambientazione piuttosto piatta si è tinto il tutto di una certa dolcezza molto gradevole, andando a pescare a piene mani dall'immaginario dei bambini, il target primario della serie, che stavolta sono ufficialmente protagonisti anche su schermo, con i loro sogni, i loro giochi (con trenini giocattolo), i loro timori e, soprattutto, la loro fantasia.
L'immaginazione dei bambini, così grande e calorosa, che permette loro di vedere e concepire come reali ferrovie fatte di arcobaleni e treni magici su cui viaggiano eroi colorati e coraggiosi, contrapposta al grigiore delle vite degli adulti, che generano l'infelicità da cui trae forza l'esercito nemico, un impero steampunk che viaggia su binari oscuri.

Non è poi così strana la scelta di questo tema, dato che in Giappone i treni sono un mezzo di trasporto che fa parte della vita di tutti i giorni: esistono negozi che vendono solo oggetti a tema, simulatori di treni sulle console per videogiochi e persino diversi romanzi, manga, anime e giochi che di treni in un modo o nell'altro parlano (un esempio su tutti il "Galaxy Express"). Unire i treni col mondo dei bambini e della fantasia si rivela una scelta azzeccata per dare colore a una storia altrimenti poco interessante.
"Ressha Sentai Toqger" ha una struttura particolare, quasi da road movie, in cui i protagonisti sono perennemente in viaggio e ad ogni episodio effettuano una fermata in una città conquistata dai cattivi per liberarla.
Il loro eterno viaggio, unito al fatto che i personaggi sono sotto amnesia per metà serie, non permette di empatizzare con loro più di tanto, dato che le loro famiglie sono lontane, i loro background sono oscuri e di loro si sa poco e niente. Si fa fatica ad affezionarsi all'impulsivo Right, al timido Tokacchi, alla mascolina Mio, al riflessivo Hikari e all'infantile Kagura, personaggi di poco spessore identificati con un unico tratto distintivo del loro carattere, almeno finché non riprendono la memoria, lasciandoci ogni tanto qualche sprazzo del loro passato, che però ci sarebbe piaciuto di più se avessimo potuto viverlo in prima persona insieme a loro, invece di scoprirlo a posteriori a giochi fatti.
Dispiace che sia proprio il protagonista Right ad avere uno spessore praticamente nullo, facendosi sovrastare da Tokacchi e Mio, più interessanti, simpatici e persino teneri, a loro modo, in molte storie che li coinvolgono.
Maggior fortuna ha il sesto eroe che si unisce al gruppo, un cattivo redento in maniera un po' troppo rocambolesca e che soffre della mancanza di tragicità dei telefilm moderni (dichiara che "questo è il luogo dove morirà" ad ogni episodio, ma, se anche solo vent'anni prima sarebbe morto davvero, qui viene preso in giro continuamente per queste uscite seriose che perdono efficacia), ma che riesce ad essere simpatico e anche 'figo' ogni tanto.

I cattivi sono interessanti, ma trattati male. Alcuni di loro non servono assolutamente a nulla lungo tutta la serie, ma ce li si trascina ugualmente, altri hanno storie interessanti e sfumature caratteriali che donano loro spessore, ma fanno una brutta fine prima di riuscire a capire cosa volevano dalla vita.
Lo stesso boss finale, un 'fighetto' che si è detto attratto dalla luce piuttosto che dalle tenebre lungo tutta la serie, sembrava più un cattivo per ruolo che perché ci credesse veramente, ma anche lui, nel finale della storia, esce di scena in maniera rocambolesca, lasciando molti punti in sospeso, quando avrebbe potuto ravvedersi, maturare o finire in maniera diversa.

Quella di "Ressha Sentai Toqger" è una storia intrisa di una dolcezza infinita, coi suoi discorsi sui sogni, sulla fantasia, i suoi arcobaleni, la sua dicotomia fra bambini e adulti, i suoi eroi eccessivamente umani che non versano quasi mai una goccia di sangue e che sorridono sempre. Ogni tanto vorremmo anche vederli arrabbiati, decisi, feriti, questi Toqger, ma no, loro sorridono, mangiano, ridono, inciampano, lottano avvolti nei loro vestiti pacchiani presi da un armadio al buio o nelle loro ridicole tutine colorate coi binari sui caschi e semafori e passaggi a livello usati a mo' di spade e lance.
Vestono in maniera ridicola, guidano robot uno più brutto dell'altro (il Toq-oh col treno rosso che gli esce come un fallo gigante su tutti), eppure ogni tanto, con la dolcezza della loro storia e la spettacolarità dei loro combattimenti, riescono anche a farci commuovere, questi Togqer.
Merito, innanzitutto, di una colonna sonora d'eccezione, che si apre con una sigla ritmata e coinvolgente e continua con brani orchestrati stupendi, capaci di donare calore, emozioni e carisma a combattimenti che, vista la bruttezza dei costumi e dei robot, sarebbero altrimenti noiosi. Manca il classico balletto nella sigla di chiusura, ma ce ne facciamo una ragione, veder ballare i Toqger non sarebbe stato divertente.

Gli attori scelti per interpretare gli eroi non convincono granché, dato che i loro personaggi sono piatti e non danno loro occasioni di spiccare più di tanto, avendo dei comportamenti limitati a una sola caratteristica. Jun Shison che interpreta il protagonista Right è particolarmente irritante, coi suoi labbroni, i suoi capelli lisciati e tinti, la sua voce effeminata: mangia, fa l'esaltato, ma non convince, sarebbe l'ultimo eroe Super Sentai a cui affideremmo la nostra salvezza. Gli altri attori si limitano a dover fare sempre e solo l'imbranato, il fighetto, il maschiaccio, la bambina dell'asilo. Meno male che c'è, ad alzare il tiro, il veterano Tsutomu Sekine, un mentore poco saggio ma simpatico e paterno, che si getta di tanto in tanto in prima linea con urletti alla Bruce Lee.
Ottimo, invece, il lavoro dei doppiatori che danno la voce ai personaggi in costume, fra Kappei Yamaguchi, Aya Hisakawa, Noriko Hidaka e la rivelazione Haruhiko Jou, serioso e temibile, che risalta in mezzo a tanti cattivi buffi e ridicoli visti in questo genere di telefilm.

"Ressha Sentai Toqger" è una storia estremamente dolce, che presenta dei temi molto interessanti e ha una storia molto (anche troppo) ricca di misteri. Finisce, però, per perdersi in questa sua dolcezza, regalando scene esaltanti e un finale commovente, ma dimenticandosi di caratterizzare meglio i suoi scialbi personaggi. Si ha così una storia gradevole da guardare, che intrattiene il giusto e che ogni tanto ti emoziona e commuove anche, ma che è vissuta da eroi scialbi e da cattivi dalla caratterizzazione zoppicante. Non ci si lascia il cuore, dispiacendosi di aver lasciato degli amici con cui si è convissuto per un anno, ma rimane solo il ricordo di belle musiche e di belle scene isolate, che non bastano a far di "Ressha Sentai Toqger" una di quelle serie indimenticabili che ci hanno lasciato qualcosa dentro. Tuttavia, sicuramente è una serie adattissima ai bambini, a cui bastano trenini, colori ed eroi per esaltarsi, mentre gli adulti che sono rimasti bambini dentro forse preferiscono degli eroi meno dolci e più virili per dar forma ai loro sogni, e una storia meno delicata e più concreta.



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Tachibana Aya, protagonista di Tantei Team KZ Jiken Note, è una bambina accomodante ma insicura, diligente ma incapace a relazionarsi col prossimo. Alle prese con i primi accenni dell'età adolescenziale, si ritrova improvvisamente catapultata in un doposcuola frequentato da un gruppo d'élite, il team KZ, costituito da quattro bei C.B.C.R., ossia "cresci bene che ripasso"! Entrare a far parte di una compagnia formata è già difficile di suo, se poi ci aggiungiamo che i soggetti che compongono il team KZ spiccano sulla massa per talento, bellezza e savoir faire, diventa ancora più complicato. Aya, però, riesce quasi subito a tracciare il suo posto all'interno della squadra di giovani detective, che fra lo sventare una truffa o una rapina, indagare sul comportamento strano di qualcuno e via dicendo, trascorrono il tempo in maniera diversamente interessante.

Capita spesso che gli autori giapponesi scelgano dei bambini come protagonisti della loro storia. Il risultato non è sempre scontato, ma nella maggior parte dei casi si viene a creare una sorta di dissonanza tra l'età e le vicende che coinvolgono ragazzini che frequentano ancora la sesta elementare. Ci sono stati casi come Rossana, Alice Academy, in cui l'architrave costruita intorno ai personaggi funzionava talmente bene da permettere a chi usufruisce dell'opera di passare sopra a un certo tipo di dinamica, per la quale è facile commentare "ma a quell'età è possibile tutto ciò?". Sarà che quando avevo undici anni non sono mai stata coinvolta in truffe, delinquenze, furti ecc., ma se è vero che Conan ne ha diciassette, significa che i casi complicati vanno lasciati a chi ha la maturità per risolverli. Tantei Team KZ Jiken Note, serie di sedici episodi della stagione autunnale del 2015, si va a inserire in questo filone rischioso, e per un anime che dura solo nove minuti, compresa introduzione ed ending (tra l'altro molto carina!), è abbastanza presuntuoso riuscire a coinvolgere appieno lo spettatore e non risultare infantile e irrealistico.

Dividendo le indagini in episodi spezzettati, Tantei Team KZ Jiken Note riesce a suo modo a incuriosire sul prosieguo. Anche se devo ammettere che ho continuato la visione non tanto per sapere come di volta in volta venivano risolti i vari casi, piuttosto prevedibili e banali, ma perché mi sono affezionata ai personaggi. D'altra parte non è che la serie miri a sfidare il detective con gli occhiali, infatti si potrebbe dire che non si sa precisamente a che genere voglia appartenere. Io la definisco una storia romantica di ambientazione scolastica, con una tendenza all'harem e qualche spruzzata di giallo: insomma né carne né pesce... né uovo! Nel character design dei personaggi, peraltro animati tramite computer grafica, Tantei Team KZ Jiken Note sembrerebbe strizzare l'occhio ai reverse harem, ponendo al centro della vicenda una ragazza carina, che non brilla sulla massa ma vive nell'ombra finché non incontra i bellocci di turno che la illuminano di luce riflessa. E i bellocci di turno sono rimarcati su stereotipi ricorrenti nel genere reverse: c'è il leader Wakatake, eccentrico con un caratterino non facile da gestire; il misterioso Kuroki, che non si sa come e tramite chi a undici anni si è creato una losca rete di informatori; il piccolo chimico Kozuka, dolce ma intelligente e con uno spiccato amore per le scienze; il megane secchione Uesugi, che parla poco ma quando parla... E sono tutti sinceramente bellini, ci sta che l'intera scuola elementare corra dietro la loro casacca, nemmeno avessero visto gli F4 di Hanayori Dango! È lodevole il modo in cui Aya si rapporta ai quattro ragazzi, almeno mostra di possedere una personalità che in alcune colleghe dei reverse harem non si denota.

Forse sarò un po' dura nella valutazione mollandogli un cinque, perché tutto sommato non è che mi è dispiaciuto... ma non posso neanche dire mi sia piaciuto! Rispetto ad altri anime a cui ho dato la sufficienza, questo non vale nemmeno sul piano grafico, o della colonna sonora, ma soprattutto è la trama ad essere fin troppo ingenua e senza mordente. Il doppiaggio non è male, ma i doppiatori, gente del calibro di Kaji Yuki, Takuma Terashima, Saito Soma, solo per citarne qualcuno, non hanno avuto modo di venire fuori per quello che valgono davvero. Tirando le somme, nulla di imperdibile ma niente di così orrido da evitare. A me è servito a testare il livello di pedofilia a cui una sfilata di "shotini" espone!



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E' da un po' di tempo che mi sto dedicando al recupero delle opere di Hayao Miyazaki; consideravo, infatti, un vero e proprio scandalo il fatto di non aver visto praticamente nulla delle opere del grande maestro giapponese che, con i suoi lavori, ha incantato mezzo mondo. Questo recupero sta avvenendo seguendo un ordine rigorosamente cronologico, per cui ho già visto tutto ciò che era stato prodotto prima di questo film, mentre devo ancora vedere molto di quello che è stato prodotto dopo.
Devo confessare che, fino a questo momento, non ero rimasto molto impressionato: i film di Miyazaki mi erano sembrati sì tutti molto belli, ma mancava sempre quel "qualcosa in più" capace di trasformare un buon prodotto in un'opera veramente memorabile, tale cioè da strappare applausi a scena aperta. Con "Mononoke Hime", finalmente, il maestro riesce a compiere quel salto di qualità tanto atteso, superando anche l'ultimo ostacolo che gli impediva di raggiungere la perfezione: la presenza di una sceneggiatura troppo scarna.
Nonostante il loro indiscutibile fascino, i film precedenti apparivano, infatti, come dei bellissimi incompiuti, alla stregua di un quadro di Van Gogh lasciato incompleto per chissà quale motivo; con "Mononoke Hime", invece, abbiamo finalmente una sceneggiatura veramente importante, non più fatta di piccoli eventi un po' troppo fini a sé stessi da inserire in un contesto più grande che fa solo da sfondo, ma di una storia molto più articolata e non più di secondo piano. Chi si lamentava del fatto che nei film di Miyazaki "non succede mai niente" resterà sicuramente soddisfatto da questo film, in cui di cose ne accadono pure troppe.

In "Mononoke Hime", viene ripreso uno degli argomenti più cari al maestro giapponese: il rapporto fra uomo e natura. Come già in molti hanno avuto già modo di evidenziare, la visione pessimistica di Miyazaki su tale argomento, che a mio avviso si poteva intuire già dalle sue opere precedenti, trova qui la sua massima espressione. Il mondo rappresentato appare nettamente spaccato in due: da un lato troviamo la società naturale e dall'altra quella industrializzata. Non è, a mio avviso, importante il fatto che il bosco sia abitato da animali e non da esseri umani: quella rappresentata è a tutti gli effetti un tipo di società "umana", i cui attori sono solo mascherati da animali.
Ma a differenza di quanto sarebbe lecito aspettarsi, Miyazaki non sembra parteggiare per nessuno dei due modelli, ma riconosce ad entrambi dei pregi e dei difetti. A dimostrazione di ciò il principe Ashitaka, il cui ruolo è chiaramente quello di fare da arbitro in questo confronto fra i due tipi di società, non prende una posizione, ma cerca di aiutare indistintamente le due parti pur senza rinunciare a muovere le sue critiche ad entrambi i modelli. Il vero nemico, invece, è rappresentato dal potere politico: nel film, infatti, la figura che arreca più danni è quella dell'imperatore, che non persegue nessuna filosofia di vita ma solo l'interesse personale e la propria vanità.
Tornando al confronto tra i due tipi di società, vediamo che Miyazaki, contraddicendo le mie aspettative, non dipinge quella naturale come l'ideale irraggiungibile, ma sottolinea come anche in un contesto del genere non verrebbero meno alcuni dei difetti maggiori dell'uomo, come la cieca ostinazione (rappresentata dai cinghiali) o la vigliaccheria (rappresentata dalle scimmie); allo stesso tempo, pur non avendo una grande considerazione sui principi che governano una società industrializzata, ne riconosce anche i pregi (fonte di prosperità ed emancipazione e mezzo per la ricerca scientifica, specie se applicata in campo medico). Ciò che ne scaturisce è un sostanziale equilibrio che impedisce anche allo spettatore di assumere una posizione netta nella disputa. L'idea sarebbe quella di uno "sviluppo sostenibile", che accogliesse gli aspetti positivi di entrambi i modelli; ma ciò è davvero realizzabile? A questa domanda il pessimismo di Miyazaki non consente di dare una risposta.

In conclusione, "Mononoke Hime" è un film davvero bellissimo ed è diretto a un pubblico di ogni età. Ne consiglio vivamente la visione a quei pochi sciagurati che, come me, ne hanno finora rimandato inspiegabilmente la visione.