Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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“Aria the Animation” è un anime di tredici episodi prodotto nel 2005 dallo studio Hal Film Maker e diretto da Jun’ichi Satou. L’opera è la trasposizione animata di alcuni capitoli del manga “ARIA” di Kozue Amano, nonché del suo prequel “AQUA”.

Ci troviamo nell’anno 2301, ovvero a circa 150 anni dalla terraformazione di Marte. Mentre alla Terra è stato dato il nuovo nome di Man-home, il pianeta rosso è ora conosciuto come “Aqua” e ospita, tra le altre attrazioni, la città di Neo-Venezia, ovvero la perfetta ricostruzione del capoluogo veneto ormai sommerso dalle acque. É qui che si svolgono le avventure della nostra protagonista Akari Mizunashi, la quale si impegna per poter diventare, un giorno, un’Undine esperta.

Come le successive, la prima serie di “Aria” dimostra alla perfezione che ordire trame tragiche o spettacolari non è strettamente necessario per colpire e appassionare lo spettatore. Un’atmosfera sognante e rilassata, la magia del quotidiano e l’estrema semplicità sono gli elementi che fanno da padrone in questa splendida opera e che la rendono un prodotto di tutto rispetto.

Già in questa prima stagione si delineano le tematiche e gli aspetti caratteristici che fungeranno da direttrici anche in “The Natural” e “The Origination”.
Innanzitutto, più volte si mette in evidenza quanto il mondo in cui vivono le nostre protagoniste sia un “miracolo straordinario”: il pianeta Aqua, infatti, è il prodotto del duro lavoro degli esseri umani che assieme si sono impegnati per offrire alla gente un luogo piacevole e confortevole in cui vivere. Se le serie successive sono più dedite all’esplorazione delle calli e dei canali di Neo-Venezia, in “The Animation” ci si sposta spesso al di fuori della città e si viaggia tra terme suggestive, paesaggi bucolici e spiagge di sabbia bianca. In ognuna di queste occasioni, Akari non potrà non contemplare il mondo meraviglioso che le è stato donato, e neanche mancherà di ringraziare le persone che l’hanno creato e quelle che continuano a rendere possibile la sua esistenza.
Altro elemento essenziale dell’opera sono le frasi e i pensieri dei suoi personaggi, in particolare della sua protagonista: esse sono espresse con la più genuina naturalezza e vengono direttamente dal cuore. Nella contemplazione di un luogo o di un avvenimento straordinario, la nostra Akari non può fare a meno di lasciarsi andare a paragoni semplici, lontani da sceneggiature complesse e ricercate, e simili a poesie che solo i bambini riuscirebbero a comporre e che gli adulti mai avrebbero il coraggio di scrivere. L’ occasionale stucchevolezza che ne potrebbe derivare, poi, è sapientemente smorzata dal tormentone di Aika “Vietate le frasi imbarazzanti”.
Per quanto riguarda l’aggettivo “straordinario” da me utilizzato in precedenza, è bene precisare che il più delle volte esso è sinonimo di “ordinario”. Ovviamente suona come una forte contraddizione, ma una delle prerogative di “Aria” è proprio l’assenza di sviluppi improvvisi e colpi di scena eclatanti. Un’espressione che a quest’opera starebbe a pennello è, infatti, “La felicità è nelle piccole cose”: ogni episodio è un invito a rallegrarsi, ad emozionarsi, a commuoversi per tutto quello che ci circonda e per i piccoli avvenimenti di ogni giorno.

Passando ai personaggi, non c’è bisogno di dilungarsi molto. Questi tredici episodi sono serviti essenzialmente a introdurre e a darci un’infarinatura generale di protagonisti e comprimari, mentre per una caratterizzazione più approfondita si dovranno attendere le stagioni successive. Al primo impatto, comunque, essi risultano tutti molto simpatici, ognuno con il suo tipico intercalare e la distintiva faccia da super-deformed (quest’ultimo, forse, un po’ troppo utilizzato).

Arriviamo al lato tecnico. Il character design presenta linee abbastanza morbide ed è ben realizzato la maggior parte delle volte. Le animazioni non sono né fluidissime né legnose, mentre i fondali, anche se non perfetti, riproducono fedelmente i luoghi della laguna veneta. Le ost sono piacevoli e rilassanti, in linea con lo spirito dell’opera e con la sua ambientazione italica. Stupenda e suggestiva l’opening “Undine”, la mia preferita tra le sigle di apertura delle varie serie. La regia di Jun’ichi Satou, infine, si può descrivere con i medesimi aggettivi utilizzati per il sopracitato comparto sonoro.

In conclusione, “Aria The Animation” è una perfetta introduzione all’universo creato da Kozue Amano. Già questa prima stagione trasmette tutti i messaggi ricorrenti anche nelle opere successive: l’invito ad apprezzare le piccole cose, a godersi ogni istante di vita quotidiana e, soprattutto, ad essere grati degli innumerevoli doni che abbiamo ricevuto, primi fra tutti le persone che ci circondano e il mondo in cui abitiamo. Voto: 9.


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"Hoshi no koe", letteralmente tradotto "La voce delle stelle", è un manga composto da un solo volume disegnato da Mizu Sahara, tratto dall'omonimo e ormai famosissimo cortometraggio ideato e realizzato dal rinomato Makoto Shinkai.

La storia vede come protagonisti Nagamine Mikako e Terao Noboru, una ragazza e un ragazzo da sempre uniti e segretamente innamorati l'uno dell'altro, costretti a separarsi a causa della partenza di Mikako in direzione dello spazio sconfinato. Più incrementa la distanza fisica, più tempo i messaggi impiegano ad arrivare ai rispettivi cellulari, e Noboru, rimasto sulla terra, inizia a frequentare nuove persone e a rifarsi una vita, ma nel suo cuore un indelebile ricordo dell'amica non ne vuole sapere di scomparire.

La trama non differisce molto rispetto a quella del celebre cortometraggio, ma grazie all'aggiunta di qualche personaggio secondario l'autrice riesce a rendere la narrazione meno pesante e monotona. Da un lato è indubbiamente una notizia positiva, ma a mio avviso in questo modo cala notevolmente quell'opprimente sensazione di solitudine e angoscia che aveva contraddistinto la controparte animata.
In questa sua prima opera Shinkai introduce e analizza la tematica che gli è più cara e che diventerà il suo marchio di fabbrica: la lontananza. Mikako e Noboru hanno una sorta di rapporto platonico, non si sono mai dichiarati l'un l'altro e la loro storia d'amore non è mai neanche iniziata, eppure soffrono terribilmente dopo la separazione. I messaggi impiegheranno mesi ad arrivare, non c'è alcuna garanzia di ritorno da parte di Mikako, e le possibilità che Noboru possa raggiungerla sono infinitesimali; riuscirà il loro sentimento a rimanere vivo?

Tecnicamente il disegno è ottimo, il design dei personaggi è stato notevolmente migliorato, così come i fondali estremamente dettagliati. L'edizione italiana curata da Star Comics gode di un ottimo rapporto qualità/prezzo, e non è una spesa particolarmente onerosa. Il finale muta leggermente rispetto a quello della controparte animata, e differenza di essa regala al lettore un briciolo di speranza.

"La voce delle stelle" è un buon manga, ma sicuramente a livello di trama e di sviluppi è il lavoro più acerbo di Shinkai. Una storia che riesce a coinvolgere solamente in parte, e che difficilmente lascerà un segno profondo nel lettore. Rimane comunque una lettura consigliata.


10.0/10
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Nella storia dell'animazione giapponese, pochi anime possono dire di essere stati importanti e influenti almeno quanto “Mazinga Z”. Stiamo parlando di una serie che non solo ha introdotto il genere mecha al pubblico così come lo conosciamo oggi, ma ne ha anche creato dei cliché che han tenuto banco per un decennio, alimentando le casse giapponesi e aiutando gli anime a diventare popolari fuori dalla madrepatria.

Ma andiamo per ordine, partendo dalla trama.

In una spedizione tenutasi nel 1962 sull'Isola di Rodi (Bardos nella versione in lingua originale), un gruppo di scienziati alla scoperta dei resti della civiltà micenea (Mikenes in originale), rinviene dei mostri meccanici e la formula che la popolazione scomparsa usava per costruirne degli altri. Una volta restaurati, il Dr. Inferno (Dr. Hell in originale) palesa la sua brama di conquista del mondo, innescando i robot tramite uno scettro ritrovato in quel luogo, e ordina loro di uccidere tutti i presenti. Il Dr. Juzo Kabuto è l'unico a riuscire a mettersi in salvo e, tornato in patria, istituisce il Centro di Ricerche per l'Energia Fotoatomica nei pressi del Monte Fuji. Qui comincia a costruire la Superlega Z (Chogokin Z in originale), inizialmente chiamata Ultralega Z, un materiale ultraresistente ricavato dal Japanium, il quale viene rinvenuto in uno strato roccioso risalente all'era glaciale e situato nella zona vulcanica del Monte Fuji.
Anni sono passati da quella spedizione e il Dr. Inferno, temendo che il Dr. Kabuto, andato in pensione dopo aver presentato al mondo la sua invenzione, potesse ordire un piano in segreto per contrastarlo, ordina alle Maschere di Ferro, i suoi seguaci, di assassinarlo. Costoro sono capeggiati dal suo braccio destro, il Barone Ashura (Ashura Danshaku in originale), un cyborg mezzo uomo e mezzo donna a cui il Dr. Inferno ha dato vita unendo due mezze mummie ritrovate nelle rovine dell'Impero di Micene. Riusciti nell'impresa, il Dr. Kabuto, in punto di morte, rivela a suo nipote Ryo Kabuto (Kōji Kabuto in originale) il Mazinga Z, un robot gigante realizzato interamente in Superlega Z per difendere il pianeta dagli assalti del suo collega. Secondo lo scienziato, la potenza del Mazinga Z è così grande, da poter essere sia portatore di giustizia che di caos. Infatti, il nome del robot nella versione originale è Majinga Z, che sta proprio a indicare che è sia un demone (ma) che una divinità (jin) (il ga serve a rafforzare il soggetto majin. La Z è invece un riferimento alla Superlega Z con cui la macchina è prodotta).
Ad affiancare Ryo per la difesa del pianeta vi saranno il Professor Yumi (a capo del laboratorio in seguito al pensionamento del Dr. Kabuto) con la sua equipe e sua figlia Sayaka (che è pilota del robot dalle fattezze femminili Afrodite A (Afurodai A nella versione originale). Più in avanti si aggiungerà anche Boss (che piloterà uno sgangherato robot fatto in casa denominato Boss Robot).

Ciò che balza subito all'occhio nei primi episodi è il narrare la storia in modo piuttosto dettagliato e il più realistico possibile (per i tempi ovviamente). Basti pensare al fatto che quasi una decina di puntate viene dedicata all'incapacità di Ryo nel pilotare il Mazinga Z e al fatto che spesso ciò lo porta a causare disastri o addirittura a non potersi muovere.
Questa scelta (non affatto scontata e che pochissimi anime fanno) è avvalorata anche dal fatto che “Mazinga Z” rappresenta un vero e proprio percorso di vita, legando la crescita dell'individuo con quella del robot e creando una sorta di immedesimazione con il pubblico. Puntata dopo puntata, infatti, a causa dei continui attacchi che provocano morte e distruzione in Giappone, all'occorrenza anche a persone vicine ai giovani protagonisti, questi ultimi sono spinti a crescere più in fretta del dovuto. Facendo ciò, scoprono l'umiltà e il valore dell'amicizia e della vita, cancellando le loro futili rivalità e cominciando a fare un vero e proprio lavoro di squadra, diventando sempre più prudenti e meno avventati.
Parallelamente, anche Mazinga Z viene potenziato. Dapprima molto limitato, vengono aggiunti nuovi colpi al suo arsenale e lo si mette in condizione di poter volare.
Si parte proprio da zero e con una crescita collettiva graduale che dura novantadue episodi.
Tutto ciò avviene in modo molto genuino e senza forzature, che invece sono molto presenti negli anime dello stesso genere che lo hanno succeduto. Altra particolarità che lo contraddistingue da buona parte dei suoi successori è il fatto che la colonna sonora ben si amalgama con la serie ed è perfetta in ogni situazione. Se questa richiede carica, c'è il pezzo per caricare il telespettatore, se bisogna comunicargli tristezza, c'è un pezzo che può comunicare quella sensazione, e così via. Molti successori invece presentano colonne sonore abbastanza piatte che male accompagnano ciò che sta avvenendo in puntata, provocando reazioni neutrali o soporifere.
Proprio per la forte immedesimazione, il finale ha un impatto maggiore sul telespettatore e viene ricordato come uno dei più struggenti tra i mecha.
Sul punto di vista dell'immedesimazione, gioca un ruolo fondamentale l'azzeccatissima rappresentazione dei personaggi, Ryo su tutti, che incarna alla perfezione il tipico adolescente impulsivo che i bambini vorrebbero diventare, in cui l'adolescente rivede sé stesso, mentre l'adulto rivede il sé stesso dei tempi che furono.
Grande nota di merito va anche data ai doppiatori Italiani (non avendo visto la versione in lingua originale, non posso dire nulla su di essa), che hanno saputo caratterizzare eccellentemente ogni singolo aspetto dei personaggi e ogni singola situazione in cui loro sono coinvolti. L'adattamento non è fedelissimo, ma non c'è alcuna modifica che pregiudica la comprensione e lo svolgimento degli eventi. Le modifiche alla fine riguardano principalmente alcuni nomi, soprattutto le mosse dei robot. Ciò per rendere il prodotto più fruibile da un pubblico Italiano ai tempi (1980) poco avvezzo alle parole straniere. Sebbene qui in Italia la serie sia arrivata su Rai 1 nel 1980, a causa di alcuni fatti di cronaca, è stata sospesa dopo cinquantuno episodi. I restanti quarantuno sono arrivati nel 2015 grazie a Yamato Video, che li ha trasmessi su Man-ga assieme ai vecchi (per la prima volta in versione integrale, visto che la Rai ai tempi censurava alcune scene) e li ha raccolti tutti e novantadue in cofanetti home video. A causa di questo grande lasso di tempo, i due blocchi di episodi presentano due doppiaggi diversi, ma comunque di grande livello. L'adattamento del secondo blocco è fedele al primo per una questione di continuità.

Nella serie ci sono comunque anche aspetti negativi, e forse sono quelli che più di ogni altro fanno desistere le nuove generazioni dal cominciare a vederla. Mi riferisco alla pessima rappresentazione dei mostri meccanici (il più delle volte davvero ridicoli) e al ritrovarsi di fronte a molti episodi uguali tra loro, soprattutto nella prima metà della serie.
Per il primo punto, bisogna tenere a mente che ai tempi si dava molta più importanza all'eroe. Mentre oggi abbiamo cattivi che hanno un certo appeal (vedi “Dragon Ball”), oppure abbiamo situazioni grigie in cui bene e male, giusto o sbagliato, diventano solamente dei punti di vista (vedi “Death Note”), negli anni '70 non era così. E una rappresentazione di un mostro meccanico (che era una sorta di “scagnozzo semplice” del cattivo) passava di gran lunga in secondo piano. Soprattutto considerando l'alta mole di episodi in programma che rendeva praticamente impossibile creare più di cento mostri meccanici tutti diversi tra loro e con una certa originalità.
Per quanto riguarda la ripetitività delle puntate, era molto in voga negli anni '70. Il primo ad aver portato questo schema chiamato in gergo “mostro della settimana”, è stato il tokusatsu “Kamen Raidā” (inedito in Italia), che ha avviato le trasmissioni nel 1971, un anno prima di “Mazinga Z”, ed è terminato nel 1973. Tale schema prevede che i cattivi lancino il loro scagnozzo di turno (nel caso di “Mazinga Z”, un mostro meccanico) contro i loro nemici nel tentativo di raggiungere un determinato obiettivo, che, puntata dopo puntata, non si riesce mai a finalizzare, salvo alcune occasioni. Il primo anime ad aver fatto uso di questa tecnica è stato “Devilman” (“Debiruman” in originale), trasmesso tra il 1972 e il 1973. Sia “Devilman” che “Mazinga Z” sono opere manga di Go Nagai, ai tempi già famoso per essere l'autore del primo manga ecchi ed hentai della storia, “La scuola senza pudore” (“Harenchi Gakuen” in originale, 1968-72). Sia “Devilman” che “Mazinga Z” sono poi stati trasposti in anime televisivi senza alcuna fedeltà all'opera cartacea da uno staff di registi della Toei, con cui Nagai aveva comunque voce in capitolo.
Assistere a puntate ripetitive è indubbiamente una cosa fastidiosa oggi, soprattutto quando c'è un ampio numero di episodi, ma nel caso di “Mazinga Z”, proprio per l'effetto immedesimazione di cui parlavo prima, una volta terminata la corsa, si ha un'altra percezione.

Come tutti gli anime datati, prima di prenderne visione, bisogna sforzarsi di fare un passo indietro. Cercare di immedesimarsi nella realtà dell'epoca e capire cosa c'era in giro a quei tempi, in modo da poterlo contestualizzare e valutarlo al meglio delle sue potenzialità. Se si compie questo sforzo, “Mazinga Z” vi risulterà essere un anime davvero geniale per i tempi. Innanzitutto, è stato il primo Super Robot, ossia una macchina di grandi dimensioni unica nel suo genere, dotata di abilità molto spesso irreali e pilotata internamente da un essere umano. Prima di lui i robot erano telecomandati o umanizzati. Ha inventato il 90% degli stereotipi dei Super Robot (mancano solo i robot che si agganciano tra di loro e la mossa finale). Dallo scienziato che dà direttive ai piloti verso la vittoria con varie strategie all'invasore di turno che vuole dominare il pianeta, per poi passare alla composizione del robot (sia interna che estetica) e al modo in cui vengono eseguite le mosse, la presenza di un robot goffo che cerca di aiutare i protagonisti in modo comico, ecc. Tutti stereotipi che sono stati ripresi da tutte le serie Super Robot e che sono comparsi tutti per la prima volta in “Mazinga Z”. Questa formula nutrirà enormemente le casse giapponesi per ben dieci anni ininterrotti, rendendo i Super Robot il fenomeno più prolifico e duraturo nella storia dell'animazione nipponica.
Seppur in maniera minore, anche i Real Robot hanno attinto qualcosa da lui, a partire da come è concepito il robot (estetica e cabina di pilotaggio) e a come sfrutta le sue armi per combattere. Per intenderci, il Real Robot differisce dalla sua controparte per non essere una macchina unica. E' infatti prodotta in serie per scopi bellici e ha abilità più realistiche.
L'influenza di “Mazinga Z” è andata anche oltre l'animazione, dai tokusatsu (vedi “Sūpā Robotto Mahha Baron”) ai film di fantascienza americani (vedi “Pacific Rim”). E questo senza contare le citazioni.

Oltre ad essere un'opera influente dal punto di vista creativo, “Mazinga Z” ha registrato dei risultati commerciali da record e ha gettato le basi del merchandising moderno. Le riproduzioni in modellini del robot con il nome di Chogokin Z (il nome originale della Superlega Z), ad opera della Popy, registrarono vendite così elevate, da cambiare la concezione stessa di produzione di un anime. Mentre prima il cartone animato era al centro di tutto e il merchandising era un qualcosa di secondario, in seguito al '72 le parti si sono invertite. Gli sponsor cominciano a supportare i prodotti animati, con i produttori di giocattoli in prima linea. E, mentre prima era solo il manga il prodotto da cui partire per poter realizzare un anime, adesso cominciano a nascere anche anime che vengono pensati prima come giocattoli. Il primo ad essere concepito in questo modo è stato “Il prode Raideen” (“Yūsha Raidīn” in originale), che ha cominciato le sue trasmissioni nel 1975, terminandole l'anno successivo.
Il grande successo di “Mazinga Z” ha portato al rilascio dei mediometraggi cinematografici “Mazinga Z contro Devilman” (“Majingā Z tai Debiruman” nella versione originale, del 1973) e “Mazinga Z contro Il Generale Nero” (“Majingā Z tai Ankoku Daishōgun” in originale, del 1974) e alla creazione di una trilogia avente “Mazinga Z” come prima serie (1972-74), “Il Grande Mazinga” (“Gurēto Majingā” in originale, 1974-75) come seconda e “UFO Robot Goldrake” (“UFO Robo Gurendaizā”, 1975-77) come terza. Anche questi ultimi hanno avuto dei mediometraggi cinematografici e il brand ha saputo continuare a vivere nel tempo tra videogiochi, manga e anime che hanno fatto da remake e reboot della saga.
Nei doppiaggi Italiani, il personaggio di Ryo ha assunto svariati nomi e ciò ha creato confusione nel pubblico nostrano. In “Il Grande Mazinga”, nel primo episodio viene chiamato Kaisen, nei successivi o Koi o Kōji (che è il suo nome originale). In “UFO Robot Goldrake” viene invece chiamato Alcor nel primo doppiaggio, del 1978, e riprende l'originale Kōji nei due ridoppiaggi del 2005 (uno fedele a quello del '78, ad eccezione del suo nome, e uno fedele all'originale). Anche l'ordine di arrivo e di trasmissione della prima visione televisiva, avvenuta in ordine inverso, ha creato confusione.

Un'altra grande importanza che va attribuita a “Mazinga Z” è quella di aver dato un enorme contributo nel popolarizzare l'animazione Giapponese nel mondo. Infatti, il grandissimo successo internazionale ottenuto dai Super Robot nel corso degli anni '70 e degli anni '80, così alto da aver generato dei fenomeni di culto che ancora oggi durano, ha spinto i Paesi esteri a continuare a importare anime per il proprio pubblico, creando dei nuovi miti.

In conclusione, “Mazinga Z” è una delle opere più importanti e meglio riuscite dell'animazione giapponese. Uno di quei must che per storia e influenza va assolutamente visto almeno una volta nella vita. Se si è abituati troppo a un'animazione che non contempla lo schema “mostro della settimana”, consiglio di visionare una puntata al giorno e di fare di tanto in tanto qualche piccola pausa, per non rendere la cosa pesante. Alla fine ne sarà valsa la pena.
Fa un po' sorridere pensare che un'opera così importante sia stata partorita in seguito a un ingorgo stradale, in cui l'autore Go Nagai pensava a cosa sarebbe successo se dalla sua auto fossero usciti degli arti, che gli avrebbero permesso di scavalcare le altre auto.