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Una casetta isolata, una ragazza che ci vive da sola, e un'atmosfera misteriosa e suggestiva, che incuriosisce lo spettatore fin dai primi fotogrammi: si apre così questo cortometraggio, di soli venticinque minuti, uscito nel 2015 e tratto dall'omonimo manga del 2011 di Machiko Kyo, che voleva raccontare la vita di una ragazza dopo il terremoto e lo tsunami di quell'anno.

Con un intrigante stile grafico, minimale nei tratti e acquarellato nei colori, e un commento musicale dolce, a tratti dai toni malinconici, veniamo accompagnati dentro questa casa e nella vita di questa ragazza.
Chi è costei di preciso, e perché viva isolata in quella casetta, non viene detto, e con lo scorrere del tempo si ha la sensazione che non verrà nemmeno mai rivelato. Questo alone di mistero che aleggerà per tutta la durata del film è acuito dal fatto che il corto è parzialmente muto. Solo gli oggetti presenti in scena prendono la parola, diventando una sorta di voce narrante fuori campo. Mollette, spazzolini, cuscini e ombrelli dialogheranno tra di loro, fornendoci qualche notizia in più qua e là, ma soprattutto regalandoci interessanti spunti di riflessione.
Gli esseri umani presenti, anche quelli che interverranno successivamente, non parleranno mai, e si muoveranno in completo e rispettoso silenzio. Nonostante ciò ne capiremo le intenzioni, i pensieri e le loro preoccupazioni, e i dialoghi tra gli oggetti attorno confermeranno le nostre sensazioni.

Tuttavia, è davvero difficile capire dove questa storia voglia andare a parare. Lo spettatore viene indotto a porsi delle domande per tutto il corso della visione, non spiegandosi il motivo preciso per il quale questa ragazza viva sola, isolata in quella piccola casa in riva al mare, e pure circondata, poco distante, da detriti e rifiuti, nonché da alte mura che le impediscono di vedere cosa c'è oltre.

Il paragone con tre serie anime molto note è inevitabile: "Conan, il ragazzo del futuro", che lo ricorda sia nel chara design dei personaggi, che nella rappresentazione distopica e post-apocalittica dell'ambiente; "L'attacco dei Giganti" e "The Promised Neverland" per la presenza in entrambi di quelle mura e di tutto quello che le rappresenta, anche metaforicamente.

Nonostante non si capisca davvero bene tutto quello che c'è dietro (ma anche questo aspetto contribuisce al gran fascino della pellicola), il risvolto finale è notevole e induce, ancora una volta, a farsi un'ultima e fastidiosa domanda: " È preferibile un'illusione accettabile o un'amara verità?"
Dall'atmosfera ovattata iniziale, quasi da sogno incantato di un clima di serena quotidianità, si passa a un senso di forte inquietudine e solitudine. Cosicché la silenziosa protagonista, nel rispondere a quell'ultima nostra domanda, ci sorprenderà, e le note della sigla finale, come ottimo accompagnamento in questa sua scelta finale, accentuerà nello spettatore tristezza e smarrimento.

Una pellicola consigliata a tutti, delicata e poetica nella narrazione, ma feroce e cupa nei contenuti. Una piccola perla.