Riportiamo di seguito la prima parte di un articolo pubblicato su Key4Biz e scritto da Andrea Materia (direttore editoriale della nuova collana MX di Magic Press), che si interroga sul fenomeno Crunchyroll, sempre più spesso scelto dalle case di produzione giapponesi come strumento di distribuzione dei propri titoli sul web.

Crunchyroll SkipBeat

Dall’8 Gennaio 2009, Crunchyroll.com netcasta in contemporanea mondiale le più popolari serie animate giapponesi (anime per gli intenditori), a un manciata di minuti di distanza dalla loro messa in onda in patria su TV Tokyo. Streaming con sottotitoli in inglese, deselezionabili a piacere, e il classico range di alternative “guarda in HD o qualità DVD”. Per il servizio si paga un abbonamento mensile di 7 dollari; ma basta aspettare una settimana e tutte le anteprime diventano disponibili gratis in un flusso definito low quality, che poi significa all’incirca una risoluzione tipo vecchia TV analogica.
Tra gli anime in diretta mondiale il celeberrimo Naruto, erede incontrastato di Dragonball, tanto hot che i suoi free streaming finiscono anche su Hulu e Joost, e titoli targetizzati ad adolescenti maschi/femmine (in gergo shounen o shoujo) come Gintama, arti marziali e cazzotti magici, o Skip Beat!, il mio preferito, una ragazzina fuori di melone decide di diventare attrice da copertina per vendicarsi dell’ex-fidanzato. Accanto alle premiere un catalogo di centinaia di episodi di library anime on-demand in veloce espansione, da Capitan Harlock ai cortometraggi dei cineasti indipe arthouse giapponesi.
Crunchyroll è un portale di video-sharing californiano senza troppi fronzoli, startuppato nel 2007 con un investimento di 15.000 dollari da un gruppo di studenti. Per un anno si sono finanziati i server (circa 100, funzionali a sostenere una richiesta di diversi gigabits al secondo di banda negli orari di punta pre-serali) con il loro ineludibile costo di 50.000 dollari e spiccioli al mese, affidandosi alle donazioni degli internauti; a questi ultimi offrivano inizialmente la chance di uploadare sulla piattaforma – e conseguentemente condividere – ogni tipo di anime, fregandosene altamente di diritti d’autore e takedown notice da DMCA stile YouTube. Un modello di business spericolato che gli guadagna 4 milioni di visitatori unici al giorno, e nel 2008 un consistente afflusso di fondi da venture capital.
A quel punto decidono di darsi una ripulita, cancellare dai server gli upload non autorizzati, e mettersi d’accordo con i giapponesi per spremere un po’ di succo verde insieme dalle hit del momento.


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