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7.0/10
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A un pugno di puntate dalla fine, e non vedo grossi colpi di scena all'orizzonte (ma mai dire mai), credo sia possibile imbastire una recensione di questa ennesima fatica della Toei, la quale si riprometteva di riportare alla gloria i mitici giorni di "Tiger Mask", vera e propria istituzione in terra nipponica, e non solo.

A ognuno il suo.
Nella prima serie storica, i colori erano rudi, poveri, il tratto sporco, appena abbozzato, e rappresentava tutte le sfumature di una società non abbiente (la televisione era un lusso per pochi, e non comparivano certamente capi firmati all'ultima moda). La seconda, la famigerata "Tiger Mask Nisei", era stata prodotta e ambientata nei coloratissimi e ingenui anni '80, gli anni del boom economico, dei lustrini fluorescenti e della disco-dance, dove l'eroe di turno assomigliava più che altro a un incrocio tra un tokusatsu e un supereroe americano uscito dagli stabilimenti della Filmation. La serie trasmessa nel 2016, più che sugli incontri in sé, si focalizza invece sulla visibilità dell'atleta nel circuito dei mass-media e sul relativo merchandising: tutto viene programmato anzitempo dalla giovane manager (moe) Haruna tramite SMS e tablet di ultima generazione. Nonostante le nuove tecnologie e gli avveniristici palazzetti dello sport, l'ambientazione, in particolar modo il quartiere dove ha sede la Takaoka Motors, viene rappresentata ancora come se fosse una qualsiasi strada rimasta ferma al tempo delle serie TV vintage firmate Studio Deen e Pierrot, sia per i colori, caldi e rilassanti, che per la tranquillità che lascia trasparire. In questo, Tokyo, o meglio, i sobborghi della capitale, non sembrano essere cambiati di molto, anche se effettivamente sono passati trent'anni dagli anime in questione.
Scordatevi quindi sequenze cruente, tavoli e sedie conficcati nella schiena e altre atrocità, e ancor meno orfani che fanno fatica a racimolare i soldi per un pasto decente. Non sperate, inoltre, in round che durino per ore e ore, dal momento che le scene in cui appare l'attuale Tiger Mask si possono cronometrare in una manciata di secondi ad episodio, e non sempre con disegni esaltanti (ma è risaputo: la Toei punta da sempre al risparmio, e il pubblico sugli spalti rimane statico come nelle precedenti edizioni).
Come già detto, tutto ruota attorno al business, dettato dalle due associazioni NJPW e GWM. A far da contorno l'improbabile storia d'amore tra l'impacciato Naoto e l'infermierina Ruriko, la classica figlia di papà, gattamorta e ancheggiante (e di conseguenza non mancano siparietti comico/demenziali in puro stile Rumiko Takahashi); le vicende agrodolci di Fukuwara Mask, volente o nolente una macchietta piuttosto ricorrente; l'infortunio di Daisuke Fujii, ridotto in carrozzella dopo la chiusura della palestra Jipang; non poteva infine mancare all'appello lo spocchioso successore di Mister X (coadiuvato dalla prosperosa Miss X), sempre con la fissa di dominare il mondo del pro-wrestling con i suoi nerboruti lottatori cresciuti nella notoria Tana delle Tigri. Avrei voluto reincontrare la dolce e affabile Ruriko del 1969, magari che si gode la meritata pensione, o almeno un piccolo cameo di Kenta, ma l'emozione sarebbe stata troppo forte: già mi sono commosso a rivedere Kentaro Takaoka, e a sentirgli narrare le nobili gesta di Naoto Date (deceduto? Vivo e vegeto? Avvistato nei bassifondi di una metropoli occidentale? Patrocinatore di qualche associazione sportiva? Qui ci sono diverse fazioni che si pronunciano a riguardo. Dal canto mio, rimango abbastanza confuso).
Per dovere di cronaca, va detto che la drammaticità la si incontra di rado, come ad esempio quando l'odierno Naoto confida di essere cresciuto in un campo per sfollati a causa di un disastro naturale. Ogni storyboard fa storia a parte, e, per accontentare i palati più disparati, si parla di tutto un po', da smorfiose idol che si insultano a suon di post, a gite culinarie in montagna, fino al misconosciuto mondo del wrestling femminile; diciamo che l'unico mistero che si protrae nel corso dell'opera rimane quello della vera identità di Yellow Devil.

In conclusione, un moderno "Tiger Mask", leggero e divertente - ma non per questo non appassionante -, confezionato ad hoc da uno staff venuto su a pane e picchiaduro (e, infatti, si notano alcuni lottatori che paiono saltati fuori da un cabinato Capcom o SNK, vedi ad esempio Bosman, sosia di Zangief) per un pubblico di quarantenni, che ancora sognano di possedere l'iridato mantello tigrato e di correre verso il ring tra gli scroscianti incitamenti dei fan.