Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi ci dedichiamo a vecchi classici, con i manga Le rose di Versailles, Dragon Quest: La grande avventura di Dai e Cat's Eye - Occhi di gatto.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


Per saperne di più continuate a leggere.



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Tra gli anime di cui fin dall'infanzia ho nella memoria stampato un qualche fotogramma, c'è sicuramente Occhi di Gatto. Per via di questi ricordi ho sempre voluto rivedere quest'opera in animazione ma, complice anche la censurata versione televisiva, non sono mai riuscito nell'intento. Tempo addietro perciò decisi di iniziare a recuperare il manga, iniziando con un po' di volumi usati e così poco alla volta fiera e dopo fiera sono arrivato alla conclusione.

Veniamo quindi al manga dopo questa breve ma anche doverosa premessa. La storia è probabilmente nota e potrebbe essere sintetizzata con il classico scontro fra i ladri, anzi le ladre che formano la banda Occhi di Gatto, le sorelle Hitomi, Ai e Rui Kisugi; e le guardie, la polizia di Tokyo, capitanate dall'ispettore Toshio Utsumi “eterno innamorato” di Hitomi.
Mentre nell'anime le vicende sono però molto incentrate su questa contrapposizione, nel manga si riesce ad andare oltre. Approfittando della divisione in capitoli anche un po' brevi, il maestro Tsukasa Hojo ci mostra una serie di episodi sulla “semplice” vita quotidiana dei vari personaggi, ambientandoli nel caffè gestito “di giorno” dalle tre sorelle (e che appunto si chiama Cat's Eye) o nel commissariato di polizia, oppure in giro per una Tokyo riprodotta con uno stile molto improntato al realismo. Ci saranno anche alcune brevi mini-saghe, incentrate su qualcuno dei personaggi e con cui ne scopriremo meglio il carattere o il passato.
Quasi un “sielce of life” dunque, molto apprezzabile per certi versi anche se, dopo alcuni volumi iniziali decisamente movimentati, il diradarsi dei furti e l'approccio alla vita quotidiana può farsi percepire come un calo del ritmo che potrebbe risultare un po' pesante, ma fortunatamente tutto si riprende molto presto arrivando a un finale incalzante e tutto suspense.

Occhi di Gatto arriva in Italia con Star Comics. L'edizione non è molto recente, il manga si è concluso nel 2001, e come livello qualitativo si colloca sugli standard economici dell'editore.

Risalendo al 1981 (quasi 30 anni, cavolo...) è inevitabile che questo manga porti con se l'atmosfera del periodo, specie se osserviamo il livello tecnologico dei dispositivi che usano la polizia o le “gattine”, descritti nel manga come all'avanguardia, ma che se osservati a oggi paiono decisamente obsoleti ma sempre conservando un certo tocco retro.
Forse è proprio questo uno dei maggiori pregi di Occhi di Gatto, riuscire con successo a trasportare il lettore in un altro mondo, in un'altra atmosfera. Magari passando di lì ci metteremo a fare il tifo per le guardie o le ladre (io parteggio sempre per i poliziotti e il maldestro Toshio). E così, sfogliando le pagine e arrivando all'agognata e inevitabile conclusione, dovremo separarci dai personaggi che abbiamo incontrato con il solito misto di tristezza e felicità.
Una sfogliata sul passato.




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Se dovessi consigliare la lettura di un manga del genere shonen a qualcuno, oltre a Dragon Ball, Hokuto no Ken e altri, consiglierei sicuramente Dragon Quest - Dai no daiboken. Cos'ha di speciale questo manga? La storia? Il tratto? I personaggi? Analizziamo il tutto con ordine.

Era il 1989 quando in Giappone, nelle pagine di Jump, veniva pubblicata una storia ispirata alla celebre saga videoludica Dragon Quest. Il marchio era ed è molto fertile di idee ed ecco che si apprestava a nascere una delle serie shonen più belle mai esistite, Dai no daiboken appunto. Alla sua creazione ci pensarono un trio di mangaka appena usciti dal Bird Studio, il celebre team di assistenti di Akira Toriyama che tutti gli amanti di manga e anime conoscono. Il trio era composto da Koji Inada per le illustrazioni e Riku Sanjo con Yuji Horii alla sceneggiatura. Un gruppetto che assieme fece un ottimo lavoro, direi perfetto.
Ma veniamo alla storia, oggetto principale del discorso: Dai, un ragazzino di circa 12 anni, vive in un'isoletta circondato da mostri di vario genere e trascorre beato le giornate, tra un gioco ed un altro. Ad occuparsi di lui c'è Brass, un mostro dell'isola che lo ha trovato e che lo accudisce. Il sogno di Dai è quello di diventare un prode guerriero e di sconfiggere il Male salvando il mondo. Assieme a lui c'è il fido Gome, un Golden Metal Slime che lo segue dappertutto. Il giovane incontrerà presto un maestro che gli insegnerà le basi per essere un guerriero ed un grande amico che lo accompagnerà ovunque andrà per sconfiggere il Grande Satana appena comparso.

All'apparenza sembra una trama molto semplice e lineare, di come siamo abituati a vederne di tutti i colori e in tutte le salse. E magari non vi posso dare nemmeno torto se ci aggiungo che Dai ha anche un misterioso potere che si risveglia ogni tanto e che gli permette di battere qualsiasi avversario gli si pone davanti. Una trama semplice, banale insomma.
Ma il punto di forza di Dai non è tanto nella sua trama di base (che man mano che si evolve la storia diventa sempre più intrigante e sensazionale), ma quanto nei personaggi e nei loro intrecci semplicemente magnifici. L'evoluzione caratteriale dei personaggi di Dai - La grande avventura è un qualcosa di speciale, di stupendo, che ci regala una crescita psicologica non indifferente e che pone i nostri eroi in problemi che non si fermano all'uccisione di mostri o al salvataggio di una cittadella infestata dai demoni. I nostri eroi vengono posti di fronte anche a problemi quotidiani come l'amore, la gelosia, l'invidia, i sensi di colpa, la scarsa fiducia in sé stessi, la mancanza di una persona importante, tutti elementi che vengono messi in primis e che vengono affrontati in una maniera perfetta, facendo crescere i personaggi fino ad una maturità che mai ci saremmo aspettati.
Risvolti, colpi di scena, in Dai - La grande avventura non mancherà tutto ciò, rivali che portano il lettore a tifare per loro in quanto aventi onore, valori, lealtà, orgoglio e che metteranno in discussione la loro fedeltà al Nemico. Un'opera completa, che culmina nella saga finale, donandoci scontri magnifici, situazioni indimenticabili, rivelazioni, dichiarazioni d'amore e molto, molto altro ancora.

Discostandoci ora dalla trama e dallo schema dei personaggi voglio parlarvi del tratto, altro punto di forza di quest'opera stupenda. Il maestro Inada ci regala una continua evoluzione del disegno, che parte da un semplice e lineare tratto, pulito e piacevolmente osservabile, fino a scene curate magnificamente e meticolose nei particolari. La somiglianza tra il suo tratto e quello di Toriyama è lampante, in quanto ricordo che Koji Inada proviene dal suo Studio, ma la differenza è netta, avendo uno stile che sì, si avvicina a quello del papà di Dragon Ball, ma che fa immediatamente suo, mostrandoci uno stile indipendente e che si discosta totalmente da quello del mentore. Insomma, lo stile di Dai - La grande avventura non è una mera copia di quello di Dragon Ball, assolutamente. Purtroppo molta gente non la pensa così, e dopo una breve occhiata alla trama, ai disegni e a qualche pagina del manga etichetta con ignoranze la saga come una banale copiatura di Dragon Ball.
Parlando del tratto mi vengono alla mente le stupende tavole dei combattimenti tra Dai e Crocodyne, lo scontro con Hyunkel, Baran, Hadler, tutti quei personaggi resi magnificamente. In particolare Hyunkel, con i frontespizi dei capitoli appena la sua entrata in scena, dove è rappresentato stupendamente.

Personalmente il mio primo approccio con Dai no daiboken è stato con il numero 42, epico per chi conosce la storia. Ovviamente non capii molto della trama, non avendo i precedenti numeri, ma già mi colpii per gli splendidi combattimenti che offriva, per i personaggi visivamente accattivanti e per il tratto così somigliante a quello di Dragon Ball. Passò poco tempo e nel 2002 passarono su Italia 1 la serie anime con il titolo "I Cavalieri del Drago" e da lì nacque definitivamente la passione per la serie. Purtroppo l'anime non riscosse molto successo, anche perché troncato a meno della metà non permise una visione completa dell'opera, un vero peccato. Infatti l'anime ripercorre i primi 15 volumi(dell'edizione italiana) dei 54 della serie completa.

Venendo all'edizione italiana, l'opera è edita da Star Comics con un adattamento a "sottilette" di 54 numeri. Con l'uscita dell'anime su Italia 1 la casa editrice iniziò una ristampa dal titolo "Dai - La grande avventura - I Cavalieri del Drago", aggiungendo il titolo (confusionario, tra l'altro) datogli da Mediaset, ma interrotta per scarse vendite. L'edizione è abbastanza reperibile e consiglio veramente a tutti di dargli almeno una possibilità in quanto è un ottimo titolo che non tradirà le aspettative degli amanti del genere, sopratutto i fan del maestro Toriyama.




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"Lady Oscar" è uno di quei prodotti che rimangono impressi, marchiati nel cuore, di chiunque ne entri a contatto. Manga e anime sono entrambi stupendi, anche se l'anime è, a mio modesto parere, meglio bilanciato, meglio costruito.
La storia di base non viene alterata nella trasposizione: Oscar, ultimogenita del generale Jarjayes, che stufo di non riuscire a procreare un erede maschio, decide di allevare la figlia come se fosse un ragazzo.
Alla ragazza verrà affiancato il garzone Andrè, nipote della tata di casa, e il ragazzo finirà per innamorarsi, logicamente, della bella protagonista, costretta a vestire dei panni non propri. Avendo ricevuto un'educazione maschile però, la ragazza avrà modo di vivere esperienze che altrimenti non avrebbe mai potuto fare. Quindi, grazie a suo padre, ha avuto sia delle ottime opportunità, che delle gravi privazioni.
La storia della giovane si intreccerà poi a quella dei reali di Francia, e qui l'autrice ha fatto enormi studi per rendere la sua opera il più accurata e fedele possibile a quelli che sono i fatti realmente accaduti in quegli anni.
È innegabile come la Ikeda ci abbia messo dentro il cuore e tutto il suo impegno, la sua passione, per rendere degna questa opera, per renderla reale, pur utilizzando personaggi inventati che si fondono perfettamente con quella che è la realtà storica.
Rispetto all'anime, nel manga ci sono più intermezzi comici, che servivano per alleggerire un po' la severità del tutto, purtroppo però non sempre questa scelta si è rivelata azzeccata.
Ovviamente nel manga, possiamo ammirare un'attenzione per i dettagli che è tanto bella da far paura. Mi riferisco non solo agli splendidi outfit della Regina, ma anche solo alla cura dedicata per ricreare gli ambienti che hanno dato vita a questa splendida storia. Unica cosa, via via che Oscar si avvicina verso gli ultimi anni di vita, io trovo che si imbruttisca non poco. Se nell'anime acquisisce la bellezza di una donna a tutti gli effetti, nel manga i tratti vengono eccessivamente induriti.
Andrè sembra quasi un "Gary Stu", troppo perfetto, troppo dolciotto, quasi al limite dell'irreale. Nell'anime risulta molto più credibile come personaggio. Oscar... è Oscar, semplicemente.
Personalmente adoro il personaggio di Maria Antonietta, non solo in questo lavoro ma in generale. La poverina è stata strappata alla sua casa, e tante ne ha subite, soprattutto all'inizio, dal suo arrivo in quella nuova realtà, così severa e rigida per alcuni dei comportamenti da tenere, ma al contempo frivola. Quello che poi le verrà riservato in carcere, e le accuse infamanti e orribili che le verranno rivolte, ne faranno una vittima. La Ikeda ha reso per me perfettamente questa personalità, che di animo era davvero buono e generoso, così come la Regina che abbiamo conosciuto in questo prodotto.
Entrambe le versioni sono buone, ci sono degli eventi trattati nel manga che ad esempio nell'anime vengono tralasciati. Pur ritenendo la pellicola superiore alla celluloide, consiglio a chiunque abbia amato questo "mostro sacro" di leggere anche il manga per avere una visione più completa dell'opera della grande Ryoko Ikeda.