Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Quest'oggi ci dedichiamo al genere Shonen con i manga di Jojo - Stardust Crusaders e Bakuman e l'anime di Saint Seiya Omega.
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
Quest'oggi ci dedichiamo al genere Shonen con i manga di Jojo - Stardust Crusaders e Bakuman e l'anime di Saint Seiya Omega.
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
(Nota: i dieci volumi a cui si fa riferimento sono quelli della recente riedizione.)
JOSEPH: Sei come il figlio che non avrò mai... Josuke.
JOTARO: Jotaro.
JOSEPH: Johnny.
(da "Jojo's Bizarre Adventure Abridged")
Se pensate che farsi crescere una barba metaforica richieda meno tempo e disciplina di una barba vera vi sbagliate di grosso. Al creativo e, ahimè, altamente dispersivo Hirohiko Araki ci sono volute tre serie di "Jojo" prima di passare da un gruppo di sparuti ma ostinati peletti a qualcosa che potesse cominciare a definirsi tale, e per il lettore è stato forse più difficile assistere al processo che per lui riuscirvi.
Giappone, 1989. Quando il tuo cognome da ragazza è Joestar e tuo figlio è un mezzo delinquente convinto di essere posseduto da uno spirito maligno è ora di togliersi le fette di prosciutto dagli occhi e di guardare in faccia la realtà: la tua famiglia non potrà mai essere come quella del Mulino Bianco. Ma un sogno che si è cullato per anni è difficile da abbandonare, e per questo Holly (o Seiko, come si fa chiamare da quando ha sposato il musicista Sadao Kujo), che ha ereditato la testardaggine di papà Joseph e l'intelligenza a targhe alterne di mamma Suzi, si aggrappa alla speranza che il genitore riesca a far intendere ragione al suo Jotaro, ben deciso a non lasciare la cella in cui è stato rinchiuso a seguito dell'ennesima rissa prima di aver capito cosa gli sta succedendo. Il ragazzo scoprirà che quello che credeva essere uno spirito è in realtà uno Stand, ovvero la manifestazione fisica della sua energia vitale, e che lo stesso Jospeh, già in grado di produrre le Onde Concentriche, ne possiede uno. Il risveglio di entrambi si deve al ritorno del vampiro Dio Brando, da cent'anni nemico dei Joestar e che, essendo riuscito ad impossessarsi del corpo di Jonathan, vale a dire il primo Jojo, può ora vantare un legame con la di lui progenie; legame che rischia di uccidere Holly, che non ha la forza d'animo necessaria per controllare il proprio Stand.
C'è solo un modo per salvarla: uccidere Dio, non solo per il bene dei Joestar ma anche del mondo intero. Prima, però, bisogna trovarlo e soprattutto bisogna sconfiggere i suoi numerosi sgherri. Ad accompagnare Jotaro e il nonno in questo lungo e folle viaggio dal Sol Levante all'Egitto saranno l'indovino Abdul, possessore dello Stand Magician Red, lo studente Kakyoin con il suo Hierophant Green, il francese Polnareff, dotato dello Stand spadaccino Silver Chariot, e in seguito anche il cagnolino Iggy, che controlla The Fool.
Contrapponendo al cambio di rotta, costituito dall'introduzione degli Stand, il meglio delle due serie precedenti, Araki sembra quasi invitare il lettore a fidarsi di lui ancora una volta, fornendogli abbastanza elementi familiari da ridurre al minimo l'iniziale senso di disorientamento. Una premura sensata, dal momento che stiamo parlando di una serie all'epoca pubblicata su "Weekly Shōnen Jump", il cui giovane pubblico è tenuto in estrema considerazione, e per giunta alla fine degli Anni Ottanta, con il vento in procinto di cambiare in maniera significativa per i battle manga. Per quanto tempo ancora i lettori si sarebbero accontentati di una fisicità alla "Hokuto no Ken"? Probabilmente non molto. D'altra parte anche in-universe il concetto di volontarietà dell'azione, espresso attraverso il controllo della respirazione (ricordiamo tutti la "Cura Zeppeli" per il braccio rotto di Jonathan e la maschera di Lisa Lisa, no?), sembrava in qualche modo preannunciare questo prevaricare dello spirito sul corpo. In questo modo vengono a crearsi infiniti scenari per quanto riguarda gli Stand e il modo in cui interagiscono non solo tra loro, ma eventualmente anche con l'ambiente che li circonda.
La sceneggiatura non esiste. O, meglio, esiste in funzione dello Stand nemico del momento, sconfitto il quale ne arriverà subito un altro e così via fino all'atteso scontro con Dio. La varietà delle forze in gioco, tuttavia, scongiura il rischio di annoiare il lettore, la cui pazienza viene ricompensata con dei combattimenti che, pur seguendo dei pattern facilmente individuabili, risultano sempre molto interessanti. L'espediente del viaggio, inoltre, conferisce al tutto una dinamicità che le due serie precedenti non avevano, sebbene già "Battle Tendency" fosse significativamente meno legnoso rispetto al suo predecessore.
Un ulteriore passo in avanti è stato fatto in merito ai fastidiosissimi inforigurgiti e alle telecronache dei vari scontri: ce ne sono ancora, ma siamo comunque ben lontani dai fasti di "Phantom Blood", dove Speedwagon - che in questa terza serie suppongo monologhi fra gli angeli - la faceva da padrone con le sue ovvietà non richieste.
Anche la comicità è diversa: se "Phantom Blood" poteva strappare delle risate involontarie e il giovane Joseph era un pagliaccio per natura, in "Stardust Crusaders" si ride principalmente perché, nonostante l'enorme pressione psicologica a cui (in teoria) sono sottoposti, per i protagonisti è perfettamente normale mettersi a fare i cretini nel bel mezzo di un combattimento, magari uccidendo la spannung con un'opinabile perla di saggezza o producendosi in siparietti a sfondo scatologico. Si respira, in altre parole, un clima forse più da gita scolastica che da missione salvataggio, ma che serie di "Jojo" sarebbe senza tamarrate? Che il lettore si rassegni: non c'è spazio per quasi nient'altro.
Quando si legge un battle shōnen si accetta, più o meno implicitamente, di dover venire incontro all'autore per quanto riguarda lo scavo introspettivo, dal momento che si tratta di un aspetto generalmente trascurato in opere di questo tipo. Ma è giusto che il lettore compia un simile sforzo, mettendosi a scandagliare la psicologia di ogni singolo personaggio come se stesse pelando una cipolla? Per quanto trovi meraviglioso che un'opera mi spinga ad indulgere con piacere in quest'attività, che può essere stancante e ben poco proficua, sono costretta ad ammettere che la risposta è no. Il problema di "Stardust Crusaders" è che, a differenza delle due serie precedenti, non punta abbastanza sull'evoluzione dei protagonisti, che ci vengono presentati già strutturati in modo tale da lasciare ben poco spazio ad un'eventuale loro crescita. Ognuno di essi si fa rubare la scena dagli altri con l'atteggiamento falsamente indulgente di chi pensa di non aver bisogno di ricorrere a simili mezzucci, ed è un bene che fra loro non vi siano esponenti del gentil sesso perché non farebbero altro che recriminare tutto il santo giorno.
In "Phantom Blood" abbiamo visto Jonathan risollevarsi dall'abisso di paura e di vergogna nel quale la convivenza con Dio l'aveva fatto sprofondare, e prepararsi con il cuore gonfio di tristezza a svolgere l'ingrato compito di liberare il mondo dalla sua minaccia. In "Battle Tendency", invece, abbiamo visto Joseph fare tesoro degli insegnamenti tanto degli amici quanto dei nemici. In "Stardust Crusaders" non accade nulla di tutto ciò: Jotaro è esattamente così come ci appare, vale a dire il classico eroe imperscrutabile con delle profondità che, per quanto intuibili, non ha alcuna intenzione di condividere con altri. Oh, e naturalmente esercita un controllo immediato e assoluto sul suo Stand, il potentissimo, accuratissimo e velocissimo Star Platinum. Constatare tutto questo può risultare oltremodo frustrante per chi sperava di vederlo maturare sotto ai propri occhi come i suoi predecessori, alla cui crescita Araki era riuscito a dare - compatibilmente con i suoi limiti di narratore - un risalto più che dignitoso e soprattutto per nulla scontato per un battle shōnen.
Ma Jotaro non è l'unico a rifuggire il Character Development come un gatto il contatto con l'acqua: al contrario, è in ottima compagnia. Joseph, avendo già compiuto il proprio percorso, è in qualche modo giustificato, ma Abdul è di una monoliticità assoluta e a dir poco irritante, mentre mi sembra che Polnareff e Kakyoin, di gran lunga gli anelli deboli della catena dal punto di vista emozionale, abbiano una percezione di sé che li rende particolarmente resistenti (quantunque, a onor del vero, non refrattari) al cambiamento. Ma possiamo aspettarci reazioni ed interazioni normali da persone che, per via dei loro poteri, conoscono a malapena il significato di questa parola, a maggior ragione se detti poteri sono l'espressione della loro spiritualità? E se sì, fino a che punto?
Ovviamente è inutile pretendere molta puntualità nella resa dei numerosi cattivi "usa-e-getta", anche se fa piacere constatare la presenza di diverse sfumature di male: fanatismo, perversione, codardia, narcisismo, avidità, disonestà, stupidità e via discorrendo. E poi c'è Dio, abietto e implacabile come sempre, che entra in gioco soltanto quando non può più evitare di sporcarsi le mani con quel sangue che costituisce la sua croce e delizia. Dapprincipio può sembrare che abbia perso lo smalto dei giorni di "Phantom Blood", ma almeno a mio modo di vedere è perché non c'è più l'esigenza di mostrare cos'è disposto a fare pur di raggiungere i suoi scopi. A che pro infatti indugiare ulteriormente sul suo "curriculum" se il solo ricordo delle sue malefatte è sufficiente a far correre un brivido lungo la schiena? Inoltre, diciamolo chiaramente: arrivato a questo punto il lettore vuole soltanto che riceva una volta per tutte la punizione che merita. Sì, insomma, che Jotaro gli faccia un mazzo tanto, per usare un'espressione che si addica di più al tenore di questo manga.
Con questo non voglio dire che il comparto psicologico di "Stardust Crusaders" sia tutto da buttar via: il quintetto dei protagonisti funziona e i vari personaggi, salvo qualche rara eccezione (vedasi la piccola rompipal... pardon, volevo dire fuggiasca) hanno più o meno tutti una loro ragion d'essere, o se non loro almeno i rispettivi Stand. Ci sarebbe però stato da fare uno sforzo in più affinché tutte le cose che, volendo, c'erano da dire risultassero evidenti anche ai lettori più interessati ai combattimenti che ai combattenti.
Tra un tributo a Tetsuo Hara, uno ad Akira Miyashita (sappiamo tutti chi è il tuo consulente d'immagine, Jotaro) e un pensierino o due per la Capcom, il tratto di Araki si fa pian pianino più sicuro, personale e ordinato, anche se le sue idee in materia di anatomia e di prospettiva rimangono confuse. Merita inoltre una menzione speciale lo stile surreale del fumetto magico di Boingo, davvero molto differente da quello grezzo a cui siamo abituati, e che personalmente ho adorato.
Alla luce di tutto questo rimuginare su un manga dai contenuti tutto sommato così elementari, cercando di ignorare il più possibile la vocina che per tutto questo tempo ha sussurrato al mio orecchio "Ma chi te lo fa fare?", il mio voto a "Stardust Crusaders" sarebbe un otto e mezzo, ma ritengo che l'innovazione costituita dagli Stand valga bene un arrotondamento all'insù. Bon, fine dello sproloquio, andate pure in pace. E guardatevi l'Abridged Series tratta dagli OAV.
JOSEPH: Sei come il figlio che non avrò mai... Josuke.
JOTARO: Jotaro.
JOSEPH: Johnny.
(da "Jojo's Bizarre Adventure Abridged")
Se pensate che farsi crescere una barba metaforica richieda meno tempo e disciplina di una barba vera vi sbagliate di grosso. Al creativo e, ahimè, altamente dispersivo Hirohiko Araki ci sono volute tre serie di "Jojo" prima di passare da un gruppo di sparuti ma ostinati peletti a qualcosa che potesse cominciare a definirsi tale, e per il lettore è stato forse più difficile assistere al processo che per lui riuscirvi.
Giappone, 1989. Quando il tuo cognome da ragazza è Joestar e tuo figlio è un mezzo delinquente convinto di essere posseduto da uno spirito maligno è ora di togliersi le fette di prosciutto dagli occhi e di guardare in faccia la realtà: la tua famiglia non potrà mai essere come quella del Mulino Bianco. Ma un sogno che si è cullato per anni è difficile da abbandonare, e per questo Holly (o Seiko, come si fa chiamare da quando ha sposato il musicista Sadao Kujo), che ha ereditato la testardaggine di papà Joseph e l'intelligenza a targhe alterne di mamma Suzi, si aggrappa alla speranza che il genitore riesca a far intendere ragione al suo Jotaro, ben deciso a non lasciare la cella in cui è stato rinchiuso a seguito dell'ennesima rissa prima di aver capito cosa gli sta succedendo. Il ragazzo scoprirà che quello che credeva essere uno spirito è in realtà uno Stand, ovvero la manifestazione fisica della sua energia vitale, e che lo stesso Jospeh, già in grado di produrre le Onde Concentriche, ne possiede uno. Il risveglio di entrambi si deve al ritorno del vampiro Dio Brando, da cent'anni nemico dei Joestar e che, essendo riuscito ad impossessarsi del corpo di Jonathan, vale a dire il primo Jojo, può ora vantare un legame con la di lui progenie; legame che rischia di uccidere Holly, che non ha la forza d'animo necessaria per controllare il proprio Stand.
C'è solo un modo per salvarla: uccidere Dio, non solo per il bene dei Joestar ma anche del mondo intero. Prima, però, bisogna trovarlo e soprattutto bisogna sconfiggere i suoi numerosi sgherri. Ad accompagnare Jotaro e il nonno in questo lungo e folle viaggio dal Sol Levante all'Egitto saranno l'indovino Abdul, possessore dello Stand Magician Red, lo studente Kakyoin con il suo Hierophant Green, il francese Polnareff, dotato dello Stand spadaccino Silver Chariot, e in seguito anche il cagnolino Iggy, che controlla The Fool.
Contrapponendo al cambio di rotta, costituito dall'introduzione degli Stand, il meglio delle due serie precedenti, Araki sembra quasi invitare il lettore a fidarsi di lui ancora una volta, fornendogli abbastanza elementi familiari da ridurre al minimo l'iniziale senso di disorientamento. Una premura sensata, dal momento che stiamo parlando di una serie all'epoca pubblicata su "Weekly Shōnen Jump", il cui giovane pubblico è tenuto in estrema considerazione, e per giunta alla fine degli Anni Ottanta, con il vento in procinto di cambiare in maniera significativa per i battle manga. Per quanto tempo ancora i lettori si sarebbero accontentati di una fisicità alla "Hokuto no Ken"? Probabilmente non molto. D'altra parte anche in-universe il concetto di volontarietà dell'azione, espresso attraverso il controllo della respirazione (ricordiamo tutti la "Cura Zeppeli" per il braccio rotto di Jonathan e la maschera di Lisa Lisa, no?), sembrava in qualche modo preannunciare questo prevaricare dello spirito sul corpo. In questo modo vengono a crearsi infiniti scenari per quanto riguarda gli Stand e il modo in cui interagiscono non solo tra loro, ma eventualmente anche con l'ambiente che li circonda.
La sceneggiatura non esiste. O, meglio, esiste in funzione dello Stand nemico del momento, sconfitto il quale ne arriverà subito un altro e così via fino all'atteso scontro con Dio. La varietà delle forze in gioco, tuttavia, scongiura il rischio di annoiare il lettore, la cui pazienza viene ricompensata con dei combattimenti che, pur seguendo dei pattern facilmente individuabili, risultano sempre molto interessanti. L'espediente del viaggio, inoltre, conferisce al tutto una dinamicità che le due serie precedenti non avevano, sebbene già "Battle Tendency" fosse significativamente meno legnoso rispetto al suo predecessore.
Un ulteriore passo in avanti è stato fatto in merito ai fastidiosissimi inforigurgiti e alle telecronache dei vari scontri: ce ne sono ancora, ma siamo comunque ben lontani dai fasti di "Phantom Blood", dove Speedwagon - che in questa terza serie suppongo monologhi fra gli angeli - la faceva da padrone con le sue ovvietà non richieste.
Anche la comicità è diversa: se "Phantom Blood" poteva strappare delle risate involontarie e il giovane Joseph era un pagliaccio per natura, in "Stardust Crusaders" si ride principalmente perché, nonostante l'enorme pressione psicologica a cui (in teoria) sono sottoposti, per i protagonisti è perfettamente normale mettersi a fare i cretini nel bel mezzo di un combattimento, magari uccidendo la spannung con un'opinabile perla di saggezza o producendosi in siparietti a sfondo scatologico. Si respira, in altre parole, un clima forse più da gita scolastica che da missione salvataggio, ma che serie di "Jojo" sarebbe senza tamarrate? Che il lettore si rassegni: non c'è spazio per quasi nient'altro.
Quando si legge un battle shōnen si accetta, più o meno implicitamente, di dover venire incontro all'autore per quanto riguarda lo scavo introspettivo, dal momento che si tratta di un aspetto generalmente trascurato in opere di questo tipo. Ma è giusto che il lettore compia un simile sforzo, mettendosi a scandagliare la psicologia di ogni singolo personaggio come se stesse pelando una cipolla? Per quanto trovi meraviglioso che un'opera mi spinga ad indulgere con piacere in quest'attività, che può essere stancante e ben poco proficua, sono costretta ad ammettere che la risposta è no. Il problema di "Stardust Crusaders" è che, a differenza delle due serie precedenti, non punta abbastanza sull'evoluzione dei protagonisti, che ci vengono presentati già strutturati in modo tale da lasciare ben poco spazio ad un'eventuale loro crescita. Ognuno di essi si fa rubare la scena dagli altri con l'atteggiamento falsamente indulgente di chi pensa di non aver bisogno di ricorrere a simili mezzucci, ed è un bene che fra loro non vi siano esponenti del gentil sesso perché non farebbero altro che recriminare tutto il santo giorno.
In "Phantom Blood" abbiamo visto Jonathan risollevarsi dall'abisso di paura e di vergogna nel quale la convivenza con Dio l'aveva fatto sprofondare, e prepararsi con il cuore gonfio di tristezza a svolgere l'ingrato compito di liberare il mondo dalla sua minaccia. In "Battle Tendency", invece, abbiamo visto Joseph fare tesoro degli insegnamenti tanto degli amici quanto dei nemici. In "Stardust Crusaders" non accade nulla di tutto ciò: Jotaro è esattamente così come ci appare, vale a dire il classico eroe imperscrutabile con delle profondità che, per quanto intuibili, non ha alcuna intenzione di condividere con altri. Oh, e naturalmente esercita un controllo immediato e assoluto sul suo Stand, il potentissimo, accuratissimo e velocissimo Star Platinum. Constatare tutto questo può risultare oltremodo frustrante per chi sperava di vederlo maturare sotto ai propri occhi come i suoi predecessori, alla cui crescita Araki era riuscito a dare - compatibilmente con i suoi limiti di narratore - un risalto più che dignitoso e soprattutto per nulla scontato per un battle shōnen.
Ma Jotaro non è l'unico a rifuggire il Character Development come un gatto il contatto con l'acqua: al contrario, è in ottima compagnia. Joseph, avendo già compiuto il proprio percorso, è in qualche modo giustificato, ma Abdul è di una monoliticità assoluta e a dir poco irritante, mentre mi sembra che Polnareff e Kakyoin, di gran lunga gli anelli deboli della catena dal punto di vista emozionale, abbiano una percezione di sé che li rende particolarmente resistenti (quantunque, a onor del vero, non refrattari) al cambiamento. Ma possiamo aspettarci reazioni ed interazioni normali da persone che, per via dei loro poteri, conoscono a malapena il significato di questa parola, a maggior ragione se detti poteri sono l'espressione della loro spiritualità? E se sì, fino a che punto?
Ovviamente è inutile pretendere molta puntualità nella resa dei numerosi cattivi "usa-e-getta", anche se fa piacere constatare la presenza di diverse sfumature di male: fanatismo, perversione, codardia, narcisismo, avidità, disonestà, stupidità e via discorrendo. E poi c'è Dio, abietto e implacabile come sempre, che entra in gioco soltanto quando non può più evitare di sporcarsi le mani con quel sangue che costituisce la sua croce e delizia. Dapprincipio può sembrare che abbia perso lo smalto dei giorni di "Phantom Blood", ma almeno a mio modo di vedere è perché non c'è più l'esigenza di mostrare cos'è disposto a fare pur di raggiungere i suoi scopi. A che pro infatti indugiare ulteriormente sul suo "curriculum" se il solo ricordo delle sue malefatte è sufficiente a far correre un brivido lungo la schiena? Inoltre, diciamolo chiaramente: arrivato a questo punto il lettore vuole soltanto che riceva una volta per tutte la punizione che merita. Sì, insomma, che Jotaro gli faccia un mazzo tanto, per usare un'espressione che si addica di più al tenore di questo manga.
Con questo non voglio dire che il comparto psicologico di "Stardust Crusaders" sia tutto da buttar via: il quintetto dei protagonisti funziona e i vari personaggi, salvo qualche rara eccezione (vedasi la piccola rompipal... pardon, volevo dire fuggiasca) hanno più o meno tutti una loro ragion d'essere, o se non loro almeno i rispettivi Stand. Ci sarebbe però stato da fare uno sforzo in più affinché tutte le cose che, volendo, c'erano da dire risultassero evidenti anche ai lettori più interessati ai combattimenti che ai combattenti.
Tra un tributo a Tetsuo Hara, uno ad Akira Miyashita (sappiamo tutti chi è il tuo consulente d'immagine, Jotaro) e un pensierino o due per la Capcom, il tratto di Araki si fa pian pianino più sicuro, personale e ordinato, anche se le sue idee in materia di anatomia e di prospettiva rimangono confuse. Merita inoltre una menzione speciale lo stile surreale del fumetto magico di Boingo, davvero molto differente da quello grezzo a cui siamo abituati, e che personalmente ho adorato.
Alla luce di tutto questo rimuginare su un manga dai contenuti tutto sommato così elementari, cercando di ignorare il più possibile la vocina che per tutto questo tempo ha sussurrato al mio orecchio "Ma chi te lo fa fare?", il mio voto a "Stardust Crusaders" sarebbe un otto e mezzo, ma ritengo che l'innovazione costituita dagli Stand valga bene un arrotondamento all'insù. Bon, fine dello sproloquio, andate pure in pace. E guardatevi l'Abridged Series tratta dagli OAV.
Saint Seiya Omega
6.0/10
ATTENZIONE: La recensione tratta solo la prima parte dell'anime; la valutazione riguarda gli episodi dall'1 fino al 51
Masami Kurumada è un furbone, ma questo lo sapevamo già.
Come oramai noto anche alle pietre, l'autore del celeberrimo Saint Seiya decise, a quasi dieci anni di distanza dalla fine della sua opera magna, di rilanciare il brand con la pubblicazione nel 2003 di ben due spin off: Saint Seiya Episode G e Saint Seiya: The Lost Canvas. Entrambi ebbero un discreto successo, che portò anche, nel caso della seconda, alla realizzazione di una serie animata. Sulla scia di questo successo la Toei Animation ha pensato bene di lanciare una serie nuova di zecca, quasi del tutto dislocata da quella originale e che porta lo spettatore quasi venti anni avanti nel tempo. Stiamo parlando ovviamente di Saint Seiya Omega.
Nato per avvicinare il marchio alle nuove generazioni, Saint Seiya Omega si avvale fin da subito di un cast di produzione degno di nota, fra cui i già noti Yoshihiko Umakoshi (Cassehern Sins, Fullmetal Alchemist) e Reiko Yoshida (K-On!), responsabili rispettivamente di character design e sceneggiatura. Avendo avuto carta bianca da parte dello stesso Kurumada, gli autori di questa nuova serie decidono, saggiamente, di gettarsi alle spalle quasi tutto ciò che rappresentava il vecchio universo narrativo, mantenendo attivi solo i personaggi di Athena e Seiya (ora nelle vesti del Gold Saint di Sagittario). Ma andiamo con ordine.
Ambientato in un futuro imprecisato, le vicende ruotano attorno alla figura di Kouga (o Kōga, che dir si voglia), futuro Bronze Saint allevato dalla stessa dea Athena e dal passato avvolto nel mistero. Al fine di divenire il nuovo Saint di Pegaso, Kouga viene mandato a Palestra (?), un enorme complesso dove i giovani Saint si allenano per conquistare di diritto l'armatura a loro predestinata. Qui Kouga farà conoscenza e amicizia con altri ragazzi, fra cui Souma del Leone Minore, Yuna dell'Aquila e Ryuhou del Dragone (quest'ultimo, fra l'altro, figlio naturale di Shiryu). Un pericolo però minaccia la pace sulla Terra: il ritorno sulla Terra del dio Mars e il suo diabolico piano per conquistare il mondo.
Fin da subito si nota una certa volontà da parte della produzione di voler dare un taglio netto alla serie madre, con alcuni espedienti narrativi che hanno fatto storcere non di poco il naso ai puristi della serie. Parliamo ovviamente dell'introduzione degli elementi - sette per la precisione: fuoco, terra, aria, acqua, fulmine (?), luce (?!) e tenebra (?!?) - e del nuovo design delle Cloths, seguito a ruota dal nuovo sistema per evocarle (cristalli... chi di noi non ha subito pensato alle svariate maghe e maghette tanto care al pubblico nipponico? Suvvia, siate sinceri!). Fatto il dovuto preambolo, la serie può essere strutturata sommariamente in due grossi blocchi narrativi, che vanno rispettivamente dall'episodio 1 al 26 e dal 27 al 51. La prima parte tratta le vicende inerenti alla nuova Athena, una giovane ragazza di nome Aria legata a Kouga per via delle loro origini, e della conquista della Terra da parte di Mars; la seconda mostrerà la battaglia per sconfiggere il dio della guerra e sventare il suo piano per la creazione di un nuovo mondo.
In entrambi i blocchi le animazioni e le musiche (curate dal bravissimo, quanto ispirato, Toshihiko Sahashi) sono le uniche cose che mantengono una certa costanza e qualità, a differenza della regia e della sceneggiatura, che, a conti fatti, sono il vero punto debole di questa nuova serie.
Partiamo dal presupposto che Saint Seiya a modo suo ha sempre avuto una certa fedeltà a quello che era il mito greco e che, senza grossi stravolgimenti, riusciva a ripercorrere le sue vicende in modo coerente. In Saint Seiya Omega questo non succede e anche piccoli dettagli, come il nome di Ares ingiustificatamente tramutato in Mars, stonano e rendono il risultato finale abbastanza grottesco e posticcio. Stesso dicasi per quelle fastidiose puntate filler che hanno la pretesa di risultare comiche, ma che di comico non hanno un bel niente. Di tanto in tanto fanno una comparsa anche alcuni personaggi del passato, ma è troppo poco per salvare ben ventisei episodi che, fatta eccezione per i momenti cruciali della storia, navigano nella mediocrità più totale.
Ben diversa è la caratura della seconda parte, che vede la nascita di un nuovo Santuario e lo scontro con i nuovi Gold Saints ora al servizio del dio Mars (non vado nello specifico per evitare spoiler). Sorvolando sulla banalità del riproporre l'attraversamento delle dodici case (fantasia portami via), questo secondo blocco narrativo ha la fortuna di non avere fastidiosi filler e, nonostante la pessima regia, riesce a mantenere un certo ritmo negli eventi. Ciò che viene meno è la caratterizzazione dei personaggi, troppo ridondanti, tutti con la spasmodica necessità di raccontare le proprie storie – banalissime, fra le altre cose - e tutti liquidati con troppa fretta con combattimenti al limite del ridicolo. Questo non solo per i nuovi Gold Saints, ma anche per i due co-protagonisti che andranno ad aggiungersi al quartetto sopracitato (Haruto del Lupo, ovvero il ninja de no' altri, e Eden di Orione, figlio naturale della nuova incarnazione di Mars). Una fretta narrativa che va a ledere il fattore caratteristico e vincente dell'intera saga, nonché degli shonen: la crescita. I Bronze Saints difatti arrivano troppo velocemente al settimo senso e privano lo spettatore di quel clima di sacrificio estremo e del fattore "miracolo" che aveva caratterizzato i precedenti protagonisti della serie, Seiya in primis. Il finale merita una considerazione a parte, in quanto l'idea di un'entità nascosta da un'altra è sì avvincente, ma come tutto il resto della serie viene sviluppata con troppa fretta, privando di nuovo lo spettatore di suspense.
Quali conclusioni possiamo trarre dunque da questa prima parte di Saint Seiya Omega? Tutto e nulla, a conti fatti. Ci troviamo indubbiamente dinanzi a un lavoro tecnicamente valido, che si avvale di ottime animazioni, forse le uniche sul mercato capaci di non far rimpiangere quel mostro sacro che portava il nome di Shingo Araki, accompagnate da una colonna sonora veramente superba; ciò non basta però a fare una altrettanto buona serie, se poi la cosa più importante, ovvero la narrazione, viene meno. Il costante senso di superficialità e fretta non permette di far godere allo spettatore le nuove idee e relega il tutto nel limbo della "commercialata". Un peccato, visto che con un po' più di attenzione ora staremmo parlando di una serie più che buona, ma allo stato attuale delle cose a stento si raggiunge la sufficienza. Occasione sprecata.
Masami Kurumada è un furbone, ma questo lo sapevamo già.
Come oramai noto anche alle pietre, l'autore del celeberrimo Saint Seiya decise, a quasi dieci anni di distanza dalla fine della sua opera magna, di rilanciare il brand con la pubblicazione nel 2003 di ben due spin off: Saint Seiya Episode G e Saint Seiya: The Lost Canvas. Entrambi ebbero un discreto successo, che portò anche, nel caso della seconda, alla realizzazione di una serie animata. Sulla scia di questo successo la Toei Animation ha pensato bene di lanciare una serie nuova di zecca, quasi del tutto dislocata da quella originale e che porta lo spettatore quasi venti anni avanti nel tempo. Stiamo parlando ovviamente di Saint Seiya Omega.
Nato per avvicinare il marchio alle nuove generazioni, Saint Seiya Omega si avvale fin da subito di un cast di produzione degno di nota, fra cui i già noti Yoshihiko Umakoshi (Cassehern Sins, Fullmetal Alchemist) e Reiko Yoshida (K-On!), responsabili rispettivamente di character design e sceneggiatura. Avendo avuto carta bianca da parte dello stesso Kurumada, gli autori di questa nuova serie decidono, saggiamente, di gettarsi alle spalle quasi tutto ciò che rappresentava il vecchio universo narrativo, mantenendo attivi solo i personaggi di Athena e Seiya (ora nelle vesti del Gold Saint di Sagittario). Ma andiamo con ordine.
Ambientato in un futuro imprecisato, le vicende ruotano attorno alla figura di Kouga (o Kōga, che dir si voglia), futuro Bronze Saint allevato dalla stessa dea Athena e dal passato avvolto nel mistero. Al fine di divenire il nuovo Saint di Pegaso, Kouga viene mandato a Palestra (?), un enorme complesso dove i giovani Saint si allenano per conquistare di diritto l'armatura a loro predestinata. Qui Kouga farà conoscenza e amicizia con altri ragazzi, fra cui Souma del Leone Minore, Yuna dell'Aquila e Ryuhou del Dragone (quest'ultimo, fra l'altro, figlio naturale di Shiryu). Un pericolo però minaccia la pace sulla Terra: il ritorno sulla Terra del dio Mars e il suo diabolico piano per conquistare il mondo.
Fin da subito si nota una certa volontà da parte della produzione di voler dare un taglio netto alla serie madre, con alcuni espedienti narrativi che hanno fatto storcere non di poco il naso ai puristi della serie. Parliamo ovviamente dell'introduzione degli elementi - sette per la precisione: fuoco, terra, aria, acqua, fulmine (?), luce (?!) e tenebra (?!?) - e del nuovo design delle Cloths, seguito a ruota dal nuovo sistema per evocarle (cristalli... chi di noi non ha subito pensato alle svariate maghe e maghette tanto care al pubblico nipponico? Suvvia, siate sinceri!). Fatto il dovuto preambolo, la serie può essere strutturata sommariamente in due grossi blocchi narrativi, che vanno rispettivamente dall'episodio 1 al 26 e dal 27 al 51. La prima parte tratta le vicende inerenti alla nuova Athena, una giovane ragazza di nome Aria legata a Kouga per via delle loro origini, e della conquista della Terra da parte di Mars; la seconda mostrerà la battaglia per sconfiggere il dio della guerra e sventare il suo piano per la creazione di un nuovo mondo.
In entrambi i blocchi le animazioni e le musiche (curate dal bravissimo, quanto ispirato, Toshihiko Sahashi) sono le uniche cose che mantengono una certa costanza e qualità, a differenza della regia e della sceneggiatura, che, a conti fatti, sono il vero punto debole di questa nuova serie.
Partiamo dal presupposto che Saint Seiya a modo suo ha sempre avuto una certa fedeltà a quello che era il mito greco e che, senza grossi stravolgimenti, riusciva a ripercorrere le sue vicende in modo coerente. In Saint Seiya Omega questo non succede e anche piccoli dettagli, come il nome di Ares ingiustificatamente tramutato in Mars, stonano e rendono il risultato finale abbastanza grottesco e posticcio. Stesso dicasi per quelle fastidiose puntate filler che hanno la pretesa di risultare comiche, ma che di comico non hanno un bel niente. Di tanto in tanto fanno una comparsa anche alcuni personaggi del passato, ma è troppo poco per salvare ben ventisei episodi che, fatta eccezione per i momenti cruciali della storia, navigano nella mediocrità più totale.
Ben diversa è la caratura della seconda parte, che vede la nascita di un nuovo Santuario e lo scontro con i nuovi Gold Saints ora al servizio del dio Mars (non vado nello specifico per evitare spoiler). Sorvolando sulla banalità del riproporre l'attraversamento delle dodici case (fantasia portami via), questo secondo blocco narrativo ha la fortuna di non avere fastidiosi filler e, nonostante la pessima regia, riesce a mantenere un certo ritmo negli eventi. Ciò che viene meno è la caratterizzazione dei personaggi, troppo ridondanti, tutti con la spasmodica necessità di raccontare le proprie storie – banalissime, fra le altre cose - e tutti liquidati con troppa fretta con combattimenti al limite del ridicolo. Questo non solo per i nuovi Gold Saints, ma anche per i due co-protagonisti che andranno ad aggiungersi al quartetto sopracitato (Haruto del Lupo, ovvero il ninja de no' altri, e Eden di Orione, figlio naturale della nuova incarnazione di Mars). Una fretta narrativa che va a ledere il fattore caratteristico e vincente dell'intera saga, nonché degli shonen: la crescita. I Bronze Saints difatti arrivano troppo velocemente al settimo senso e privano lo spettatore di quel clima di sacrificio estremo e del fattore "miracolo" che aveva caratterizzato i precedenti protagonisti della serie, Seiya in primis. Il finale merita una considerazione a parte, in quanto l'idea di un'entità nascosta da un'altra è sì avvincente, ma come tutto il resto della serie viene sviluppata con troppa fretta, privando di nuovo lo spettatore di suspense.
Quali conclusioni possiamo trarre dunque da questa prima parte di Saint Seiya Omega? Tutto e nulla, a conti fatti. Ci troviamo indubbiamente dinanzi a un lavoro tecnicamente valido, che si avvale di ottime animazioni, forse le uniche sul mercato capaci di non far rimpiangere quel mostro sacro che portava il nome di Shingo Araki, accompagnate da una colonna sonora veramente superba; ciò non basta però a fare una altrettanto buona serie, se poi la cosa più importante, ovvero la narrazione, viene meno. Il costante senso di superficialità e fretta non permette di far godere allo spettatore le nuove idee e relega il tutto nel limbo della "commercialata". Un peccato, visto che con un po' più di attenzione ora staremmo parlando di una serie più che buona, ma allo stato attuale delle cose a stento si raggiunge la sufficienza. Occasione sprecata.
Bakuman.
9.0/10
Questo fumetto è stato veramente una rivelazione. Posso considerarmi un veterano dei manga, dato che ho iniziato a leggerli nel 1994 e possiedo migliaia di volumetti, ma il duo Tsugumi Ohba e Takeshi Obata, che mi aveva già impressionato con l'ottimo Death Note, pare avere davvero qualcosa di nuovo da dire nello sterminato mondo dei manga. Le tematiche che toccano sono originali e il modo con cui snodano le trame sono a tratti veramente geniali.
Devo confessare che mi sono avvicinato a Death Note e a Bakuman per l'accattivante veste grafica dei volumetti, dalle copertine ai disegni, ma su Bakuman ho avuto parecchie esitazioni, perché mi sembrava che la tematica scelta, ovvero la narrazione di come si scrive un manga, seppur interessante, fosse estremamente statica e priva di possibilità di renderla avvincente, soprattutto se la si mette in confronto con Death Note, il precedente successo degli autori.
Devo invece riconoscere di essermi estremamente sbagliato, perché in questo manga non solo non mancano suspance ed emozioni, ma si apprezzano citazioni di altri manga e ci si avvince nel trovare i protagonisti immersi in un mondo che per un lettore di manga navigato come me ha un nonsochè di familiare, ritrovando citati come colleghi di Mashiro e Takagi (i protagonisti di Bakuman) gli autori delle storie più famose di Shonen Jump, come Eiichiro Oda, il creatore di One Piece! E che sorpresa, quando nel corso di una festa della rivista su cui pubblicano i due protagonisti compare il signor Torishima, il redattore di Shonen Jump che ha dato spunto ad Akira Toriyama per creare il dottor Mashirito, uno dei personaggi di Dottor Slump & Arale! Mashiro e Takagi si stupiscono ed emozionano alla pari del lettore, che comincia a sentirsi "di casa" in un mondo che non può non incuriosire un appassionato storico di manga.
In Bakuman non mancano nemmeno spunti di forte comicità, grazie a personaggi come Niizuma e Hiramaru, e momenti più romantici o toccanti grazie alla splendida caratterizzazione dei personaggi.
La cosa che più ho apprezzato in Bakuman, però, è il fatto che permetta davvero al lettore di interpretare meglio i manga che legge, perché si capisce meglio cosa spinga un autore a modificare una trama, ad inserire nuovi personaggi, a risolvere una sottotrama magari non troppo felice. La lettura di Bakuman trasmette inoltre nuovo entusiasmo nel valutare il volume iniziale di un nuovo fumetto, mettendo in atto dei metri di giudizio più consapevoli di quello che sta dietro alla pubblicazione in tankobon di un manga che parte spesso da episodi pilota autoconclusivi corretti e ricorretti per essere resi adatti alla pubblicazione di una serie su una rivista!
Forse un lettore di manga più giovane di me potrebbe apprezzare Bakuman meno di quanto possa fare io, ma assegno comunque un 9, lasciando aperta la riserva di voler verificare come gli autori abbiano intenzione di sviluppare e concludere la storia prima di assegnare a pieno merito un bel 10.
Devo confessare che mi sono avvicinato a Death Note e a Bakuman per l'accattivante veste grafica dei volumetti, dalle copertine ai disegni, ma su Bakuman ho avuto parecchie esitazioni, perché mi sembrava che la tematica scelta, ovvero la narrazione di come si scrive un manga, seppur interessante, fosse estremamente statica e priva di possibilità di renderla avvincente, soprattutto se la si mette in confronto con Death Note, il precedente successo degli autori.
Devo invece riconoscere di essermi estremamente sbagliato, perché in questo manga non solo non mancano suspance ed emozioni, ma si apprezzano citazioni di altri manga e ci si avvince nel trovare i protagonisti immersi in un mondo che per un lettore di manga navigato come me ha un nonsochè di familiare, ritrovando citati come colleghi di Mashiro e Takagi (i protagonisti di Bakuman) gli autori delle storie più famose di Shonen Jump, come Eiichiro Oda, il creatore di One Piece! E che sorpresa, quando nel corso di una festa della rivista su cui pubblicano i due protagonisti compare il signor Torishima, il redattore di Shonen Jump che ha dato spunto ad Akira Toriyama per creare il dottor Mashirito, uno dei personaggi di Dottor Slump & Arale! Mashiro e Takagi si stupiscono ed emozionano alla pari del lettore, che comincia a sentirsi "di casa" in un mondo che non può non incuriosire un appassionato storico di manga.
In Bakuman non mancano nemmeno spunti di forte comicità, grazie a personaggi come Niizuma e Hiramaru, e momenti più romantici o toccanti grazie alla splendida caratterizzazione dei personaggi.
La cosa che più ho apprezzato in Bakuman, però, è il fatto che permetta davvero al lettore di interpretare meglio i manga che legge, perché si capisce meglio cosa spinga un autore a modificare una trama, ad inserire nuovi personaggi, a risolvere una sottotrama magari non troppo felice. La lettura di Bakuman trasmette inoltre nuovo entusiasmo nel valutare il volume iniziale di un nuovo fumetto, mettendo in atto dei metri di giudizio più consapevoli di quello che sta dietro alla pubblicazione in tankobon di un manga che parte spesso da episodi pilota autoconclusivi corretti e ricorretti per essere resi adatti alla pubblicazione di una serie su una rivista!
Forse un lettore di manga più giovane di me potrebbe apprezzare Bakuman meno di quanto possa fare io, ma assegno comunque un 9, lasciando aperta la riserva di voler verificare come gli autori abbiano intenzione di sviluppare e concludere la storia prima di assegnare a pieno merito un bel 10.
LoL
anche su Jojo
E a proposito, i disegni e le animazioni fanno pietà. Sono disegnati bene solo alcuni primi piani, appena la schermata si allontana un po' sembra di vedere disegni delle elementari. Poi non parliamo delle armature "semplificate". Quei capolavori della serie classica sono rielaborati qui in modo osceno.
Io ho cominciato a seguirlo spinto dalla passione per Saint Seiya, ma dopo una quindicina di puntate continuo a seguirlo solo per farmi due risate xD
Recensioni così non hanno senso, è inutile parlare di un manga o un anime se non si è arrivati alla fine. Fino alla fine l'opera può rivelarsi un capolavoro o mandare tutto in vacca. La valutazione andrebbe fatta solo alla fine.
Quel che afferma è sacrosanto.
Di questi forse mi guarderò Bakuman.
I cavalieri dello Zodiaco non mi sono mai piaciuti neanche quando ero ragazzino. Jojo forse, prima o poi, dovrei dare una chance all'anime, non so.
Per me meriterebbe un 7/8, se fosse stato un po' più breve come le saghe precedenti di jojo si sarebbe meritato un voto più alto.
Jotaro non è adatto come protagonista ed emerge solo nello scontro a poker e in quello finale. Gli altri comprimari sono molto più riusciti di lui, ma non sono chissà che cosa. Joseph campa di luce riflessa della seconda serie sopratutto. Lo scontro finale è aberrante e con un deus ex machina che non sta nè in cielo e nè in terra.
In compenso grandi disegni, molto più personali rispetto alle precedenti due serie. Insomma la peggiore delle 5 serie di Jojo che ho letto.
Un voto ? Mah...intorno al 6,5-7.0, per l'importanza storica che sarebbe da folli negare, ma poi basta. Fa sorridere sentire la gente che me la decanta per la trama.
Non sono per niente d'accordo. Per me a malapena arriva al 5/6. Anche mettendo da parte il fatto che Shueisha non è una dolce mammina soprattutto con dei ragazzini, in questo manga il duo Ohba- Obata non perde i difetti che già aveva dimostrato di avere in Death Note, anzi li accentua pure: primo fra tutti una verbosità eccessiva, tanti personaggi un po' così e via discorrendo. Senza contare il maschilismo e un po' di misoginia di fondo. Le donne anche qui vengono trattate a pezza da piedi (o non trattate affatto). E che dire dell'"amore" tra Moritaka e Miho Azuki? Boh!!!
Sui disegni nulla da dire, sono davvero bellissimi per quanto mi riguarda
La recensione di Bakuman. mi è piaciuta così tanto che mi sento quasi in colpa a non essere d'accordo con il recensore.
Stardust Crusaders prima o poi dovrò leggerlo, ho recuperato da poco Jojo e prima di tutto devo finire Phantom Blood, poi passerò alle altre saghe. Anche se essendomi già spoilerato il finale della prima saga (maledette recensioni spoilerose) non so quando lo continuerò.
Forse 9 è un voto un tantinello troppo alto, ma quando si tratta di una serie EPICA come Jojo essere "di manica larga" è perfettamente perdonabile
Visto che l'argomento è importante, vi spiego io perché le recensioni di opere in corso vanno fatte e sono comunque molto utili: perchè danno un'idea dell'opera quando è ancora in corso permettendo alla gente di recuperarla se considerata meritevole. Facendo un esempio proprio con una delle opere qui recensite, se tutti avessero aspettato a scrivere recensioni di Bakuman aspettando che fosse finito si sarebbero dovuti aspettare anni per avere pareri ragionati (insomma un po' più costruttivi di un commento al volumetto) arrivando infine ad avere recensioni solo quando i volumi del fumetti erano esauriti o la ennesima ristampa (PlaMa insegna). E questo con una serie famosa come Bakuman. Se prendiamo altre serie manga in corso non ancora arrivate in Italia la cosa è ancora più lampante: senza buone recensioni la serie non riceverà l'attenzione che merita dagli altri fan (perchè con il vostro metodo la potrebbero conoscere solo alla sua naturale conclusione magari dopo anni di pubblicazione) e le sue probabilità di essere scelta per il mercato italiano calerebbero di molto. Per cui ben vengano recensioni di opere ancora in corso e ben vengano persone disposte a spendere il loro tempo per farle (e magari rifarle una volta che la serie è giunta a conclusione) perchè sono loro quelli che aiutano di più una serie a farsi conoscere quando serve veramente.
saluti
comprendo questo punto di vista e sono daccordo con quanto scrivi, ma questo vale per i manga effettivamente ancora in corso. Io parlavo particolarmente della presenza delle recensioni in questa rubrica. Nel caso specifico di Bakuman, che si è concluso sia in Giappone che in Italia, perchè non è stata scelta una recensione fatta da qualcuno che il manga lo ha letto tutto?
Di solito vedere la crescità dei personaggi è una cosa che adoro, ma in SC non ne ho davvero sentito il bisogno!
Magari sarebbe stato più poetico vedere un timido ragazzo effemminato che intraprende un viaggio per sconfiggere il cattivo per eccellenza e salvare la madre, durante il quale matura e diventa un "vero uomo" ma tanto anche così, sicuramente, non sarebbe andato bene ad alcuni per un qualsiasi altro motivo.
Se per voi la mancanza di maturazione è un difetto insormontabile credo che non riuscirete ad apprezzare nemmeno la quarta e la quinta (pur avendo dei personaggi -anche usa&getta- con delle caratterizzazioni così geniali da far impallidire quelli di Tarantino) e probabilmente neppure la sesta.
Sulla settima però dovrete cercare un difetto diverso XD Ah, già, "ci sono troppi stand" uhm, e in Conan troppi casi, in One Piece troppi pirati ed in Naruto troppi ninja, ma non mi pare che siano quelli i loro difetti.
@Gold:
Lol secondo me Lost Canvas è l'incarnazione più bella di SS.
La serie principale è piena di difetti ed incongruenza, ma si ci passa sopra in favore della girella, Omega non l'ho mai visto però sembrerebbe fan-service mischiato a trovate infantili.
LC riprende tutto ciò che SS ha di bello e lo ripropone in una versione più "attuale" (e visivamente guardabile).
I suoi difetti secondo me stanno più nella paura di discostarsi dalla serie originale (vedi le caratterizzazioni dei Gold Saint) che non nella sua mielensità.
A mio parere, una volta che l'autore della recensione specifica in maniera chiara il numero di episodi visti, non capisco cosa ci sia da obiettare. Chi non condivide le sue opinioni può contestarle, ma non certo dire che le sue valgono di meno.
in parte hai ragione, se una serie fosse di 26 episodi, vederne anche solo 10 un idea di quello che è te la fai, ma appunto, vedi One Piece che è lungo oltre 600 episodi, se ne guardi anche solo 50 non hai visto nulla. Minimo ne devi guardare 200 per parlare con cognizione.
Le recensioni di opere in corso servono a dare un'idea (sbagliata o giusta che sia) a chi magari è indeciso se seguire l'opera o meno ma, in un "mondo perfetto" gli autori le dovrebbero completare una volta conclusasi l'opera, peccato che ciò avvenga molto raramente e così facendo una recensione parziale può avere un'utilità e un'importanza solamente parziale. Per quanto scritte bene non le ritengo recensioni da mettere in vetrina, sono impressioni parziali quindi (molto probabilmente) non saranno le valutazioni definitive neanche di chi scrive.
Bonzo
Su serie molto lunghe come One Piece il discorso cambia (fino ad un certo punto, non avrebbe comunque senso recensire On ePIece dopo aver visto solo qualche dozzina di episodi) ma la stessa scusante non regge per opere di media o breve durata.
L'opinione di chiunque vale poco se si basa su di una conoscenza parziale di un'opera.
Non parlerò di Saint Seiya Omega perché non lo conosco... Le altre serie sì, però. Bakuman: l'ho odiato piuttosto dal profondo, però ho scelto io stessa la recensione, perché è talmente ben argomentata che persino io lo leggerei. Anche se continuo a non essere d'accordo con il recensore, e a trovare il titolo di una pochezza ed arroganza incredibili.
Stardust Crusaders. concordo con la recensione ma devo dire la verità: tra i Jojo che ho letto è quello che mi è piaciuto meno. I combattimenti mi sono piaciuti parecchio, la serie mi ha intrattenuto egregiamente, peccato solo per questo team di protagonisti così poco eroico che nel corso della storia non matura manco un po', nemmeno per sbaglio. Soprattutto l'inflazionato Jotaro. Dovessi recensirlo non credo gli darei più di 7.
Saint Seiya Omega serie strasottovalutata! Per me si merita tranquillamente un 7/8 altrò peggiore della storia degli anime, di anime di infima qualità strapieni di moe e loli c'è ne abbiamo aiosa tutte le stagione, S.S Omega invece è un ottimo intrattenimento straleggero che però ha un profondo rispetto per la serie madre che ovviamente è di un altro livello, ma ai tempi gli otaku ancora non esistevano, quindi molti difetti derivano propio dai gusti degli spettatori moderni quindi non capisco come uno si possa lamentare visto che nel sondaggio recente "che serie volete doppiate ecc..."è arrivato secondo K-on che al suo cospetto S.S Omega è un capolavoro altrochè! Inoltrè tutte le novità che aveva portato come le armature nei ciondoli o gli elementi accortosi che erano delle cavolate hanno correto il tiro riportando cosmo e scrigni, oltre a tanti personaggi della serie classica, se questo non è rispetto verso il passato? Quindi io sono un sostenitore di Omega ed invece aborro progetti quelli si irrispettosi come Gatchaman Crowds!
Dare un giudizio con una recensione su un opera in corso come per esempio One Piece è sbagliato per un motivo che prende il nome di pregiudizio.
Non si può fare un idea "certa" su un opera se prima non la si vede per intero.
One Piece è una serie che per essere compresa, ha bisogno per forza di cose di essere vista per intero.
Questo perchè Oda ha voluto creare una storia a tasselli sparsi che obbliga il lettore/spettatore a seguirla fino in fondo.
Poi ci possono anche essere delle eccezioni come alcuni anime che non voglio citare per rispetto verso il prossimo.
Kazuya
La serie omega non mi sembra proprio paragonabile per bellezza alla serie originale..
Basta soltanto guardare il chara per farsi un idea.
Questa serie è un offesa a Shingo Araki!!
Il recensore è stato poi particolarmente corretto nel sottolineare il numero di episodi visti (poteva benissimo mentire e dire di averli visti tutti e nessuno l'avrebbe saputo e si sarebbe lamentato).
Poi, prima di chiudere l'OT, permettetemi di dire che, dato che ho visto circa 250 episodi e letto 52 volumetti di "One Piece", penso di potermi esprimere a riguardo. Mi sono rotto le p**** a un certo punto, non avevo bisogno di suppliziarmi ulteriormente. Se dico qualcosa a riguardo della parte che ho visto non penso di parlare a sproposito. Non conosceró tutti i dettagli della trama, ma un'idea generale degli altri aspetti ce la posso avere anch'io.
Capisco il tuo punto di vista, ma purtroppo il confronto con la serie originale è obbligatorio.
Specialmente se si considera il fatto che si è andato a snaturare diversi fattori classici come le armature
Però se ti piace va bene
Bonzo
Non voglio continuare OT, ma permettimi di dirti che ti sbagli.
Chi giudica una qualsiasi cosa senza prima conoscerla bene, crea una sola cosa : un pregiudizio.
Non puoi limitare la cosa a un discorso di voti alti e bassi, o pochi episodi visti.
Io stesso molte volte ho dei pregiudizi su alcune opere.. Non voglio nascondermi su questo discorso.
Sul discorso che hai visto 250 episodi ( pochini..) e letto 52 numeri del manga non cambia il fatto che quello che stai dando è un pregiudizio.
Capisco che lo fai soltanto per dare un parere personale, ma quel parere non è equo verso l'opera stessa.
Che poi ti sei rotto della serie ti posso benissimo capire
Bastano e avanzano per farsi un'idea, soprattutto se si è letto 52 volumi del manga (oltre 10 anni di pubblicazione!).
Sono d'accordo se uno si fa un idea da un volume o da due episodi, ma non si può parlare di pregiudizio dopo intere stagioni e fiotte di volumi. Quello non è pregiudizio, è un giudizio preciso.
Poi visto che il tema era incentrato su OP, dal mio punto di vista, l'idea che mi ero fatto dei primi 130 episodi dell'anime non è praticamente variata guardando i successivi 100. E da quando ho letto il manga gli ultimi 20 volumi che proseguivano la storia rispetto all'anime, non hanno variato sinceramente di molto il giudizio sulla serie...
I libri non si leggono solo a metà.. Devi capire semplicemente questo principio.
Detto questo non valuto One Piece un opera molto innovativa..
Anche questo è un pregiudizio che si basa sulla visione di 618 puntate e 68 volumetti.
Quello che molti non riescono a capire, è la differenza tra parere personale e giudizio equo.
Non possiamo giudicare bene una qualsiasi cosa, se prima non la conosciamo al 100% u_u
Io almeno la penso così
Lol secondo me Lost Canvas è l'incarnazione più bella di SS.
La miglior incarnazione di SS è l'opera orginale che ha in sè tutto lo spirito di SS; Lost Canvas è una ciofeca mezza scopiazzata (per la cronaca LC ricopia un sacco di cose del manga anime classico di SS), come lo è in parte Omega.
Per il resto mi interessa vedere bakuman e Saint Seiya Omega (sarà infinito?! xD)
Il tuo discorso non fa una dannata piega. Infatti il mio discorso si riferiva al solo fatto che il giudizio dato è di tipo parziale.
Non entro nel merito di Bakuman (ho già detto cosa ne penso in appuntamenti precedenti), mentre per quanto riguarda Stardust Crusaders l'ho apprezzato moltissimo. Vero è che i personaggi non hanno un grande approfondimento psicologico e che l'opera è fatta di soli combattimenti, ma non c'è mai uno scontro uguale all'altro, sono sempre ricchi di variabili, idee balzane e suspense, i personaggi sono molto carismatici e, fra citazioni musicali e quell'atmosfera da viaggio in paesi esotici, le avventure di Jotaro e compagni strabordano di fascino ed epicità (epicità che manca un po' a serie di Jojo successive, e me ne dispiace).
Per quanto riguarda Saint Seiya Omega sono più o meno d'accordo con il giudizio della recensione. La prima parte (quella presa in esame) ha grossi limiti, trovate pessime come quella dei gioielli/armature, gli elementi, l'accademia e dei disegni bruttini, ma come anime d'intrattenimento per bambini funziona e le molte citazioni alla serie storica sono interessanti. Purtroppo, peggiora nella saga dei Gold Saint perché questi sono solo una pallida ombra dei Gold Saint originali, dalle caratterizzazioni psicopatiche e poco interessanti, inoltre gli scontri non sono molto avvincenti, neppure quello finale, che alla lunga annoia causa poco carisma dei personaggi.
Nella seconda saga hanno aggiustato un po' il tiro migliorando la grafica ed eliminando qualche molesto elemento di novità, tornando su binari più classici, ma anche qua la trama alla lunga annoia e non c'è granché interesse a seguire le sempre uguali vicende di Kouga e compagni, se non quando compare qualche personaggio storico come guest star.
Quel che Saint Seiya Omega ha di buono, invece, è una certa passionalità, esaltata dalla splendida colonna sonora, ma questi suoi aspetti non lo salvano completamente dalla noia che pervade la maggior parte delle puntate.
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