Approfittiamo del vostro operato per operare una piccola digressione con questo appuntamento della rubrica dedicata alle recensioni anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Infatti ci è sembrato doveroso, visto il florido dibattito sviluppatosi attorno al fenomeno Your Name ufficialmente sbarcato in Italia, intavolare una discussione su quello che è uno dei tormentoni più ricorrenti da un po' di tempo a questa parte: Makoto Shinkai è l'erede di Hayao Miyazaki?
La sentenza la lasciamo a voi, sicuri che saprete argomentare in maniera intelligente.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Se volete far parte anche voi della rubrica... rimboccatevi le maniche e recensite!


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Sfatiamo subito un luogo comune: Makoto Shinkai non è affatto il nuovo Miyazaki come molti sostengono, bensì un autore con un'identità propria dallo stile facilmente riconoscibile. Trova la sua giusta collocazione nei corto/mediometraggi, vista la sua narrativa lenta e poco incalzante che dopo un po' si fa fatica a seguire, e pare, a differenza di Miyazaki, che non riesca a spaziare nel campo delle emozioni, risultando monotematico e suscitando ad ogni suo film sempre le stesse sensazioni.
Detto questo, "Il giardino delle parole" è probabilmente la sua opera migliore, in quanto incarna alla perfezione la visione del cinema di Shinkai, con i suoi pregi e i suoi difetti. Tra i pregi spicca senza dubbio la ricercatezza estetica del regista, la delicatezza delle immagini che si confa a una narrativa dolce e leggera, e l'uso stavolta ponderato del voice over. Tra i difetti, la solita debole sceneggiatura con personaggi poco approfonditi e un'inconsistenza generale della storia.

Accenniamo la trama. Un quindicenne aspirante calzolaio, durante un giorno di pioggia, incontra in un parco una donna sui trent'anni e se ne innamora. Da lì, ogni volta che piove, i due si incontreranno al parco. La storia si svilupperà esclusivamente intorno al loro rapporto, con la quasi totale assenza di personaggi secondari. La relazione però risulta fin troppo fiabesca, e secondo me si doveva rimarcare maggiormente la differenza anagrafica tra i due, evidenziando il fatto che l'amore non ha età. Anche sul finale si doveva fare di più, invece Shinkai cade nel tranello dell'autoralitá, confezionando il suo classico epilogo senza forma, con alcuni fotogrammi riciclati dal film accompagnati da una musica nostalgica.

Tecnicamente siamo su ottimi livelli, la CG è la stessa utilizzata in "5cm per second" e ha il medesimo impatto visivo. Anche il comparto sonoro si amalgama alla narrativa, ricalcando alla perfezione lo spirito malinconico della pellicola.
In conclusione, "Il giardino delle parole" è una visione piacevole e che consiglio, quantomeno per farsi un'idea su uno dei registi nipponici più chiacchierati del momento.

Voto: 7



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“Kiki - Consegne a domicilio” (titolo originale “Majo no takkyūbin”) è un film d’animazione del 1989 prodotto dallo Studio Ghibli e diretto da Hayao Miyazaki, tratto dall’omonimo romanzo scritto da Eiko Kadono. E’ stato distribuito in Italia dalla Buena Vista Pictures nel 2002, per poi essere ridoppiato nel 2013 e pubblicato dalla Lucky Red.

Trama: compiuti tredici anni, Kiki, come prevede la tradizione delle streghe, lascia la casa famigliare per iniziare il proprio apprendistato in un altro paese, accompagnata dal fedele gatto nero Jiji. In sella a una classica scopa volante di saggina, arriva in una città sulla costa, dove, dopo qualche iniziale difficoltà, si insedierà presso una gentile panettiera, aprendo un’attività di consegne a domicilio.

A differenza dei precedenti lungometraggi dello Studio Ghibli diretti da Miyazaki, in cui le vicende narrate e i personaggi introdotti erano al servizio di una storia o di un messaggio finale molto forte ed evidente, “Kiki - Consegne a domicilio” è completamente incentrato sulla figura della protagonista. Ogni evento portato su schermo aiuta lo spettatore a comprendere meglio la psicologia della giovane strega e le sue tribolazioni interiori nel passaggio dall'infanzia all'età adulta, costruendo con costanza un coinvolgente percorso di crescita.
Dapprima determinata ed entusiasta per la nuova esperienza, Kiki impara presto che il mondo esterno, specie se soli e lontani da parenti e amici, è un luogo spesso ostile e scontroso. Dopo l’iniziale sorpresa, sono in molti a mostrare una progressiva freddezza verso le abilità della streghetta, demoralizzando una ragazza che, nel corso della trama, si rivela piuttosto incline all'abbattimento e alla tristezza.
Inoltre, l’unica arte magica in possesso di Kiki è il volo (altro tema portante della poetica di Miyazaki), il che fa emergere un aspetto fondamentale della vicenda, cioè il superamento di ogni ostacolo tramite la pura forza di volontà e il sostegno delle persone care, senza il ricorso a trucchi o giochi di prestigio.
Nonostante la presenza di un delizioso cast di supporto (letteralmente), non ci sono antagonisti o rivalità, gli unici nemici di Kiki sono nel suo cuore: sono la depressione per i fallimenti, la solitudine di una stanza vuota e una spiccata emotività che la porta ad allontanare anche quelle persone che le vogliono bene.

Il comparto tecnico è ancora una volta di altissimo livello. Le animazioni sono molto fluide, per quanto semplici per la maggior parte del tempo, ma non mancano di rappresentare al meglio l’ebbrezza e l'instabilità delle sequenze di volo.
Il character design, curato e anche piuttosto vario, mostra un discreto numero di personaggi secondari con fisionomie caratteristiche e anche un sorprendente numero di comparse diverse.
Le ambientazioni sono sempre dettagliatissime e stupefacenti, dipinte con colori tenui ma luminosi: ottima e funzionale è la contrapposizione tra le verdi campagne che Kiki sorvola dirigendosi verso l’inizio del proprio tirocinio e l’affollata città (ispirata ai centri urbani del Nord Europa) in cui si stabilisce, caratterizzata da una perfetta commistione di sfarzosi palazzi e accoglienti casette ed evidentemente a cavallo tra passato e modernità.
La colonna sonora, per quanto piacevole e orecchiabile, non mi è rimasta particolarmente impressa, ad eccezione di un paio di brani più riusciti. Il doppiaggio e l’adattamento italiano del 2013, a cura di Gualtiero Cannarsi, mi sono sembrati eccellenti ed espressivi.

In conclusione, “Kiki – Consegne a domicilio” è un emozionante racconto di formazione sull'abbandono del nido famigliare e l’ingresso nella sfera adulta, con una protagonista credibile, realistica e con cui è facile immedesimarsi. Il lungometraggio ne descrive alla perfezione i tumulti interiori e la difficoltà nel lasciarsi alle spalle l’infanzia, aumentando il coinvolgimento emotivo del pubblico: Kiki è costretta, fin da giovanissima, a rendersi indipendente e ad affrontare il duro mondo del lavoro, ricco di soddisfazioni e delusioni, argomento sempre attuale.
Non ho apprezzato, invece, un certo sguardo carico di rimprovero rivolto agli abitanti della cittadina in cui si trasferisce la protagonista, i cui indifferenza e rigetto iniziali nei confronti della strega, vinti solo quando lei riesce a provare inequivocabilmente il proprio valore, sembrano quasi il risultato del loro rifiuto della tradizione, come se l’autore volesse mostrare la propria disapprovazione per il mancato attaccamento alle cose importanti provenienti dal passato.
Analogo trattamento è riservato alla gioventù locale, talmente materialistica e anaffettiva che neppure Kiki riesce ad evitare di indirizzarle contro sentimenti istintivi di repulsione e sconforto. Quest'ultima, al contrario, dimostra una profonda maturazione, ma senza rinunciare per questo a sé stessa e alle proprie radici.
In ogni caso, si tratta comunque di un film indubbiamente leggero, divertente, appassionante e triste quando necessario. Non il mio preferito, ma resta una visione discretamente consigliata.