L’animazione giapponese più commerciale negli ultimi anni pare soffrire di una certa sudditanza nei confronti del mondo dei videogiochi, immensamente più ricco, strizzandogli l’occhio e facendogli la corte come una ragazzina infatuata; basti pensare alla moda tutta recente degli “anime-MMORPG”, che affiancano le tradizionali trasposizioni in animazione di franchise videoludici, e quelle opere che seppure non strettamente correlate con i videogiochi, ne traggono comunque evidente ispirazione.
I risultati lasciano in gran parte a desiderare poiché spesso si guarda al videogioco dall’interno (estetica, regole, mode), invece che dall’esterno (chi li crea, con quale scopo, chi li consuma), non cogliendone i punti di forza o ciò che ruota loro intorno, limitandosi piuttosto alla più pedissequa imitazione di facile consumo. Di conseguenza abbiamo tanti, troppi “anime tratti o ispirati dai videogiochi” e ben pochi “anime che parlano di videogiochi”, in senso lato. Insomma del nerd di turno annoiato della “real life” che finisce in un mondo fantasy pieno di folletti e ragazze-gatto, in particolare noi che videogiochiamo davvero, ne abbiamo anche piene le scatole (già da Hack, capostipite del genere e paradossalmente ancora l’unico che valga la pena guardare), per quello ci basta accendere una dannata PlayStation e giocare, trattiamo piuttosto i videogiochi in modo più terra-terra, con storie più sobrie e quindi a noi più familiari.
Bene quindi il notevole High Score Girl, che ti catapulta direttamente nell’epoca arcade anni novanta, e bene codesto New Game, che invece ci trasporta in uno studio di sviluppo dove si creano videogiochi lavorando sodo tra programmi, consegne, relazioni, straordinari, deadline e.. pause per il thè.


Va bene, il realismo non fa proprio parte di New Game, anime composto da dodici episodi andato in onda senza particolari clamori e isterismi assortiti durante l’estate del 2016 e tratto dall’omonimo manga di Shōtarō Tokunō, fumetto di natura 4-koma (la composizione a 4 vignette) e pertanto votato alla comicità di rapida fruizione. L’argomento dei videogiochi non si può definire marginale ma appare comunque come un pretesto per imbastire l’ennesimo teatrino di gag di un gruppo di ragazzine sceme, ognuna con le sue peculiarità e fissazioni. Eppure nonostante questo New Game è piaciuto e pare aver divertito anche chi non mastica quotidianamente questo tipo di produzione, proviamo a capire perché, partendo dalla trama.

Aoba Suzukaze ha 18 anni e dopo il diploma, a differenza di tante sue coetanee che prediligono un percorso di studi, è pronta a debuttare nel mondo del lavoro con un impiego in una ditta di videogiochi: la Eagle Jump. Tale ditta ha realizzato, qualche anno addietro, il suo videogioco preferito Fairies Story, e per questo il suo entusiasmo è alle stelle, destinato a salire ulteriormente una volta scoperto che lo sviluppo del videogioco a cui prenderà parte sarà nientemeno che quello di Fairies Story 3! Sotto la guida di Kō Yagami, la character designer della serie, e della Art Director Rin Tōyama, imparerà non solo i primi ma fondamentali passi nel mestiere di designer, ma anche a conoscere tutte le vicissitudini di un ambiente lavorativo alquanto particolare.


Il contesto lavorativo è a conti fatti l’arma di interesse in più di New Game, rispetto al solito clone di K-On di ambientazione scolastica. Chi ha debuttato nel mondo del lavoro non può non ritrovarsi anche solo vagamente nel personaggio di Aoba nel suo primo giorno di lavoro, quell’insicurezza anche solo nel chiedere un consiglio e quel timore di sbagliare qualunque cosa, è cosa ben diversa dal primo giorno di scuola.
Aoba tenta in tutti i modi di “comportarsi da adulta”, in contrapposizione al suo aspetto ancora così infantile (al punto che la scambiano subito per una liceale), ma ben presto tutti i suoi timori vengono meno una volta conosciute e legato con quelle che saranno le sue colleghe.

Il prevedibile “quartetto” è così formato, oltre che dalla nostra protagonista, dalla monster designer Yun Iijima, gothic lolita con una certa preoccupazione per il suo peso forma, Hajime Shinoda, vivace motion designer che scialacqua tutto il suo stipendio in action figures e gadget vari, e infine Hifumi Takimoto, timidissima character designer che riesce a comunicare con le sue colleghe solo tramite la chat redazionale. Scalmanate e chiassose come una scolaresca, le ragazze sono guidate dalle già citate Kō Yagami e Rin Tōyama, rispettivamente lead character designer e art director del gioco, non senza dubbi e incertezze nel coordinare il gruppo data la loro pur giovane età. Completano il nutrito cast di personaggi la director del gioco Shizuku Hazuki, che però fa sporadiche apparizioni, e la programmatrice appassionata di armi Umiko Ahagon, l’unica che sembra prendere le cose con una certa serietà.


Gli episodi si susseguono così tra gag e vicissitudini varie della vita da impiegata di Aoba e le sue colleghe, tra timori di ritardare al lavoro, la prima indimenticabile nottata in ufficio, commissioni e visite mediche aziendali, tutte vicende dall’alto tasso di comicità e che non mancheranno di divertire lo spettatore.
La serie, al contrario di altre del suo genere, è un crescendo, i momenti di stallo sono pochi e i personaggi mostrano progressivamente e con i giusti tempi tutte le loro sfumature caratteriali. Nell’ultimo terzo della serie giunge infine un uragano chiamato Nene Sakura, l’amica del cuore ed ex compagna di scuola di Aoba; inizialmente figura marginale con cui la protagonista si confida via cellulare, “Nenecchi” si fa assumere part-time dalla Eagle Jump come debugger nella fase finale dello sviluppo che coincide con le sue vacanze estive dall’università, e l’impatto sulla serie è a dir poco devastante. Nenecchi è di una sbadataggine e una scemenza unica, alcuni potrebbero detestarla mentre altri trovarla irresistibile a seconda dei propri gusti, ma indiscutibilmente il suo innesto nel gruppo stabile è una mina vagante lanciata nel mucchio e che scombussola la routine, un’intelligente iniezione di gag fresche di cui la serie ad un certo punto necessitava, che con Aoba "Aocchi" forma una coppia comica degna dei migliori titoli del genere, sfidando chiunque a non ridere in chiusura dell’episodio 11.


Ma New Game è nel suo complesso un delizioso gioco di coppie: il rapporto tra maestra e allieva (Kō Yagami e Aoba), da una parte la forte ammirazione, dall’altra le insicurezze nel saper insegnare. L’amicizia, ben affiatata, tra le colleghe veterane (Kō Yagami e Rin Tōyama, su cui probabilmente si concentreranno i doujin yuri), e l’ultima coppia formata in ordine di tempo, ma anche la più divertente, quella tra la pasticciona part-time Nenecchi e Umiko, colei incaricata di supervisionarla con il suo sguardo perenne e (involontariamente?) minaccioso. Che siano le fissazioni da otaku per le limited edition, le piccole incomprensioni o le sbadataggini assortite, il cast di personaggi di New Game regge la baracca e diverte perché è difficile non immedesimarsi in almeno un paio delle situazioni che capitano alle nostre ordinarie impiegate.


Chi invece si aspetta una fedele panoramica del mondo del game development giapponese è destinato a rimanere ingenuamente deluso. New Game è una serie comica e come tale ha ben poca attendibilità con quella che è la realtà del settore, non tanto nell’età dei personaggi (ci sono fior di noti sviluppatori che come Kō Yagami hanno iniziato giovanissimi, tipo George Kamitani, debuttante addirittura durante il liceo) o nel sesso dominante (pure qui, in Giappone quello del character designer è un ruolo non di rado attribuibile al gentil sesso, si possono fare nomi del calibro di Kinu Nishimura, Mutsumi Inomata, Mari Shimazaki..), quanto nel rappresentare in modo fin troppo idealistico un ambiente lavorativo descritto in realtà come tutt’altro. Per coloro che masticano l’inglese The Untold History of Japanese Game Developers è il miglior testo esistente per approfondire l’argomento, di certo non è cultura la visione di New Game, bensì puro e semplice intrattenimento, evitando tra l’altro del facile citazionismo.

Visivamente la serie è gradevole, Doga Kobo si attesta più o meno sullo standard del suo Himouto! Umaru-chan; colorazione vivace ma non esaltata, fondali funzionali, character design morbido con discreta accentuazione su espressioni di connotazione moe ma comunque credibili, non esasperate; la tenera Hifumi Takimoto è il personaggio visivamente più riuscito in tal senso, seguita da Kō. Nel complesso la cura nel confezionare un prodotto degno, considerato lo standard del genere, c’è tutta. Sonorità non troppo incisive ma funzionali alle situazioni, sigle convenzionali e a loro modo orecchiabili.

 

New Game avviene in una detonazione moe da cui farsi investire in atteggiamento soft, poiché regolata, sobria, limitandosi a garantire quel predeterminato fabbisogno di contagioso buon umore a quattro vignette, animate con garbo. Aoba Suzukaze e colleghe intrattengono e non chiedono, nel loro idilliaco fare videogiochi, pur malgrado il sussistente riproporre dello stereotipo delle ragazze che tutto ci mostrano al di fuori delle loro effettive mansioni. Ma del resto parafrasando una celebre frase di Alfred Hitchcock New Game è come la vita con le parti noiose tagliate”, o qualcosa del genere.