Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
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Harem End
7.0/10
Recensione di AkiraSakura
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Shintaro Kago è un pazzo. Decostruttore estremo del fumetto, così efferato da reputare il suo stesso operato come merda, attraverso una perizia tecnica incontestabile, che si rifà all'iperrealismo grafico di Otomo e Maruo, il mangaka muove una satira grottesca di grande impatto, che fa di tutto per rimanere impressa nella mente del lettore, ponendosi con grande prepotenza attraverso corpi squartati in mille pezzi, cadaveri in putrefazione, sanguinose dissezioni di ragazzine innocenti, falli che diventano carri armati, parti del corpo umano che vengono ruotate e disassemblate allo stesso modo delle facce di un cubo di Rubik... insomma, si tratta di perversioni talmente creative da essere addirittura difficili da concepire, sicché provengono dagli angoli più reconditi della mente. Attraverso uno stile personalissimo, riconoscibile con poche tavole, il mangaka punta il ditino contro la società dei consumi e il suo deperimento dei valori, attraverso un masochismo splatter che stordisce come una bastonata in testa.
Un autore con un tale gusto dell'orrido, che ama collezionare action figures di cadaveri in putrefazione e strumenti di tortura (!), come si approccerebbe alla critica del medium animato e dell'otakuzoku in generale?
"Harem End" ci dà la risposta.
Nell'opera, la furia distruttrice di Kago si concentra sull'animazione contemporanea, nella quale il genere harem è inflazionato; di fatto, "Harem End" è una decostruzione brutale del genere, che ridicolizza con sarcasmo feroce tutti i suoi stereotipi, uno alla volta, sino al prevedibilissimo mattatoio finale. Ovviamente tra i personaggi dell'opera non mancano riferimenti a ragazzine moe provenienti da "Madoka Magica", "Chūnibyō demo koi ga shitai!" e compagnia, che vengono disegnate in modo più realistico, in modo tale da farle apparire ancora più kitsch delle loro controparti originarie.
Una volta terminato l'incipit a base di harem, Kago si scaglia contro l'industria dell'animazione tutta, raffigurando gli otaku produttori e consumatori come dei necrofili che adorano personaggi di "anime" creati dal vivo con cadaveri dissanguati, che vengono impiegati nelle riprese come se fossero marionette - palese metafora che grida alla "morte dell'animazione" e all'inettitudine dei suoi personaggi-simulacri senza fare troppi complimenti. In particolare, ad essere preso a sassate è un animatore di nome Kawamori, palese riferimento allo Shoji Kawamori che nel 1982 con "Macross" diede origine all'animazione "da otaku per altri otaku": attaccando il fenomeno alla sua origine, e facendoci sopra del sarcasmo decisamente malato, Kago crea alcuni spunti di riflessione sul manierismo tipico del medium animato giapponese, constatando che molti dei suoi prodotti puzzano di cadavere, di marcio.
Decisamente esilarante per i cultori dell'artista, molto probabilmente indigesto per la maggiorparte delle persone, "Harem End", sebbene non figuri di certo tra i capolavori dell'ero-guro più underground che ci sia, si rivela una lettura potente, sopratutto per chi ama fare dell'umorismo diretto - privo di moralismi, bigottismi e leziosismi - sulla perversione indotta dall'alienazione dell'individuo postmoderno.
Per quanto concerne gli aspetti tecnici, "Harem End" non può di certo competere con "Uno scontro accidentale sulla strada per andare a scuola può portare a un bacio?" e "Fraction", nei quali la decostruzione assoluta tipica della poetica dell'autore colpiva addirittura le stesse vignette (!), che talvolta venivano svuotate completamente del loro contenuto, il quale veniva rappresentato in ciò che rimaneva della pagina (!!) e altre folli trovate in cui veniva utilizzata altresì la tecnica della metanarrazione. "Harem End" formalmente è un fumetto classico, impaginato schematicamente e disegnato senza un'eccessiva abbondanza di particolari, un divertissement sepolcrale e squisitamente malato, un modo estremo e autorale di concepire il sacrosanto otaku trolling - un diritto inderogabile dell'umanità tutta, inclusi gli stessi otaku.
Un autore con un tale gusto dell'orrido, che ama collezionare action figures di cadaveri in putrefazione e strumenti di tortura (!), come si approccerebbe alla critica del medium animato e dell'otakuzoku in generale?
"Harem End" ci dà la risposta.
Nell'opera, la furia distruttrice di Kago si concentra sull'animazione contemporanea, nella quale il genere harem è inflazionato; di fatto, "Harem End" è una decostruzione brutale del genere, che ridicolizza con sarcasmo feroce tutti i suoi stereotipi, uno alla volta, sino al prevedibilissimo mattatoio finale. Ovviamente tra i personaggi dell'opera non mancano riferimenti a ragazzine moe provenienti da "Madoka Magica", "Chūnibyō demo koi ga shitai!" e compagnia, che vengono disegnate in modo più realistico, in modo tale da farle apparire ancora più kitsch delle loro controparti originarie.
Una volta terminato l'incipit a base di harem, Kago si scaglia contro l'industria dell'animazione tutta, raffigurando gli otaku produttori e consumatori come dei necrofili che adorano personaggi di "anime" creati dal vivo con cadaveri dissanguati, che vengono impiegati nelle riprese come se fossero marionette - palese metafora che grida alla "morte dell'animazione" e all'inettitudine dei suoi personaggi-simulacri senza fare troppi complimenti. In particolare, ad essere preso a sassate è un animatore di nome Kawamori, palese riferimento allo Shoji Kawamori che nel 1982 con "Macross" diede origine all'animazione "da otaku per altri otaku": attaccando il fenomeno alla sua origine, e facendoci sopra del sarcasmo decisamente malato, Kago crea alcuni spunti di riflessione sul manierismo tipico del medium animato giapponese, constatando che molti dei suoi prodotti puzzano di cadavere, di marcio.
Decisamente esilarante per i cultori dell'artista, molto probabilmente indigesto per la maggiorparte delle persone, "Harem End", sebbene non figuri di certo tra i capolavori dell'ero-guro più underground che ci sia, si rivela una lettura potente, sopratutto per chi ama fare dell'umorismo diretto - privo di moralismi, bigottismi e leziosismi - sulla perversione indotta dall'alienazione dell'individuo postmoderno.
Per quanto concerne gli aspetti tecnici, "Harem End" non può di certo competere con "Uno scontro accidentale sulla strada per andare a scuola può portare a un bacio?" e "Fraction", nei quali la decostruzione assoluta tipica della poetica dell'autore colpiva addirittura le stesse vignette (!), che talvolta venivano svuotate completamente del loro contenuto, il quale veniva rappresentato in ciò che rimaneva della pagina (!!) e altre folli trovate in cui veniva utilizzata altresì la tecnica della metanarrazione. "Harem End" formalmente è un fumetto classico, impaginato schematicamente e disegnato senza un'eccessiva abbondanza di particolari, un divertissement sepolcrale e squisitamente malato, un modo estremo e autorale di concepire il sacrosanto otaku trolling - un diritto inderogabile dell'umanità tutta, inclusi gli stessi otaku.
Si è di fronte a un problema e, ahimè, è sempre lo stesso: saper riconoscere i propri limiti e giocare secondo le proprie possibilità, uno dei difetti più ricorrenti nelle serie d’animazione degli ultimi anni, tra le altre cose, in particolar modo se si prendono in analisi gli adattamenti delle light novel. Il punto essenziale sta proprio nell’adattamento, che mette sempre di fronte a un’ardua scelta: creare un prodotto fruibile in modo indipendente dall’originale o sfruttare al massimo il mezzo animato per incuriosire gli spettatori e stimolarli forzatamente all’acquisto di questo? Nell’ottica dello spettatore la prima è senz’altro la scelta più sensata, giacché un’opera monca lascerà sempre un po’ di amaro in bocca, ma le case di distribuzione ascoltano solo il portafogli, per cui prendere per i fondelli chi guarda, fargli annusare un po’ di trama per poi lasciata a mezz’aria e concludere con un nulla di fatto è ormai diventata la prassi. La bravura sta nel mascherare questo difetto, ossia nel prendersi gioco dello spettatore senza che quello se ne accorga. E in questo, “Re:Zero”, bisogna dargliene atto, è dannatamente bravo.
La parola magica in questo caso è il fanservice, ma non quello a sfondo erotico che ci si può aspettare dall’harem di turno, più quello gore e psicologico che ha fatto la fortuna di serie dall’opinabile valore intrinseco alla “Mirai Nikki” e soci. Sangue, violenza fisica e torture psicologiche, retorica spiccia, sentimenti urlati in faccia, rabbia e confessioni iperglicemiche. Un bel fritto misto di roba che all’otaku medio piace, eccome se piace. Aggiungiamoci ora il mistero - o mystery, come piace definirlo a chi vuole darsi un tono usando termini inglesi - e i cliffhanger, le scene lasciate in sospeso, gli episodi che terminano proprio sul più bello, una sorta di coito interrotto di emozioni che spezza bruscamente il piacere della visione per riprendere, quando va male, anche con un nulla di fatto nell’episodio successivo. Non dovrebbe stupire ora, prima ancora di sapere di che tratta, il perché “Re:Zero” piaccia così tanto. È lampante, l’astuzia.
Ricollegandosi alla corrente di romanzi per ragazzi in cui il protagonista è intrappolato in un mondo fantastico, la serie segue le vicende del giovane hikikomori Subaru Natsuki, catapultato senza apparenti motivi nel magico regno di Lugunica; se in un primo momento l’euforia per aver realizzato il suo grande sogno escapista prevale sullo sgomento, lasciando trasparire l’intenzione dello staff di non far prendere troppo sul serio la storia e servire un prodotto di puro e goliardico intrattenimento, con l’avanzare dell’intreccio questa viene meno, svelando e delineando la personalità del protagonista. Subaru è un inetto, testardo, ingenuo, egocentrico e spaccone, alle volte un po’ frignone, e per di più senza alcun potere magico o abilità fisica che possano essergli d’aiuto in battaglia; uno di quelli tutto fumo e niente arrosto, bravi a incantare gli sciocchi, ma non altrettanto capaci quando si tratta di passare all’azione. O perlomeno, questo vale per due terzi della serie, prima che gli autori lo trasformino magicamente in genio poliedrico capace di far pendere dalle proprie labbra le personalità più eminenti della nobiltà e dell’esercito del regno. Una dote però ce l’ha, quella della rinascita; ogni volta che muore, il protagonista riprende conoscenza in un determinato momento del passato, così, in un modo o nell’altro, attraverso parecchi tentativi, riesce a cavarsela per il rotto della cuffia e a sopravvivere in questo mondo nel quale ha deciso di ricominciare la sua anonima e vacua vita da zero. L’intento è quello di far capire, attraverso i cicli di sofferenza-morte-rinascita, che non tutti i mondi fantastici sono rose e fiori, che le persone muoiono quando vengono uccise e che nonostante i tentativi potenzialmente infiniti di Subaru, il dolore non è da sottovalutare. “Sword Art Online” ci aveva provato, con scarsissimi risultati, e “Re:Zero” rincara la dose facendo proprio del dolore il cardine di quel tipo di fanservice a cui alludevo prima. Due piccioni con una fava. A Subaru ne capitano di tutti i colori, muore in malo modo più e più volte e viene tradito ripetutamente da persone delle quali si fida. Ma, se all’inizio non sembra accusare di questo massacro, a circa metà della serie inizia il tracollo, le reazioni diventano sempre più plateali ed esagerate ed egli viene ridicolizzato sia da alcuni personaggi sia dal suo stesso atteggiamento. I cambi repentini dello stato d’animo e della psicologia, così contrastanti da risultare dissonanti tra di loro e non certo parte di un disegno lineare, ne mostrano prima il lato maniaco-vittimista, poi implodono in una catalessi tanto improbabile quanto fastidiosa, per riesplodere in forma di aggressività cieca e accidiosa follia e infine di nuovo in vittimismo e autocommiserazione a palate; in tutto questo non mancano le morti truculente, il gore fine a sé stesso, gli spargimenti di sangue e gli antagonisti tanto maligni almeno quanto stereotipati - e neanche in questo caso originali -, tutto per dare quella parvenza di maturità a un prodotto che invece risulta sempre più palesemente per ragazzini. E poi Subaru guarisce, basta una chiacchierata di quindici minuti e tutto passa, torna più forte e spavaldo di prima, furbo come non mai, con la situazione in mano e le carte giuste per salvare il regno e le sue donne. Se la mancanza di consequenzialità logica è prerogativa di questo tipo di fantasy, allora “Re:Zero” ne è il re.
La persona alla quale Subaru decide di votare la propria esistenza è Emilia, una specie di nobile emarginata sociale che a causa della propria etnia viene discriminata e mal vista dalla popolazione; il tutto avviene per motivi di somiglianza con la Strega Invidiosa, Satella, entità magica che in tempi passati ha semi-distrutto Lugunica. La gentilezza e l’aspetto angelico della giovane mezz’elfa dai capelli d’argento riescono a far breccia nei sentimenti di Subaru, il quale, proprio come gli spettatori, la eleva a oggetto del proprio culto personale, a donna angelo latrice di salvazione, sfruttandola come ancora per andare avanti in un mondo che, se in principio percepiva come Paese dei Balocchi, ora è più una Utumno in vesti moe. Emilia però si lascia avvicinare, corteggiare e proteggere dal suo cavaliere Don Chisciotte, troppo debole e di indole ingenua, nonché impegnata con le selezioni per governare il regno, per riuscire a chiedersi cosa mai lo spinga a rischiare la vita per lei.
Anche le due cameriere della ragazza rivestono un ruolo da comprimario nella serie: due demoniette molto carine e tenere che però, in preda ai cinque minuti, possono diventare altresì aggressive e sanguinarie come la ben nota Yuno Gasai; yandere una, tsundere l’altra, la prima prosperosa e la seconda meno dotata, entrambe in abiti da maid all’occidentale, una azzurra e l’altra rosa. Due stereotipi viventi il cui livello di abuso nella cultura pop giapponese è proporzionale solo al potere di infatuazione esercitato sul pubblico maschile - e perché no, pure quello femminile in parte. Rem, quella azzurra, è l’emblema del fanservice di cui parlavo prima, un vero e proprio feticcio per otaku, quel tipo di personaggio moe che può prenderti e farti a pezzi - ma con quel visino che si ritrova come fai a dirle di no? - e che quando sorride, arrossendo e chiudendo gli occhi, riesce a intenerire anche le pietre - e di scene del genere, appunto, la serie è satura.
I personaggi che si turnano al fianco del protagonista sono molti di più, tante pedine che vengono conquistate abilmente dal fascino celato e misterioso - perché certamente non è manifesto allo spettatore - di Subaru e che avvicinandosi al finale pendono sempre di più dalle sue labbra, quasi egli fosse un messaggero degli dei sceso in terra per salvarli.
Resta però il problema di fondo, di Emilia si sa poco o nulla, il suo passato è un mistero, i suoi veri obbiettivi anche, per non parlare del famiglio che porta sempre con sé, e le altre candidate al trono non godono di una sorte migliore, ovviamente, nessuna caratterizzata a dovere. Fanno tutte quelle due o tre comparse ciascuna, nelle quali sembra che debbano essere di chissà quale importanza ai fini della trama, e alla fine scompaiono lasciando il tempo che trovano; solo Crusch ottiene una caratterizzazione comportamentale decente, ma di un background neanche l’ombra. Di Betelgeuse poi è meglio non parlare, avrebbe fatto almeno ridere come caratterizzazione, se non fosse tanto grottesco nel suo masticarsi le dita. A salvarsi sono le due maid, Rem e Ram, e in parte il maggiordomo Wilhelm, se si prendono per buone quelle due o tre sequenze di flashback inserite stocasticamente nel bel mezzo di una battaglia. E poi c’è Subaru, di cui si ignora davvero tutto e che tuttavia riesce, nel suo essere congerie di sentimenti opposti e cozzanti, a passare per capolavoro di realismo psicologico agli occhi dei più.
Arriviamo al dunque: di per sé non è una brutta base quella di “Re:Zero”, per quanto in buona parte abusata e già vista più volte altrove, ma ciò che delude è come essa non venga sfruttata appieno per ridursi a mero sponsor per la serie di light novel. I misteri che avvolgono i personaggi e i retroscena di tutte le vicende che coinvolgono Subaru e il mondo in cui si trova non solo non vengono svelati, ma la carne al fuoco aumenta sempre di più. Sarà anche stata una trasposizione fedelissima, ma, se alla fine di una serie la trama viene lasciata così penzolante e le informazioni che lo spettatore può raccogliere sulla storia di protagonista, coprotagonisti, antagonista e personaggi secondari sono più o meno equivalenti a zero, allora la qualità dell’adattamento diventa davvero scarsa.
Però il fine ultimo è stato raggiunto, WHITE FOX è riuscita a creare un prodotto che ha provocato una crisi mistica in molti e che ha intrattenuto discretamente per più di metà serie anche chi riconosca tutti i difetti attribuibili alla serie stessa; graficamente sempre piacevole, ottimamente impacchettato, potremmo dire, con combattimenti e duelli frequenti che riescono a tenere alta la tensione. Quello che invece non va è la sceneggiatura, troppo semplicistica, e non sarebbe un grosso problema, se non venissero dedicati interi episodi a dialoghi inconsistenti e ridondanti tra i vari personaggi. Insomma, per ogni cosa buona che fa, “Re:Zero” sembra volersi tirare apposta la zappa sui piedi, partendo indubbiamente bene e decidendo poi di ballare sul filo della sufficienza per più di metà serie; sono stato in dubbio se concedergliela o no, se confidare che tutti i misteri e gli interrogativi che vedono la luce nella serie - e che già di per sé, restando irrisolti, condizionano parecchio il prodotto - trovino effettivamente una soluzione logica nella web novel originale, ma lo scetticismo alla fine ha prevalso e, seppur di poco, ho optato per l’insufficienza. Si sa, la speranza è l’ultima a morire, per cui mi accodo a chi sarebbe curioso di scoprire le nuove disavventure di Subaru e compagnia, se non altro per capire se l’autore dei romanzi, con l’avanzare della trama, qualche mistero intende svelarlo o si è proprio preso deliberatamente gioco dello spettatore per tutti e venticinque gli episodi.
La parola magica in questo caso è il fanservice, ma non quello a sfondo erotico che ci si può aspettare dall’harem di turno, più quello gore e psicologico che ha fatto la fortuna di serie dall’opinabile valore intrinseco alla “Mirai Nikki” e soci. Sangue, violenza fisica e torture psicologiche, retorica spiccia, sentimenti urlati in faccia, rabbia e confessioni iperglicemiche. Un bel fritto misto di roba che all’otaku medio piace, eccome se piace. Aggiungiamoci ora il mistero - o mystery, come piace definirlo a chi vuole darsi un tono usando termini inglesi - e i cliffhanger, le scene lasciate in sospeso, gli episodi che terminano proprio sul più bello, una sorta di coito interrotto di emozioni che spezza bruscamente il piacere della visione per riprendere, quando va male, anche con un nulla di fatto nell’episodio successivo. Non dovrebbe stupire ora, prima ancora di sapere di che tratta, il perché “Re:Zero” piaccia così tanto. È lampante, l’astuzia.
Ricollegandosi alla corrente di romanzi per ragazzi in cui il protagonista è intrappolato in un mondo fantastico, la serie segue le vicende del giovane hikikomori Subaru Natsuki, catapultato senza apparenti motivi nel magico regno di Lugunica; se in un primo momento l’euforia per aver realizzato il suo grande sogno escapista prevale sullo sgomento, lasciando trasparire l’intenzione dello staff di non far prendere troppo sul serio la storia e servire un prodotto di puro e goliardico intrattenimento, con l’avanzare dell’intreccio questa viene meno, svelando e delineando la personalità del protagonista. Subaru è un inetto, testardo, ingenuo, egocentrico e spaccone, alle volte un po’ frignone, e per di più senza alcun potere magico o abilità fisica che possano essergli d’aiuto in battaglia; uno di quelli tutto fumo e niente arrosto, bravi a incantare gli sciocchi, ma non altrettanto capaci quando si tratta di passare all’azione. O perlomeno, questo vale per due terzi della serie, prima che gli autori lo trasformino magicamente in genio poliedrico capace di far pendere dalle proprie labbra le personalità più eminenti della nobiltà e dell’esercito del regno. Una dote però ce l’ha, quella della rinascita; ogni volta che muore, il protagonista riprende conoscenza in un determinato momento del passato, così, in un modo o nell’altro, attraverso parecchi tentativi, riesce a cavarsela per il rotto della cuffia e a sopravvivere in questo mondo nel quale ha deciso di ricominciare la sua anonima e vacua vita da zero. L’intento è quello di far capire, attraverso i cicli di sofferenza-morte-rinascita, che non tutti i mondi fantastici sono rose e fiori, che le persone muoiono quando vengono uccise e che nonostante i tentativi potenzialmente infiniti di Subaru, il dolore non è da sottovalutare. “Sword Art Online” ci aveva provato, con scarsissimi risultati, e “Re:Zero” rincara la dose facendo proprio del dolore il cardine di quel tipo di fanservice a cui alludevo prima. Due piccioni con una fava. A Subaru ne capitano di tutti i colori, muore in malo modo più e più volte e viene tradito ripetutamente da persone delle quali si fida. Ma, se all’inizio non sembra accusare di questo massacro, a circa metà della serie inizia il tracollo, le reazioni diventano sempre più plateali ed esagerate ed egli viene ridicolizzato sia da alcuni personaggi sia dal suo stesso atteggiamento. I cambi repentini dello stato d’animo e della psicologia, così contrastanti da risultare dissonanti tra di loro e non certo parte di un disegno lineare, ne mostrano prima il lato maniaco-vittimista, poi implodono in una catalessi tanto improbabile quanto fastidiosa, per riesplodere in forma di aggressività cieca e accidiosa follia e infine di nuovo in vittimismo e autocommiserazione a palate; in tutto questo non mancano le morti truculente, il gore fine a sé stesso, gli spargimenti di sangue e gli antagonisti tanto maligni almeno quanto stereotipati - e neanche in questo caso originali -, tutto per dare quella parvenza di maturità a un prodotto che invece risulta sempre più palesemente per ragazzini. E poi Subaru guarisce, basta una chiacchierata di quindici minuti e tutto passa, torna più forte e spavaldo di prima, furbo come non mai, con la situazione in mano e le carte giuste per salvare il regno e le sue donne. Se la mancanza di consequenzialità logica è prerogativa di questo tipo di fantasy, allora “Re:Zero” ne è il re.
La persona alla quale Subaru decide di votare la propria esistenza è Emilia, una specie di nobile emarginata sociale che a causa della propria etnia viene discriminata e mal vista dalla popolazione; il tutto avviene per motivi di somiglianza con la Strega Invidiosa, Satella, entità magica che in tempi passati ha semi-distrutto Lugunica. La gentilezza e l’aspetto angelico della giovane mezz’elfa dai capelli d’argento riescono a far breccia nei sentimenti di Subaru, il quale, proprio come gli spettatori, la eleva a oggetto del proprio culto personale, a donna angelo latrice di salvazione, sfruttandola come ancora per andare avanti in un mondo che, se in principio percepiva come Paese dei Balocchi, ora è più una Utumno in vesti moe. Emilia però si lascia avvicinare, corteggiare e proteggere dal suo cavaliere Don Chisciotte, troppo debole e di indole ingenua, nonché impegnata con le selezioni per governare il regno, per riuscire a chiedersi cosa mai lo spinga a rischiare la vita per lei.
Anche le due cameriere della ragazza rivestono un ruolo da comprimario nella serie: due demoniette molto carine e tenere che però, in preda ai cinque minuti, possono diventare altresì aggressive e sanguinarie come la ben nota Yuno Gasai; yandere una, tsundere l’altra, la prima prosperosa e la seconda meno dotata, entrambe in abiti da maid all’occidentale, una azzurra e l’altra rosa. Due stereotipi viventi il cui livello di abuso nella cultura pop giapponese è proporzionale solo al potere di infatuazione esercitato sul pubblico maschile - e perché no, pure quello femminile in parte. Rem, quella azzurra, è l’emblema del fanservice di cui parlavo prima, un vero e proprio feticcio per otaku, quel tipo di personaggio moe che può prenderti e farti a pezzi - ma con quel visino che si ritrova come fai a dirle di no? - e che quando sorride, arrossendo e chiudendo gli occhi, riesce a intenerire anche le pietre - e di scene del genere, appunto, la serie è satura.
I personaggi che si turnano al fianco del protagonista sono molti di più, tante pedine che vengono conquistate abilmente dal fascino celato e misterioso - perché certamente non è manifesto allo spettatore - di Subaru e che avvicinandosi al finale pendono sempre di più dalle sue labbra, quasi egli fosse un messaggero degli dei sceso in terra per salvarli.
Resta però il problema di fondo, di Emilia si sa poco o nulla, il suo passato è un mistero, i suoi veri obbiettivi anche, per non parlare del famiglio che porta sempre con sé, e le altre candidate al trono non godono di una sorte migliore, ovviamente, nessuna caratterizzata a dovere. Fanno tutte quelle due o tre comparse ciascuna, nelle quali sembra che debbano essere di chissà quale importanza ai fini della trama, e alla fine scompaiono lasciando il tempo che trovano; solo Crusch ottiene una caratterizzazione comportamentale decente, ma di un background neanche l’ombra. Di Betelgeuse poi è meglio non parlare, avrebbe fatto almeno ridere come caratterizzazione, se non fosse tanto grottesco nel suo masticarsi le dita. A salvarsi sono le due maid, Rem e Ram, e in parte il maggiordomo Wilhelm, se si prendono per buone quelle due o tre sequenze di flashback inserite stocasticamente nel bel mezzo di una battaglia. E poi c’è Subaru, di cui si ignora davvero tutto e che tuttavia riesce, nel suo essere congerie di sentimenti opposti e cozzanti, a passare per capolavoro di realismo psicologico agli occhi dei più.
Arriviamo al dunque: di per sé non è una brutta base quella di “Re:Zero”, per quanto in buona parte abusata e già vista più volte altrove, ma ciò che delude è come essa non venga sfruttata appieno per ridursi a mero sponsor per la serie di light novel. I misteri che avvolgono i personaggi e i retroscena di tutte le vicende che coinvolgono Subaru e il mondo in cui si trova non solo non vengono svelati, ma la carne al fuoco aumenta sempre di più. Sarà anche stata una trasposizione fedelissima, ma, se alla fine di una serie la trama viene lasciata così penzolante e le informazioni che lo spettatore può raccogliere sulla storia di protagonista, coprotagonisti, antagonista e personaggi secondari sono più o meno equivalenti a zero, allora la qualità dell’adattamento diventa davvero scarsa.
Però il fine ultimo è stato raggiunto, WHITE FOX è riuscita a creare un prodotto che ha provocato una crisi mistica in molti e che ha intrattenuto discretamente per più di metà serie anche chi riconosca tutti i difetti attribuibili alla serie stessa; graficamente sempre piacevole, ottimamente impacchettato, potremmo dire, con combattimenti e duelli frequenti che riescono a tenere alta la tensione. Quello che invece non va è la sceneggiatura, troppo semplicistica, e non sarebbe un grosso problema, se non venissero dedicati interi episodi a dialoghi inconsistenti e ridondanti tra i vari personaggi. Insomma, per ogni cosa buona che fa, “Re:Zero” sembra volersi tirare apposta la zappa sui piedi, partendo indubbiamente bene e decidendo poi di ballare sul filo della sufficienza per più di metà serie; sono stato in dubbio se concedergliela o no, se confidare che tutti i misteri e gli interrogativi che vedono la luce nella serie - e che già di per sé, restando irrisolti, condizionano parecchio il prodotto - trovino effettivamente una soluzione logica nella web novel originale, ma lo scetticismo alla fine ha prevalso e, seppur di poco, ho optato per l’insufficienza. Si sa, la speranza è l’ultima a morire, per cui mi accodo a chi sarebbe curioso di scoprire le nuove disavventure di Subaru e compagnia, se non altro per capire se l’autore dei romanzi, con l’avanzare della trama, qualche mistero intende svelarlo o si è proprio preso deliberatamente gioco dello spettatore per tutti e venticinque gli episodi.
Unsung Hero
8.0/10
Per la regia di Take Masaharu, al suo secondo film in concorso al Far East Film Festival 17, un'avvincente storia che getta un appassionato sguardo sui retroscena delle produzioni tokusatsu, con un calibrato gioco di film nel film in cui non mancano momenti toccanti. Come in "100 Yen Love" il regista nipponico ci regala un altro stupendo ritratto umano alla disperata ricerca di riscatto.
Wataru Honjo ("Toshiaki Karasawa", "20th Century Boys", "Oba: L'ultimo samurai") è un grande fan di Bruce Lee nonché uno stuntman leggendario nell'ambiente delle produzioni televisive di genere tokusatsu, con i suoi venticinque anni di carriera alle spalle in cui ha vestito i panni dell'eroe mascherato protagonista della popolare serie Dragon Four. Fra gli addetti ai lavori è molto considerato e rispettato, ed è il presidente di un club di arti marziali, ma è pressoché sconosciuto al grande pubblico, dal momento che ha sempre lavorato come controfigura o col volto celato dalla maschera. Quando Dragon Four viene riadattato per il cinema, si affaccia per Honjo la possibilità di spiccare il grande salto con un ruolo senza maschera, ma purtroppo la produzione affida il personaggio al giovanissimo Ryo Ichinose ("Sota Fukushi", "Library Wars", "As God Will"), già idolo delle teenager e ben intenzionato a far rotta verso Hollywood. Al nostro eroe nascosto non resta che indossare il suo costume per fare da controfigura al ragazzo. Inoltre gli viene richiesto di insegnare al novellino i segreti del mestiere, così Honjo, nonostante il carattere presuntuoso e arrogante di Ryo, non solo si impegna seriamente a istruirlo nella dura disciplina delle arti marziali, ma gli impartisce lezioni di umiltà, oltre che di tecniche di combattimento. Lontano dalle luci della ribalta, i due hanno delle questioni personali da affrontare, Ryo infatti deve badare ai suoi due fratelli minori dopo che la madre li ha abbandonati (scopriremo in seguito che il suo desiderio di andare a Hollywood è dettato proprio dal desiderio di ricongiungersi con sua madre fuggita in America). Anche Wataru dal canto suo ha dei problemi irrisolti con cui fare i conti: ha il rispetto di tutti i suoi colleghi, ma non ha mai realizzato il suo sogno di essere il protagonista in film di arti marziali come il suo eroe Bruce Lee, è un uomo che non è mai cresciuto davvero, allontanato dalla moglie a cui tiene ancora molto, è molto affettuoso con sua figlia adolescente. La faccenda si complica nel momento in cui, pur di consentire a Ryo di fare il suo primo film hollywoodiano, Honjo accetta di girare al posto suo una pericolosissima sequenza action, senza cavi né protezioni, che, secondo le intenzioni del regista Stanley Chen (interpretato dal vero regista coreano Lee Joon-ik), sarebbe la più grande scena d'azione mai girata.
Buddy movie, arti marziali, meta-cinema, commedia e melodramma si mescolano in "Unsung Hero" di Take Masaharu, conosciuto anche come "In The Hero": è una dichiarazione d'amore per il cinema e per tutti quelli che sono coinvolti nella produzione di un film, ma soprattutto per la figura dello stuntman come condizione esistenziale, figura eroica e nascosta dalle luci della ribalta, pronta ad assumersi tutti i rischi come un amante folle della settima arte e cinefilo patologico, disposto a sacrificare la propria vita per un film o addirittura per una singola sequenza. Il regista ci porta dietro le quinte, e con affetto descrive la vita quotidiana di questi artisti e il loro lavoro sul set, per rivelarci i trucchi di una magia che è sì finta, ma anche terribilmente romantica. Tra situazioni comiche, coreografie rutilanti, sguardi critici verso l'industria cinematografica e momenti ricchi di pathos, il film salta allegramente da un registro all'altro, per passare dalla coralità della vita sul set allo scandagliare il privato dei due protagonisti. Al loro fianco un assortito clan di attori caratteristi, fra i quali spicca Susumu Terajima ("Casshern", "Air Doll", "Helter Skelter") in un divertente e autoironico cambio di sesso come suite actor, dovendo recitare nel ruolo di un personaggio femminile mascherato in rosa, mentre una collega donna interpreta un personaggio maschile per il fisique du role. Fra gli altri attori si possono menzionare: il collega stuntman Tomoka Kurotani ("Samurai Resurrection", "Shinobi", "Honcho Azumi"), la figlia Hana Sugisaki ("Madame Marmalade no Ijo na Nazo", "Humanoid Monster Bem") e la ex moglie Emi Wakui ("Robo-G").
Wataru Honjo ("Toshiaki Karasawa", "20th Century Boys", "Oba: L'ultimo samurai") è un grande fan di Bruce Lee nonché uno stuntman leggendario nell'ambiente delle produzioni televisive di genere tokusatsu, con i suoi venticinque anni di carriera alle spalle in cui ha vestito i panni dell'eroe mascherato protagonista della popolare serie Dragon Four. Fra gli addetti ai lavori è molto considerato e rispettato, ed è il presidente di un club di arti marziali, ma è pressoché sconosciuto al grande pubblico, dal momento che ha sempre lavorato come controfigura o col volto celato dalla maschera. Quando Dragon Four viene riadattato per il cinema, si affaccia per Honjo la possibilità di spiccare il grande salto con un ruolo senza maschera, ma purtroppo la produzione affida il personaggio al giovanissimo Ryo Ichinose ("Sota Fukushi", "Library Wars", "As God Will"), già idolo delle teenager e ben intenzionato a far rotta verso Hollywood. Al nostro eroe nascosto non resta che indossare il suo costume per fare da controfigura al ragazzo. Inoltre gli viene richiesto di insegnare al novellino i segreti del mestiere, così Honjo, nonostante il carattere presuntuoso e arrogante di Ryo, non solo si impegna seriamente a istruirlo nella dura disciplina delle arti marziali, ma gli impartisce lezioni di umiltà, oltre che di tecniche di combattimento. Lontano dalle luci della ribalta, i due hanno delle questioni personali da affrontare, Ryo infatti deve badare ai suoi due fratelli minori dopo che la madre li ha abbandonati (scopriremo in seguito che il suo desiderio di andare a Hollywood è dettato proprio dal desiderio di ricongiungersi con sua madre fuggita in America). Anche Wataru dal canto suo ha dei problemi irrisolti con cui fare i conti: ha il rispetto di tutti i suoi colleghi, ma non ha mai realizzato il suo sogno di essere il protagonista in film di arti marziali come il suo eroe Bruce Lee, è un uomo che non è mai cresciuto davvero, allontanato dalla moglie a cui tiene ancora molto, è molto affettuoso con sua figlia adolescente. La faccenda si complica nel momento in cui, pur di consentire a Ryo di fare il suo primo film hollywoodiano, Honjo accetta di girare al posto suo una pericolosissima sequenza action, senza cavi né protezioni, che, secondo le intenzioni del regista Stanley Chen (interpretato dal vero regista coreano Lee Joon-ik), sarebbe la più grande scena d'azione mai girata.
Buddy movie, arti marziali, meta-cinema, commedia e melodramma si mescolano in "Unsung Hero" di Take Masaharu, conosciuto anche come "In The Hero": è una dichiarazione d'amore per il cinema e per tutti quelli che sono coinvolti nella produzione di un film, ma soprattutto per la figura dello stuntman come condizione esistenziale, figura eroica e nascosta dalle luci della ribalta, pronta ad assumersi tutti i rischi come un amante folle della settima arte e cinefilo patologico, disposto a sacrificare la propria vita per un film o addirittura per una singola sequenza. Il regista ci porta dietro le quinte, e con affetto descrive la vita quotidiana di questi artisti e il loro lavoro sul set, per rivelarci i trucchi di una magia che è sì finta, ma anche terribilmente romantica. Tra situazioni comiche, coreografie rutilanti, sguardi critici verso l'industria cinematografica e momenti ricchi di pathos, il film salta allegramente da un registro all'altro, per passare dalla coralità della vita sul set allo scandagliare il privato dei due protagonisti. Al loro fianco un assortito clan di attori caratteristi, fra i quali spicca Susumu Terajima ("Casshern", "Air Doll", "Helter Skelter") in un divertente e autoironico cambio di sesso come suite actor, dovendo recitare nel ruolo di un personaggio femminile mascherato in rosa, mentre una collega donna interpreta un personaggio maschile per il fisique du role. Fra gli altri attori si possono menzionare: il collega stuntman Tomoka Kurotani ("Samurai Resurrection", "Shinobi", "Honcho Azumi"), la figlia Hana Sugisaki ("Madame Marmalade no Ijo na Nazo", "Humanoid Monster Bem") e la ex moglie Emi Wakui ("Robo-G").
sfortunatamente, gli altri due titoli non li conosco^^
Questo è un problema già presente nella novel: 9 volumi, e dico 9 fottuti volumi, solo per introdurre i personaggi e nemmeno tutti e sopratutto in 9 volumi l'evoluzione è quasi pari a zero.
In pratica hanno trasposto ad anime un lungo e prolisso prologo
ma non si sa mai...
Interpretazione del tutto personale. L'anime non vuole far capire niente di tutto ciò. Come ho spiegato settemila volte si tratta niente più che un high fantasy, la frase che dici si potrebbe applicare al 100% degli anime in cui muore un personaggio o in cui un personaggio prova dolore. Cioè, io la posso appicciccare praticamente a qualsiasi opera e ci suona bene.
Usare poi una recensione per fare palesi attacchi personali la trovo una cosa di infimo livello e indice della totale mancanza di argomentazioni del recensore. Ma questo l'ho già detto all'epoca direttamente a giacgiac
Comunque, anche se l'opera ha un sacco di difetti nel suo insieme, un voto così basso non se lo merita di certo.
Ad esempio, le varie sfacettature psicologiche del protagonista personalemente mi hanno convinto e l'ho visto come un tentativo di mostrare un personaggio diverso e più completo. Inoltre rispecchiano la follia presente nella trama (le sue numerose morti violente e la pazzia dei nemici). Il fatto che il protagonista provi a crescere e spesso non ci riesce del tutto lo trovo fantastico proprio perchè rispecchia una persona vera, cioè debole. Tutte queste esagerazioni (che ammetto possono essere pesanti e fastidiose per l'utente) fanno parte della storia e fanno capire quanto sia tutto crudele e folle (in questo mondo la gente di massacra di brutto!). Infine una critica così pesante soltanto perchè la serie non è ancora finita (per quanto sia vero il discorso di giacgiac) non può e non deve alterare così tanto la valutazione dell'opera.
C'è una bella differenza tra fare un paragone tra due opere e vederci delle similitudini di mezzi o di intenti.
Due opere possono essere totalmente dissimili ma usare gli stessi espedienti narrativi.
Detto questo, mi pare che Mirai Nikki e Re:Zero sguazzano entrambi nell'uso del cosidetto "Misery Porn", quindi non vedo così sbagliato l'accostamento, anche se, ovviamente, in tutto il resto le due opere divergono.
Considerando che né la serie né l'animazione sono persone... che cavolo stai dicendo?
Io non le ho viste, ma immagino che Zello abbia trovato frecciatine verso alcuni fan dell'anime.
[img]http://vignette3.wikia.nocookie.net/starpolar/images/c/c6/What_am_i_reading.jpg/revision/latest?cb=20150607160438[/img]
Comunque credo proprio che vedrò Unsung Hero, di Bob c'è solo da fidarsi. E Harem End l'ho già letto e apprezzato, se non sbaglio proprio perché invogliato dalla recensione di Akira.
"Re:ZERO" parte col piede giusto, i primi due/tre episodi sono ben strutturati e avvincenti, e tutto (fuorché l'incipit irragionevole, la cui spiegazione potrebbe però giungere in seguito) mostra una certa coerenza.
Poi il vuoto, sia nei contenuti sia nelle caratterizzazioni dei personaggi: tutta la vicenda si regge su ingiustificato sensazionalismo, fastidiosi cliffhanger (uno, due, tre vanno bene, poi stufano) e una melliflua captatio benevolentiae nei confronti degli amanti di maid, ragazze-gatto, loli...
Il problema principale, a mio avviso, è il tentativo (mal riuscito) di proporre, in questa cornice, contenuti "seri" (la follia di Subaru, la crudeltà di un mondo spietato...), inconciliabili con il pressapochismo della psicologia dei vari personaggi (Beetlegeuse penso sia uno degli antagonisti peggio concepiti che abbia mai visto) e la scarsa attenzione alle dinamiche del mondo fantasy in cui si muovono (le scene ambientate a corte, durante la selezione reale, sono inguardabili).
Potenzialmente interessante, "Re:ZERO" alla fine non è altro che un prodotto assemblato male, tutto sommato guardabile, non certo indimenticabile.
Ci sono recensioni anche più negative su Re:Zero, ma scritte e argomentate 100 volte meglio di questa accozzaglia inutile (giusto per citarne un paio quelle di traxer-kun e di Tacchan).
Poi avendo letto tanttissimi libri fantasy e visto praticamente quasi ogni anime fantasy sia stato fatto, potremmo stare ore a discutere del perché una cosa è fatta bene o è fatta male. Potrei spiegarvi perché Beetlegeuse alla fine risulti un antagonista ben più credibile del pluriosannato Satou (Ajin) o dissertare su altri aspetti, ma non è l'opinione che contesto.
È proprio questo modo ipocrita finto-buonista di scrivere che mi da fastidio.
Perché poi, a proposito di darsi un tono, fa figo scrivere stocastico quando invece potresti scrivere casuale o altri sinonimi. Questo significa darsi un tono, mettere parole ad mentula canis estrapolate da altri contesti (in questo caso ambito prettamente scientifico, nell'ambito delle arti visive poi ha proprio tutto un altro significato) e che non c'entrano neanche una fava con quello che si intendeva esprimere.
Non c'è granché da spiegare: Satou non è amato perché forte di chissà quale originalità, credibilità o profondità, ma perché ha una qualità di cui Petelguese è completamente sprovvisto, e cioè il carisma. Il villain per antonomasia, se non ha innanzitutto quello, non inciderà mai.
Non c'è proprio confronto, a partire dal doppiaggio. Vogliamo mettere la presenza scenica della performance di Otsuka, con un ammasso di grida stridule, ansimi e sputi? Abbiamo capito, Petelcoso incarna il male puro, ma sinceramente io il male me lo ricordavo un po' più ansiogeno e incisivo.
Curare la forma, "darsi un tono", usare un lessico ricercato... non li annovererò mai tra i punti a sfavore. Piuttosto che adeguarsi all'imperante sciatteria del linguaggio, specie sul web, a costo di forzare i campi semantici, non mi dispiace affatto un po' di sano narcisismo.
Re:Zero è ben lontano dalla sua conclusione, per quanto abbia dei chiarissimi difetti a livello narrativo (se non fosse stato per il lato artistico, non avrei apprezzato particolarmente l'opera) questa critica non la comprenderò mai (critiche simili vennero mosse anche alla prima stagione dei Giganti).
Sappiamo poco di Emilia? Poco male, la storia si evolverà e sapremo di più, queste lamentele possono essere portate avanti solo quando si è ad un certo punto della storia; il vizio dello spettatore che vuole tutto e subito (o che sbraita se il tutto non gli viene dato quando vuole lui) mi ha sempre dato fastidio.
"Problema di fondo" "Quindi qualità scarsa dell'adattamento". Ci sono tempi narrativi, questi 24 episodi hanno avuto tutt'altro obiettivo e magari i prossimi 24 ti diranno tutto su Emilia. Il ritmo della narrazione, oltre la prima saga (che ho detestato) è stato coerente, e si è detto tutto quello che si doveva dire e quello che Subaru aveva bisogno di sapere, per sapere di più ci sarà tempo.
E Trump non accetta i messicani.
Che facciamo, ergiamo un muro tra le recensioni?
Sentite, io lo so che a qualcuno possa far venire un malore l'idea che ai cartoni giapponesi non vada tributato di default un voto dall'8 in su, ma io ho sempre saputo che a scuola un 6 vuol dire "promosso". Che poi sia "sufficiente", ciò non toglie che si intenda, appunto, che è sufficiente alla promozione. Ora, se a una persona il titolo X non è piaciuto abbastanza, e per questo ha tutto il diritto bocciarlo, mi spiegate perché dovrebbe comunque promuoverlo? Per fare un favore a voi? Parliamo di un 5,5, siamo vicini alla sufficienza e alla promozione, siamo nel mezzo, non agli estremi. Leggete lo scritto, vi fa schifo? Bene, ditelo, spiegate perché. Vi fa schifo un innocuo 5,5? Beh, 'sticazzi, scusate il termine. Potremmo benissimo spulciare le liste anime di tutti di noi e scoprire certi scheletri nell'armadio che farebbero impallidire non le fanbase, ma proprio decenni di storia della critica del cinema e della serialità d'animazione, 9-10 e 1-2 dati come caramelle anche a visione appena iniziata o mai conclusa, altro che 5,5.
No, ma evidenziare che vi siano dei "limiti" nella recensione, per non fare scoppiare flame insulsi si può fare. La recensione è limitata in più punti di vista come si è evidenziato, l'ho evidenziato io e lo ha evidenziato anche qualche altro. Con quel voto definisce un'opera non conclusa come mediocre, nella cui recensione viene criticato il fatto che l'opera non abbia esplicitato tutto sui personaggi e sul plot narrativo. Sapete come si chiama a casa mio questo, nonsense.
:D
Quello non l'avrei "accettato" neanch'io.
Non accetto neanche molti dei miei stessi voti a dirla tutta, ma per cambiarli o toglierli dovrei far sostituire anche le recensioni e sarebbe solo uno sbattimento per i mod.
Scroscianti applausi dalla tribuna di chi mangia i popcorn.
Secondo questo ragionamento dovremmo dare un voto positivo, o almeno la sufficienza ad ogni serie non conclusa. Se un anime viene presentato in un certo formato mi aspetto che nel complesso mi vengano date come minimo delle linee guida sull'andamento della serie; deve lasciarmi qualcosa, o mi hai presentato un prodotto con tanto potenziale ma con poco contenuto. Ed effettivamente questo per me è Re:Zero.
Ma dico, così tanto per dire, dopo aver guardato un anime, vi viene in mente l'esigenza di sapere da dove prende spunto o a cosa si ispira, o sbaglio ? Perché penso che un po' di buon senso ed un po' di ricerca vi migliorerebbe la giornata. Google is the way bro. C'è persino un commento che evidenzia che i limiti in questo senso dell'anime sia da riconoscere anche alla novel, così tanto per dirne una eh.
Detto questo il mio ragionamento, che hai travisato, non dice che dovremmo dare la sufficienza ad ogni serie anime non conclusa, ma se fai del tuo cavallo di battaglia da detrattore il fatto che l'opera non spieghi sfaccettature sul plot narrativo e sui personaggi quando neanche la novel al momento lo ha fatto, che cosa devono fare gli autori ? Se lo devono andare ad inventare ? Ah, ma sarebbe sbagliato, specie con esempi quali FullMetal Alchemist o Blue Exorcist. Aridaje.
Sinceramente non è una cosa che mi preme. Non conosco la light novel di riferimento, quindi non sono in grado né di criticarla né di lodarla, ma un anime non può reggersi su l'opera originale, se viene fatto proprio come adattamento deve sapersi reggere anche sulle sue gambe. Se no possiamo dire che un pessimo adattamento sia per forza buono perché l'originale è ben fatto.
Va bene, ma uno spettatore sarà anche libero di valutare quello che vede, no? Oppure il tuo metro standard di giudizio è "magari i prossimi 24 episodi potranno..."? Perché allora prestami la sfera di cristallo, visto che questi 24 eventuali episodi, che io sappia, potrebbero anche non arrivare mai. Questo non è "il vizio dello spettatore", ma il sacrosanto diritto del recensore che, arrivato alla fine della serie, si è visto prendere per il culo per 24 episodi a furia di vuoto mistery porn, involuzioni caratteriali casuali e basate sul nulla, un furbo contesto otaku-bait, e ovviamente i fastidiosissimi e ruffianissimi cliffhanger messi giù apposta per spalancarti a forza la mandibola. Se una cosa simile è sufficiente, bisogna ridefinire un po' i parametri di giudizio.
L'adattamento deve reggersi sulle proprie gambe ed hai ragione, ma se si ispira ad una novel come spesso accade nell'animazione giapponese viene riproposta pari alla novel stessa se non con esigenze e tempi narrativi che ben si sposino con la produzione animata, cosa che è accaduta in questo caso. Detto questo se si avesse l'accortezza di non esprimere certe opinioni su qualcosa che non si conosce nella sua interezza si eviterebbero migliaia di discussioni inutili con gente palesemente ignorante nell'argomento che si sta trattando.
A mio parere se non si è in grado di fornire un adattamento decente si può facilmente evitare e aspettare di avere un maggior numero di informazioni. Detto ciò non ritengo sia necessario evitare di produrre una serie solo per la mancanza di informazioni, questo non è l'unico motivo per cui la serie non mi è piaciuta, ci sono altri motivi (forse non tutti) che ho spiegato sopra. Ne ho visti altri di anime che lasciano molto al caso, proprio a causa dell'opera originale, solo ho trovato Re:Zero un esempio particolarmente marcato di questo atteggiamento di voler fare tutto e subito senza avere il giusto materiale.
Davanti alle solite uscite dei detrattori di quest'opera mi chiedo cosa abbiano fatto di male gli autori alle loro madri. Riassumere Re:Zero in queste uscite è come criticare uno Slice of Life per il suo realismo o la sua lentezza.
è che chi sta dicendo queste cose sono persone che odiano un certo tipo di opere, quindi non c'è nulla di sorprendente. infatti non sono per nulla d'accordo con il loro grande odio per questo "otaku-bait", ma sarebbe inutile anche solo parlarne
Finché i produttori della serie animata di re:zero non esporranno almeno l'intenzione di fare un sequel animato, si avrà pure il sacrosanto diritto di lamentarne la parziale incompletezza.
Nel caso resti tutto invariato, il re:zero animato avrà funzionato quasi esclusivamente come uno strumento per sponsorizzare la novel, perché è così che l'industria funziona.
Poi dubito che il voto dipenda solo da quello eh.
Già anche perché la novel così come l'adattamento anime rientrano in quel genere ben specifico. Ripeto quanto evidenziato prima, se si deve parlare di un argomento, quantomeno bisognerebbe esserne preparati nella sua interezza per poter dare un parere personale. Ma come evidenziava Zelgadis si tiene più ad evidenziare il contenuto che la sostanza.
Ci può stare, ma spero che questo non abbia avuto un peso troppo rilevante sulla recensione. Da quel che ne so, di solito quando una serie "dovrebbe" avere un seguito lo si precisa nella recensione. Se invece si dice solo che non sono stati approfonditi i personaggi e non é stato spiegato questo e quello mi sembra un po' una critica gratuita.
Purtroppo non posso fare altrimenti, é l'unica serie che conosco e di cui posso parlare
Ma che cavolo c'entra? Non è che se avesse avuto un epilogo gli avrei dato 10, ma la sua palese incompletezza - che lo rende tuttalpiù una semplice pubblicità animata all'opera cartacea - è solo uno degli svariati motivi per i quali, imho, non è un'opera sufficiente. Come peraltro mi risulta che tutti i "detrattori" di Re:Zero abbiano sempre affermato.
Lo stesso tuo concetto si potrebbe equiparare alla serie Monogatari, ma siccome è un Monogatari non è una pubblicità per l'opera cartacea. A parte il fatto che quando un'opera si rifà così di pari passo alla novel, se la novel ha dei pregi, è per me oggettivamente un fattore positivo e non per forza si deve equiparare ad un difetto fino a decontestualizzarlo dicendo che è una pubblicità. Tale affermazione è sinonimo solamente della poca cura o del piglio sbagliato con cui si è visionato l'opera. Per quanto riguarda questi "svariati" motivi, se ci rifacciamo a quelli sostenuti dal recensore, essi sono state a più riprese smentiti dai commenti di Zelgadis, dal sottoscritto e dai famosi "estimatori" dell'opera su questo sito, quindi invito la plebs ad andarsi a ricercare tali discussioni. Non ha senso scrivere e riscrivere le stesse cose, non siamo mica dei tritacarne.
Certo, poi se però si prendono certe licenze e s'inventano dei finali li si critica perché sono stati troppo originali e non hanno seguito il manga/novel. Davanti a queste uscite rimango come al solito basito, tutti a parlare di sacrosanto diritto, però poi quando qualcuno evidenzia l'incoerenza più totale di certi ragionamenti partono le uscite "Beh, ci sono altri motivi...". Per me la discussione si può anche concludere qua, non ha senso continuare.
Ah io di certo non sono chiamato in causa. A me basta vedere un finale ispirato, coerente e non frettoloso. Parecchi film non sarebbero oggi riconosciuti come capolavori se non avessero preso un'altra strada rispetto ai romanzi. Shining insegna nulla?
E va be, di questi tempi il fanservice da elemento neutrale quale è (Alla stregua della preferenza o meno di un genere), viene invece fatto passare per diffetto oggettivo, no seriamente! È mai stato un reale problema? E se lo fosse non è forse presente in qualsiasi altra forma d'arte ed epoca esistente?(Seppur in forma apparentemente differente).
Stesso discorso su uno stile moe(Che poi non è propriamente uno stile visto che il 99% non ha ancora capito cosa significa e continua a fraintendere) o anche quegli elementi che i superficiali definiscono la roba Otaku Oriented, tutti questi aspetti che in analisi "obbiettiva" non dovrebbero pesare nella bilancia li si vuole far spacciare per errori artistici e non come il fastidio personale che potrebbero o non potrebbero rappresentare.....questo discorso non è diretto solo al recensore...ma anzi a una buona fetta di gente, complimenti community! I Giapponesi si sono ridotti ad un estremo? Noi Occidentali(e non solo) ovviamente ridiciamoci all'altro, così..Dai! Per il gusto di essere complementari!
Beh, credo che ormai sia stato detto più o meno tutto.
Quindi mi limito a confermare la mia stima per le capacità di analisi di giac^2, che come sempre è capace di guardare un'opera con occhio critico senza farsi trasportare dall'hype generale (che con rezzero è stato copioso e palese, e ha purtroppo offuscato il giudizio delle menti meno prone all'analisi indipendente).
Bravo
eh bravo, e allora? sai che hai fatto tutto da solo e non c'entra nulla con quello che intendevo vero? sai che hai tratto da te le tue conclusioni, no?
fate togliere la voglia pure di commentare
Ho una sola domanda: consideri il joker di heath ledger un villain senza carisma?
Pure io avrei la domanda "Cosa c'entrava il personaggio di Ajin tanto per cominciare?" ma non sento l'esigenza di protrarre la discussione.
Davvero stai facendo questo paragone?
Davvero vuoi insinuare che i personaggi siano scritti in modo anche solo comparabile?
Non è che ti stai dimenticando che il Joker in Batman non è solo un cattivo che fa esplodere cose, ha uscite da folle e si veste da infermiera ma è anche un personaggio con dialoghi veramente cazzuti (tipo quello del "Mettiamo un bel sorriso su quel faccino!")?
Ah, visto che sto già scrivendo sfatiamo pure la colossale balla che se l'opera è incompleta allora è normale che i personaggi abbiano la stessa profondità caratteriale di una pozzanghera perché verranno approfonditi dopo.
Ma quando mai questo succede in opere scritte in modo decente?
Un personaggio può essere interessante anche senza essere stato sviscerato del tutto, anzi, un personaggio non ancora approfondito dovrebbe essere scritto in modo tale da incuriosire lo spettatore sul suo carattere, sulla sua backstory.
Un personaggio come Emilia non dice niente perché è un guscio vuoto, non perché verrà approfondita in seguito (e, btw, a memoria non ricordo chissà quali rivelazioni dagli spoiler sugli archi 4-5-6).
Ma prendiamo un anime che piace anche a Zello come esempio: Uchouten Kazoku.
Sfido chiunque a dire che Benten, personaggio su cui ancora ci sono molti punti oscuri, è un personaggio piatto e poco interessante.
Il discorso lo potrei capire per comprimari che hanno avuto uno screentime minimo, per personaggi principali assolutamente no.
Come tu sai si è anche provato a organizzare un sondaggio per il miglior villain ai neko, ma non avrebbe comportato troppe problematiche e si è dovuta abbandonare l'idea.
Solo che non capisco perché Otsuka, certamente ottimo professionista, non sia confrontabile con Yoshitsugu Matsuoka il cui curriculum tra premi e ruoli da protagonista, mi sembra di tutto rispetto.
Ma ok, d'accordo, non protraiamo la discussione. Come ho già detto, ho il massimo rispetto di chi pensa che Re:Zero sia una cavolata di infimo valore da bocciare senza appello. Il fatto di avere un'opinione diversa non è mica un problema.
Satou mi è sembrato proprio cucito addosso al suo seiyuu. Una combinazione perfetta, ormai non riesco ad immaginarmelo con un'altro doppiatore, e non per questione d'abitudine.
(ok ho risposto, ma io fortunatamente ho esaurito le domande )
E' "palese" che il personaggio di Emilia verrà approfondito in seguito, in quanto se si è seguito un pelino bene e rivisto la trama, subirà prima o poi una catarsi e non sarebbe la prima volta che un character design volutamente piatto subisce un'evoluzione andando avanti nell'opera. Detto questo però rimaniamo sempre nel campo della probabilità in quanto l'opera non è di certo conclusa. A maggior ragione quindi non capisco le opinioni di chi critica presupponendo che non lo sia, per partito preso, con attacchi voluti a chi sostiene idee diverse. Già a prescindere una recensione così sarebbe da abolire imho, in quanto dovrebbe sostenere punti oggettivi e personali, non criticare il pensiero altrui, altrimenti diviene solamente una demagogia per attirare like facili. Dicasi likecrazia.
Ovvero: per quanti volumi hanno lasciato scoperta la caratterizzazione di Emilia&co.
Perché, se ne sono stati adattati almeno 4-5 e non s'è ancora visto nulla, allora è abbastanza legittimo iniziare a puntare il dito verso l'incapacità dell'autore.
Porca vacca, a sentire certe persone qui, sembra che la novel venga scritta da Dostoevskij in persona.
Forse non è poi così capace...
L'originale era una web novel. L'autore scriveva man mano i suoi capitoli e li pubblicava liberamente sul web (e lo fa tuttora). Esiste tanto di quel materiale che pare davvero un mattone di Dostoevskij.
Kodansha, avendolo notato ha deciso di far diventare quelle web novel dei romanzi veri e proprio da pubblicare. A quel punto si è ricominciato daccapo. Affiancato da un editor, l'autore ha ripreso il materiale dall'inizio, sono stati fatti dei tagli e delle correzioni e sono cominciati ad uscire i romanzi. Io ho i primi due in inglese (pur parlando il giapponese non sono in grado di leggerlo bene) e coprono metà dell'anime, il primo arco e la storia di Ram e Rem nel secondo.
Effettivamente l'anime riassume abbastanza e, come detto la novel è già un riassunto del materiale originale, da questo nasce la confusione.
Esistono delle traduzioni amatoriali in giro della web novel, ma è tutto materiale incompleto.
Sì ma la questione è che per ora è un personaggio di una monodimensionalità pazzesca, non è l'avere un passato particolare che fa il personaggio, è il modo in cui agisce, si comporta che lo rende interessante o banale, in questo Emilia fallisce miseramente, e anche la backstory più strappalacrime che nemmeno Maeda potrebbe pensare la salverà da questo difetto.
E no, l'idea che ad un certo punto un personaggio subisca uno sconvolgimento caratteriale pazzesco a me non fa impazzire, vedi ad esempio Julius che credo abbia una personalità multipla visto che passa da cavaliere molto severo con i buffoni come Subaru a sembrare quasi omosessuale per il modo sconcertante in cui sembra voler diventare amicicio di Subaru (uno che fino a 3 secondi prima sputava sull'onore e sul ruolo dei cavalieri).
Per ora 9, ma fidandomi dei riassuntozzi sugli altri archi che si trovano direi molti di più.
Tra l'altro, a quanto pare, più va avanti e più gli archi diventano lunghi.
Grasse risate considerando quanto già il 3 fosse, per certi versi, interminabile.
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