«Ci sono parole che mutano, parole che scompaiono, parole che nascono...
I vocabolari esistono per assicurarci che in ogni epoca le persone si comprendano

 
Proprio da questo concetto base nasce la storia di Fune wo amu (舟を編む, costruire una nave), una vicenda pregna d'amore per il Giappone, ma soprattutto per la sua lingua. Perché la lingua è innanzitutto espressione della cultura di un paese.
Diretto da Toshimasa Kuroyanagi e scritto da Takuya Satō, Fune wo amu è una delle serie andate in onda nella ricca stagione autunnale 2016, nel contenitore noitaminA della Fuji TV. Lo studio Zexcs prende un romanzo bestseller di Shion Miura, che aveva già ricevuto un adattamento live nel 2013 sotto la regia di Yūya Ishii, e ne trae un anime di 11 episodi. Il lungometraggio fu nominato all'LXXXVI edizione degli Oscar come miglior film in lingua straniera, quindi la produzione animata si è fatta carico di grandi aspettative da parte del pubblico.
 
Il protagonista di Fune wo amu, Mitsuya Majime, si presenta come un tipo inetto, con serie difficoltà relazionali, tutto concentrato su di sé. Dall'aria un po' depressa e dalla imbarazzante ingenuità, sembra sopravvivere più che vivere. Caracolla fra una casa vecchio stile e il posto di lavoro, con le spalle incurvate e l'aria mogia mogia. Ha una passione incontenibile per la lettura, abbinata a un viscerale amore per la definizione della realtà attraverso il linguaggio. Dipendente del reparto vendite della casa editrice Genbu Shobo, un giorno viene avvicinato da un vecchio professore di giapponese, Kōhei Araki, che lavora per il dipartimento "dizionari", il quale gli offre la possibilità di partecipare a un progetto che sicuramente corrisponderà in pieno alla sua competenza in filologia: la realizzazione di un nuovo dizionario di lingua giapponese, Daitokai (大渡海), la grande traversata.

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Un anime sulla creazione di un vocabolario si presenta sicuramente come qualcosa di innovativo, ma al contempo spaventa il tema abbastanza alieno dalla classica produzione. Inoltre, i personaggi di Fune wo amu sono adulti, la sceneggiatura appartiene al genere slice of life, e il modo di affrontare le vicende è molto maturo. Di conseguenza, ci sono tutti gli ingredienti per un bel polpettone, di quelli che difficilmente si digeriscono. Ciononostante, non annoia minimamente, anzi scorre liscio come l'olio. Animare proprio il libro di Shion Miura, edito da Kōbunsha nel fatidico 2011, è una scelta attuale e critica, che ben si sposa con i gusti di una fetta di pubblico. Ogni episodio ha per titolo una parola, alla quale sembra voler restituire o assegnare una definizione.

Parlare di parole all'indomani del disastro di Fukushima Daiichi
è essenziale. Sembra passato già un sacco di tempo, eppure l'11 marzo 2011 è successo solo sei anni fa. Dopo il terremoto e il maremoto che ha colpito il Tōhoku, infatti, il linguaggio subisce una crisi e la letteratura giapponese ha una conseguente involuzione. Molti scrittori hanno avuto un blocco completo, incapaci di riprendere a parlare della normalità, che tale più non era; perché dopo una tragedia di quella gravità è insperabile riuscire a riprendersi subito, come niente fosse stato. Per tutto il corso di Fune wo amu Majime ha delle visioni oniriche. Vede una distesa d'acqua, in lontananza una ruota panoramica in movimento. Ogni tanto, in superficie, si intravedono galleggiare dei kanji, termini che non hanno più una collocazione o che attendono di trovarla. È il mare delle parole. Proprio il mare si è portato via la parola dal Giappone l'11 marzo 2011, immettendo il Sol Levante in un'epoca con certezze spezzate da un'onda gigante e dove la terra ha tremato violenta, svelando la melma nascosta dal malgoverno. Senza parole... così sono rimasti i giapponesi. Quelle conosciute finora non erano più in grado di descrivere la realtà frammentaria perché esse stesse frammentate. Majime vede fuoriuscire da uno strappo gli ideogrammi e con loro tutto ciò in cui ha creduto finora.

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«Ecco lo sconfinato mare di parole. Noi non abbiamo nessuna possibilità di traversarlo. Possiamo solo restare in piedi a guardare, mantenendo rinchiusi nel nostro cuore i sentimenti e le parole che desideriamo comunicare. Un vocabolario... una nave che permette di traversare quel mare.»

Il team dedicato al progetto del vocabolario Daitokai è costituito da una serie di personaggi che non hanno un ruolo marginale, anzi supportano il protagonista e vengono approfonditi come se lo fossero essi stessi. Innanzitutto Masashi Nishioka, il collega frivolo, superficiale, con grandi capacità comunicative, l'esatto opposto di Majime, del quale diventa grande amico e per il quale si impegna tanto nel dare consigli. Sarà stato pure per il doppiaggio magistrale di Hiroshi Kamiya, la cui voce riesce sempre a dare quel di più ai personaggi che interpreta, ma Nishioka sa coinvolgere completamente lo spettatore nella sua storia "normale", alla quale si approccia con una positività "normale" e nella quale gli succedono cose "normali". Col suo modo di fare pratico e diretto lancia una freccia al cuore di chi lo guarda affrontare la vita e l'amore con semplicità. Altro personaggio importante è il professor Tomosuke Matsumoto, dalle cui labbra vengono pronunciate le massime più importanti dell'anime e la cui presenza diventa essenziale per la scrittura del vocabolario. Vera anima del progetto, il professor Matsumoto incarna con la sua storia tutte le fasi della stesura di Daitokai: l'inizio carico di speranze, il centro faticoso e frenetico, la fine dolceamara di qualcosa che dopo anni raggiunge la sua conclusione più naturale. Ancora, il già citato professor Araki, che offre l'incipit alla storia scoprendo il personaggio di Majime e trascinandolo dentro, e infine la precisa e onnipresente segretaria Kaoru Sasaki, che resterà l'unica figura femminile che lavora al dizionario per un bel po' di tempo.

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Intrecciata alla realizzazione de "La grande traversata" troviamo anche la storia d'amore di Majime con la bellissima e talentuosa Kaguya Hayashi, con la quale condivide l'alloggio alla pensione Sōun (早雲荘). La soulmate di Majime già dal nome richiama la principessa della luna Kaguyahime, protagonista del primissimo esempio di narrativa giapponese datato X secolo, il Taketori Monogatari (竹取物語, "Il racconto di un tagliabambù"), citato in non so quante opere di ogni tipo di genere e tecnica. La prima comparsa di Kaguya sul balcone della pensione al chiar di luna, che con una raffica di vento sembra spingere Majime in un mondo inesplorato e quasi irreale, rimembra l'apparizione della piccolissima ma splendida Kaguyahime nel tronco di bambù, che trascina l'anziano tagliatore e sua moglie in una realtà nuova e sconosciuta. Un tributo carico di poesia, che marca il primo incontro di Majime e Kaguya come qualcosa di indimenticabile e di un romanticismo puro.

Alla presenza di Kaguya, Majime mostra un lato tenerissimo del suo carattere. La goffaggine che lo contraddistingue esplode dinanzi alla bella cuoca, che al contrario sembra non avere il benché minimo segno di timidezza. Quando ci sono in ballo i sentimenti, di qualsiasi tipo essi siano, la comunicazione fra esseri umani diventa ardua. Mettere a parole ciò che si sente, dare un nome alla ragione di un battito accelerato, è un'impresa ostica, soprattutto per un tipo come Majime, incapace di suo a esprimere con il linguaggio il garbuglio della sua mente. Anche se si parla la stessa lingua, a maggior ragione quando si parlano lingue differenti, la scelta del vocabolario da utilizzare per comunicare un'emozione resta uno scoglio da affrontare se si vuole intessere rapporti con il resto dell'umanità. È impossibile, comunque, non apprezzare la delicatezza con la quale viene descritta la bellissima storia d'amore fra Kaguya e Majime, che vive di imbarazzati silenzi e imbarazzanti momenti, di frasi dette a metà e di parole morsicate, di sguardi che parlano più della carta stampata e di voci in risonanza col ritmo cardiaco.

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«Un vocabolario è una nave che solca il mare delle parole.»

Il simbolismo pervade la trama a partire dal titolo. Il carattere cinese che sta per fune (舟) significa "piccola barca". Con una barca di dimensioni ridotte è impossibile riuscire a traversare il mare, di contro partendo dalle piccole cose si riesce a realizzare grandi obiettivi, ed è proprio questo il significato che la fune vuole richiamare. Nel titolo appare poi il verbo amu (編む), che oltre al senso più comune di "lavorare a maglia", indica l'azione di legare, intrecciare, di collegare due cose fra di loro, di creare qualcosa da zero unendo più componenti, quindi di costruire, di fabbricare, di compilare... Come si fa con un dizionario, un'antologia. Amu, infatti, è un verbo usato proprio per la compilazione di compendi scritti. Dunque, è molto bella l'immagine che il titolo trasmette, quella di questa barchetta che viene intessuta a piccoli passi, mano a mano, cucendola quasi. La creazione di Daitokai, infatti, è un processo che dura nel tempo, non semplice ma complesso, che richiede tecnica, fabbri esperti alla lavorazione, che all'occorrenza sanno improvvisarsi marinai, guide...

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Fra i simboli di Fune wo amu troviamo poi la ruota panoramica. In Giappone c'è un vero e proprio culto legato alle ruote panoramiche, una delle mete preferite dalle coppie di innamorati, che spesso scelgono quest'attrazione per un primo appuntamento romantico. Luogo di promesse, la ruota panoramica è una metafora del ciclo della vita; sempre in movimento, non si ferma mai, eppure sembra sospendere il tempo, ecco perché le sue cellette sono l'ideale per scambiarsi parole d'amore eterno. In Fune wo amu la ruota sembra il portale per un'altra dimensione, così sospesa com'è nel mare delle parole che Majime immagina. Si staglia all'orizzonte, come il quadrante di un orologio gigante che marca il tempo all'infinito.
 
«Le parole sono vive, cambiano con le epoche. Alcune di loro scompaiono nel tempo.»

La ruota panoramica di Majime è una rivisitazione del Big O di Kōrakuen (後楽園), a Tōkyō. Quartiere di origini antiche, racchiude nel suo cuore una doppia anima: una più storica, legata a un passato di ricchezza, estetismo e nobiltà, che trova la sua rappresentazione più sincera nel famosissimo giardino d'epoca Tokugawa, il Koishikawa Kōrakuen; l'altra più mondana, moderna, giovanile, che si esprime al meglio nel lunapark e nel Tōkyō Dōme, uno dei più grandi stadi di baseball della capitale. In un quartiere lì vicino troviamo poi la pensione in cui abita Majime, dove sono ambientate quasi tutte le scene casalinghe di Fune wo amu: Hongō (本郷), quartiere universitario, fin dall'epoca Meiji è una storica zona scolastica, nella quale il mondo accademico trova suo fulcro. Legato al mondo della cultura libresca e degli studiosi è anche il quartiere di Jinbōchō (神保町), alla cui stazione della metro si vede scendere Majime, diretto a lavoro. Famoso per le centinaia di librerie che lo costellano, Jinbōchō è il centro nevralgico del commercio di libri di seconda mano a poco prezzo.

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L'ambientazione di Fune wo amu è studiata. Oltre alla selezione ponderata dei quartieri, anche i luoghi che fanno da scenario alle vicende dei personaggi sono scelti con consapevolezza. È interessante, infatti, la contrapposizione che si crea tra il panorama metropolitano di Tōkyō e la pensione vecchio stile dove abita Majime, il cui legno dà quel senso di calore, di vissuto, di tradizionale delle abitazioni in stile giapponese. Da qui emerge il contrasto che la capitale del Sol Levante racchiude in sé e che le fa guadagnare il titolo di punto di convergenza tra l'antico e il moderno. Quando Majime rientrava nella pensione sembrava di fare un tuffo all'indietro in una dimensione più genuina e confortante.

Ancora, un'altra immagine cara è quella degli uffici piccoli, pieni di documenti impilati, di schedari, libri, riviste, di carta, cartone e cartellini, come il dipartimento editoriale dei dizionari, nella quale si svolge la maggior parte delle scene. Anche nella stanza di Majime, per esempio, la presenza di così tanti libri, più in generale di carta stampata, permette allo spettatore di ritagliarsi un rifugio dalla narrazione. La stessa sensazione di serenità che si prova entrando in una biblioteca. E poi ci sono i piccoli parchi, le vie pullulanti di negozi con insegne luminose e appariscenti, gli interni di ristorantini tradizionali, la stazione della metropolitana... Fotografie della Tōkyō quotidiana, che ti entrano dentro.

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In questo si nota la bravura di Kuroyanagi, che attraverso una regia coscienziosa mostra la tecnica imparata collaborando alla produzione di altri slice of life, come Natsume Yūjinchō, Say "I love you", Toradora!, Servant x Service... Importanti i primi piani dedicati ai personaggi e i fermoimmagine sui luoghi; sapiente l'utilizzo dell'immancabile vento fra i capelli; mentre creativa e suggestiva la regia delle scene oniriche di Majime, ben incastrate nella rappresentazione della vita di tutti i giorni. Ho gradito molto il cambio di tratteggio in queste scene, con un Majime più abbozzato, le cui linee venivano tirate, allungate, ristrette dall'ambiente kafkiano, quasi a volerlo differenziare dal Majime che vive nel mondo reale e che è tutto d'un pezzo. 

E se gli scenari sembrano vere fotografie, anche il character design ha una bellezza particolare, a tratti realistico a tratti fantastico. Dalla creatrice di Shōwa Genroku Rakugo Shinjū arrivano i ritratti dei personaggi di Fune wo amu: il tocco della mangaka Haruko Kumota è inconfondibile. Se ci si sofferma un po' su, il sorriso biricchino di Nishioka ricorda quello beffardo di Sukeroku, mentre i lineamenti rigidi del volto di Majime riportano la compostezza del volto di Bon. Kaguya, poi, si può aggiungere alla vetrina di belle donne disegnate dalla Kumota, già illuminata da Miyokichi e Konatsu. Carinissimo è anche il design dei vocabolarietti protagonisti dei simpatici cortometraggi integrati agli episodi, divenuti vere e proprie mascotte dell'anime!

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Negli slice of life, più di altri generi, si sente la bravura dei doppiatori, che si ritrovano a interpretare dei ruoli di persone comuni. Dalla voce viene fuori gran parte del carattere dei protagonisti di Fune wo amu. Takahiro Sakurai fa parlare Majime lentamente, calmo e posato, ma non appena incontra Kaguya diviene quasi balbuziente; e si batte per la miglior interpretazione con il già citato Hiroshi Kamiya nel ruolo del vispo Nishioka, che invece parla veloce, in maniera travolgente e convinta. E ancora, la suadente voce di Maaya Sakamoto nei panni di Kaguya si contrappone a quella spiritosa di Chiwa Saitō nelle vesti di Remi Miyoshi, amica di Nishioka. Ottima anche la prestazione di Mugihito, al microfono col professor Matsumoto... Ma dove lo abbiamo già sentito? Incredibile ma vero, è lo stesso doppiatore del vombato rosa di Binan Koukou Chikyuu Bouei-bu LOVE!!

La colonna sonora è soave ma solenne, in alcuni punti maestosa, accompagna bene i vari passaggi che si avvicendano. Spumeggiante e orecchiabile l'opening di Taiiku Okazaki, "Shiokaze", romantica e melodica l'ending di Leola, "I&I". I testi di entrambe si sposano bene con la storia di Fune wo amu, ma è soprattutto il ritornello dell'opening a richiamare fortemente un'immagine cara all'anime, quella di questo mare che nasconde e protegge un legame col mondo.

«Affoghiamo sommersi da onde sporadiche di sinonimi e contrari.
Uno scontro frontale, due poli opposti, le differenze cadono per unirsi in qualcosa di nuovo.
Riferimenti, conclusioni, andiamo a raccogliere le parole sparse nell'eternità del tempo.
Il profumo della brezza marina si diffonde; un legame giunge a riva per ognuno di noi.»

 
 
Fune wo amu è sicuramente un genuino tributo all'animazione, perché oltre a essere tecnicamente ben realizzato, con la sua sublime regia e la sua accurata sceneggiatura dimostra che gli anime non sono da meno di altri media per la realizzazione di qualcosa di meritevole. Trasmette un messaggio universale, che ha un'eco importante nella società di oggi, tutta ripiegata su se stessa, incapace di comunicare quello che sente. Bisogna sempre scegliere con cura le parole, perché ognuna di esse porta un significato profondo. A questo punto cos'aspettiamo? A bordo di Daitokai, prendiamo il largo nel mare di parole per una grande traversata...