Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi appuntamento libero, con gli anime Kuroko no Basket 3Oregairu e Le bizzarre avventure di JoJo (2014).

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


Per saperne di più continuate a leggere.


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Attenzione: il seguente paragrafo analizza la parte di storia che va dall'episodio 50 all'episodio 75. Potrebbe contenere spoiler

La terza e ultima serie di "Kuroko no Basket" si concentra sulla parte finale della Winter Cup. Ormai siamo agli sgoccioli e gli avversari si fanno sempre più forti e agguerriti. Venticinque puntate cariche e intense, che mi hanno fatto tornare la voglia di giocare a basket. Una passione sfrenata per uno sport che, almeno nel nostro Paese, passa in secondo piano dietro il ben più famoso calcio.
Ebbene, in questa storia, invece, risorge la passione per uno sport divertentissimo e pieno di emozioni. Se le prime due serie ci avevano fatto innamorare di Kuroko e compagni, ecco che questa nuova avventura ci farà rimpiangere di doverli lasciare.

Per quanto riguarda la trama, non c'è poi molto da riferire. Riprende esattamente nello stesso punto in cui era stata interrotta nella seconda stagione. Il torneo si infiamma e le partite si susseguono una dietro l'altra.
Tolti Aomine e Murasakibara, rimangono altri quattro giocatori della Generazione dei Miracoli (tenendo conto di Kuroko). La prossima sfida vedrà come avversari Akashi, che finalmente farà il suo debutto in campo, almeno davanti ai nostri occhi, e il serioso Midorima. Una sfida all'ultimo colpo, che lascerà con il fiato sospeso e l'animo colmo di gioia.
Ma, ancora prima di questa, non si può che rimanere sorpresi di fronte a uno scontro inaspettato. Una sfida che rivelerà un lato nascosto del passato della Generazione dei Miracoli. Ecco che compare un nuovo giocatore, piuttosto aggressivo, stranamente interessato ad entrare a far parte di quel quintetto di fenomeni. Perché? Semplice, anche lui era stato un titolare della scuola media Teiko. Chi sarà mai?

Ci sarebbero moltissime cose da dire, ma è necessario attuare un bel taglio alla valanga di considerazioni che, in questo momento, mi vengono in mente. Innanzitutto, per l'ennesima volta, non si può che ammirare la maestria con cui, in una serie di ben venticinque episodi, si raccontano solo quattro/cinque partite di basket. Ciò che potrebbe sembrare noioso, in realtà appassiona come non mai.
La finale, addirittura, tiene incollati allo schermo per ben sette/otto episodi, senza un attimo di tregua. Continui colpi scena, rivelazioni e flashback più o meno commoventi ammansiscono l'animo indomito dello spettatore. Lo addomesticano e lo costringono a guardare con estrema delizia le partite, una migliore dell'altra.
I personaggi risplendono e non posso che esprimere un doveroso elogio per la scelta di lasciare il passato della Generazione dei Miracoli oscuro. Ogni partita, così facendo, non appare più come un semplice atto sportivo, ma come un'inesorabile scoperta dell'animo dei protagonisti. Già le due opere precedenti avevano raccontato parecchio, ma con l'ultima parte vengono rivelate finalmente tutte le carte in tavola.
Kuroko, la sua idea di basket e la passione con cui cerca di rimanere fedele ai suoi ideali. Perché? Cosa lo spinge a lottare così duramente per poter vincere contro i suoi ex compagni di squadra? Tante domande a cui verranno date doverose spiegazioni.
Tra tutti spicca Akashi, uno dei miei personaggi preferiti. Mostra un animo completamente opposto a quello di Kuroko, ma, allo stesso tempo, molto simile. Le sue parole sono leggi assolute, le sue convinzioni non potranno mai cadere... un imperatore che guarda dal trono il mondo sottostante. Incosciente che, prima o poi, potrebbe arrivare qualcuno a sottrargli quel suo grande privilegio. Che sia Kuroko? Chissà.

La grafica è praticamente la stessa delle prime due stagioni. Ombreggiature molto marcate e visibili, che donano ai vari personaggi un aspetto molto più adulto e serio. Ciò, però, viene subito addolcito dai colori chiari e dagli occhioni grandi dei vari personaggi.
Le musiche, come sempre, non possono che ammaliare. Ritmi frenetici e passionali, che rendono ogni partita una corsa contro il tempo e un'adrenalinica battaglia. Un sottofondo niente male per accompagnare le avventure di Kuroko e compagni.
Per la regia, come già detto in precedenza, niente da dire. Il semplice fatto di aver realizzato in una serie solo quattro partite di basket senza annoiare, è un punto a loro favore. Il lungo flashback a metà opera non blocca la forza espressiva della storia principale, anzi, ne esalta ancor di più i sentimenti.

Insomma, "Kuroko no Basket" è un anime da vedere assolutamente, per tutti coloro che amano il basket, ma anche per quelli che non hanno mai sentito parlare di questo sport. Ci penseranno i protagonisti della serie a conquistare i cuori degli spettatori, per il resto non conta nulla.
L'unica pecca, se così può essere considerata, è la parola fine, che cala inesorabile al termine dell'ultima puntata. Quanto avrei voluto vedere ancora un pezzettino delle loro vite. In teoria sono solo al primo anno delle superiori, di tempo c'è n'è in abbondanza per creare nuove e appassionanti avventure. Ma è anche giusto così. Una conclusione ad effetto, che ci lascia spaesati, ma allo stesso tempo felici per come sono andate le cose.

Voto finale: 8 e mezzo




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Non è di certo passato inosservato, questo anime dal titolo lunghissimo: "Yahari Ore no Seishun Love Kome wa Machigatteiru", per i fan più semplicemente "OreGairu". Nei meandri della rete sono molteplici le voci che gridano al capolavoro psicologico, nonché al perfetto ritratto del cinismo giovanile, che sfocia in un'impeccabile analisi della società attuale, coadiuvata dalla fenomenologia del gruppo, un'entità primordiale - ed eppure attuale - la quale, al fine di aumentare la sua coesione interna, stabilisce un capro espiatorio tra le varie pecore nere della classe/società: gli individui introversi, quelli dalla personalità forte e particolare, che se ne stanno chiusi in loro stessi, incapaci di comunicare al meglio. "OreGairu" è - almeno in teoria - una storia che parla di persone di questo tipo: il protagonista Hachiman è - sempre in teoria - un misantropo pessimista, asociale, interessato alla filosofia nonostante la giovane età; Yukino, una delle tante ragazze che andranno a formare l'harem del suddetto, è - di nuovo, dal punto vista prettamente teoretico - eccessivamente bella, intelligente, ricca e distaccata per poter trovare un compromesso con le ragazze nella norma che la circondano, le quali la invidiano aprioristicamente, senza essere in grado di comprendere la complessità del suo animo. A questi due personaggi ben delineati se ne aggiungono altri, in primis Yui, la classica ragazza sempliciotta di bell'aspetto che si innamora del protagonista perché è così che deve essere - altrimenti che harem sarebbe? E così via.

Ergo sono molteplici le possibilità che un'impostazione del genere può offrire ai suoi autori: nulla di originale sotto il sole - in fondo, tirando le somme, "OreGairu" non è nient'altro che uno dei tanti figliocci di "Suzumiya Haruhi no Yūutsu": il club scolastico pieno di belle ragazze in cui si passa il tempo senza far nulla; il protagonista che gioca a fare il cinico senza esserlo veramente, soltanto per darsi un tono molto cool, in modo tale da catturare, senza troppa violenza, la simpatia dell'otaku che sta dall'altra parte dello schermo; i personaggi fanservice cliché - in questo caso si parla di Chuunibyou, shota e altri patetici figuri privi di caratterizzazione, che risultano ridondanti, insensati e, soprattutto, stridenti con le tematiche impegnate di cui l'opera vorrebbe farsi carico. Ci sono anche delle riflessioni intellettualoidi - usare il termine "intellettuali" sarebbe un po' troppo pretenzioso per chi scrive -, in cui Hachiman si comporta esattamente come il suo antesignano Kyon, condividendo con lui alcuni pensieri/non-pensieri in merito alla suprema noia che si prova nel vivere - nonostante sia circondato da innumerevoli ragazze di bell'aspetto ben disposte nei suoi confronti, bel paradosso! Si parla di interminabili monologhi di stampo pseudo-esistenzialista - la tecnica del flusso di coscienza è abusata nell'animazione contemporanea - in cui a delle riflessioni interessanti tirate un po' per i capelli si aggiungono le solite ovvietà sulla misantropia, che fanno pensare a uno scimmiottamento non molto riuscito degli aforismi di Schopenauer; uno scimmiottamento il quale, nondimeno, gode di molti "pregi": fa molto figo e non impegna, non è eccessivamente difficile da comprendere e, cosa fondamentale, fa sentire più intelligente chi si identifica con Hachiman.

A parte il raccapricciante apparato ruffiano dell'opera - tipico delle commedie scolastiche del dopo-Suzumiya - la cosa che a parer mio poco convince di questo "capolavoro" urlato - un masterpiece più sulla carta che nei fatti - sono le sue buffe pretese di realismo psicologico e sociologico: "OreGairu" vorrebbe elevarsi, raccontare piccole sofferenze e incomprensioni quotidiane, fare luce sui mali della società giapponese postmoderna e sull'individualismo malato di chi vive ai suoi margini; ma fallisce clamorosamente, rivelandosi oltremodo artificioso, capzioso nel destreggiarsi tra i suoi innegabili contenuti degni d'interesse - che avrebbero meritato un maggiore approfondimento - e meri orpelli commerciali e demenziali - assai inopportuni - che s'insinuano in determinate scene ad effetto e/o situazioni piene di potenzialità, riportando dei tentati voli di rondine verso il basso, nelle viscere della Terra, in mezzo al fango mediocre in cui sguazza la maggior parte della produzione animata contemporanea. "OreGairu" è tutto fumo e niente arrosto, insomma. Eppure, fatto salvo ciò, sono innumerevoli gli slice of life nipponici che parlano delle difficoltà dei diversi lanciando un messaggio chiaro e tondo, privo degli infelici compromessi commerciali atti a ingraziarsi la solita fascia di pubblico: si pensi, giusto per fare degli esempi, ai terribili "Onani Master Kurosawa", "Watamote" e "Aku no Hana", in cui la misantropia dei rispettivi protagonisti viene descritta con un realismo feroce e grottesco, carico della sacrosanta volontà degli autori di fare veramente della satira sociale d'effetto, andando fino in fondo, senza fermarsi a metà strada per paura di non riuscire a chiudere il bilancio aziendale con dei ricavi spropositati.

Anche dal punto di vista tecnico "OreGairu" manca di polarizzazione, di personalità. A una regia banale, mediocre, del tutto inadeguata a creare scene ad effetto e virtuosismi degni di nota, si aggiunge una sceneggiatura scialba, nella quale gli statici vaniloqui del protagonista vengono coadiuvati da vicende cliché già viste in innumerevoli anime e manga precedenti. Le animazioni rientrano negli standard del genere di appartenenza; il design si rivela accettabile, talvolta armonioso ma non troppo; funzionale al tipo di pubblico a cui è destinata l'opera eppure moderatamente kawaii, sebbene non manchino all'appello pietosi travestimenti furry di alcuni personaggi fanservice (si pensi all'inutile sorella del protagonista). Detto questo, alcuni episodi risultano particolarmente riusciti grazie alla bella caratterizzazione di Yukino, l'unico personaggio dell'opera che a parer mio non si rivela eccessivamente finto e prolisso - come tutto ciò che lo circonda, del resto.
A un finale non pervenuto - esiste tuttavia una seconda stagione di "OreGairu" sulla quale il fandom nutre delle opinioni contrastanti - si aggiunge una colonna sonora priva di mordente, i cui punti di minimo sono rappresentati da delle sigle il cui cantato pare il lamento di un gatto a cui il padrone non ha elargito la corretta dose giornaliera di croccantini.

Capolavoro psicologico, quindi? Direi proprio di no; di solito la moda è cattiva consigliera, e rischia di influenzare chi troppo si fa coinvolgere dalle ciance che girano in rete. Ma non è tutto. Al di là delle eccessive illusioni di chi ha fatto della qui presente harem comedy un totem religioso da venerare ogni sera prima di andare a dormire, siamo di fronte all'ennesimo anime di bassa caratura in cui l'attuale generazione di otaku dà sfoggio della sua palese incompetenza, dimostrandosi incapace di creare un'opera di spessore, preferendo invece ricadere in quell'autocompiacimento tipico di chi non ha mai compreso veramente il mondo reale ma si atteggia come se lo avesse vissuto fino in fondo, come se lo avesse assaporato in tutte le sue contraddizioni quando in realtà era soltanto prigioniero delle sue fantasie e delle sue percezioni distorte. Insomma, lasciamo le opere serie a degli autori seri, a della gente che quando si parla di disadattati e di diversi sa dove andare a parare, in quanto conosce il mondo in cui sta vivendo. E questo è tutto.




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"Bigger, better, faster, more!" (4 Non Blondes, anyone?): un occhiello perfetto per questo secondo round made in David delle bizzarre avventure d(e)i Jojo dopo il più che riuscito adattamento congiunto delle prime due parti della luuuunga saga targata Hirohiko Araki, che proprio in "Stardust Crusaders" trova il suo... vogliamo chiamarlo Chemical X? E allora per l'occasione ho deciso di strutturare questa recensione in maniera un tantinello diversa dal solito, abbandonando cioè il canovaccio standard in favore di un ibrido tra una lista della spesa un bugiardino imperniato proprio su questi quattro parametri. Va da sé che trattandosi di una semplice trasposizione l'inevitabile raffronto con il manga non verterà che marginalmente su aspetti che competono soltanto a quest'ultimo.

Bigger
Tutte e tre le prime serie di "Jojo" hanno in comune il viaggio, con la differenza che mentre "Phantom Blood" e "Battle Tendency" avevano più un carattere formativo in "Stardust Crusaders" il focus si sposta dal Joestar di turno al racconto vero e proprio. Nella fattispecie per Jotaro Kujo, nipote di Joseph, la chiamata all'avventura scaturisce dall'esigenza di salvare la madre Holly dalla venefica influenza del redivivo Dio Brando sui discendenti di Jonathan, del cui corpo è riuscito a impossessarsi: un Grand Theft Me, per così dire, che ha determinato il risveglio quasi simultaneo in tutti i Joestar ancora in vita di uno Stand, ovvero un qualche tipo di abilità fuori del comune commisurata all'energia vitale del suo portatore. Jotaro è il possessore di Star Platinum, dotato di grande forza, velocità e precisione; Joseph di Hermit Purple, che gli consente di evocare l'immagine di obiettivi remoti e che pertanto può essere considerato la naturale evoluzione delle sue dilettantesche capacità divinatorie; quanto a Holly, qualunque sia il potere del suo è evidente che non è in grado di controllarlo, circostanza che rende necessario uccidere Dio (del cui Stand nessuno sa nulla) prima che il suo stesso spirito uccida lei [*]. Ma Dio è ben nascosto in Egitto, a diecimila e rotti chilometri di distanza dal Giappone, e come se non bastasse ha disseminato i suoi sgherri lungo tutta la via per impedire allo showdown di avere luogo - e c'è da scommettersi che questi ultimi faranno di tutto per aggiudicarsi la sua eterna riconoscenza. Se a ciò aggiungiamo che a ogni Stand corrisponde un arcano maggiore dei tarocchi (ventuno o ventidue in tutto a seconda delle varie scuole di pensiero) e che finiti questi ne subentreranno altri ispirati alle divinità egizie è facile comprendere perché si sia deciso di ricavare due serie soltanto da quest'arco.

Better
Dal punto di vista della narrazione non tanto, perché abbonda di ass pull (non avete bisogno che ve lo traduca, vero?) come al solito, ma gli Stand sono un win a prescindere: al contrario di quanto accade con le Onde Concentriche, che richiedono da parte di chi le esegue uno sforzo più fisico che spirituale, qui non importa quanto sei muscoloso, ma quanto conosci te stesso. (Per non saper né leggere né scrivere, comunque, sia Jotaro che i suoi compagni, compreso il sessantanovenne Joseph, possono apparire agli occhi del fruitore di anime contemporanei ridicolmente ben equipaggiati.) Diventa inoltre fondamentale essere il più duttili possibile dal momento che l'avversario, se non è un idiota - succede anche questo -, farà di tutto per spingerti al limite, e non certo per il gusto di combattere onorevolmente. (Nessuno fa il lavoro sporco per Dio Brando gratis et amore dei, per ricorrere a un non proprio brillante gioco di parole, perché egli stesso disprezza, o forse teme, la gratuità, così come non esistono veri sottoposti ma soltanto pedine più o meno tenute in considerazione.) Se la moralità di "Phantom Blood" e "Battle Tendency", dove praticamente chiunque vive - e muore - secondo un codice ben preciso, vi ha un po' nauseati, troverete senz'altro rigenerante la bassezza dei nemici di Jotaro e la sua crew: avidi, gretti, sociopatici, fanatici, individualisti, codardi, vanesi. Macchiette, certo, ma sarebbe assurdo pretendere di più data la loro obsolescenza programmata.
Dal punto di vista del comparto tecnico, infine, qualche passo avanti rispetto alla serie precedente l'abbiamo fatto: meno CGI alla carlona, meno "QUALITY" - altrimenti conosciuto come "derp" -, meno cali inspiegabili. Effetti visivi, sonoro e doppiaggio rimangono invece ottimi. Bella anche l'opening dal lieve sentore di shōnen d'annata e geniale l'idea di utilizzare "Walk like an Egyptian" della Bangles come ending. (Hail 2 U, David. E adesso per favore non calare la barra a gennaio.) La fedeltà al manga c'è, ma manca, fortunatamente, dell'imbarazzante pedissequità che in determinati frangenti aveva un po' funestato la serie precedente.

Faster
Paradossalmente sì, o meglio: l'avvicendarsi più o meno episodico dei vari nemici conferisce alla storia un passo bello elastico ma non esageratamente lungo, dimodoché l'attesa dello scontro finale tra Dio e Jotaro non pesi eccessivamente. Tra l'altro nel mezzo c'è anche un po' di character development, quantunque fisiologicamente in dosi minori rispetto ai due prequel, e anzi alcuni personaggi, come ad esempio Polnareff, rendono quasi meglio in questo formato piuttosto che su carta. E lo dice una a cui il francesino non è che abbia mai sfagiolato un granché.

More
Fermo restando che a livello di vibrazioni "Battle Tendency" rimane per me insuperabile (bella forza, c'è Joseph che è uno spettacolo dal primo all'ultimo pannello/frame... ), la "biodiversità" di "Stardust Crusaders", unita a questa sua atmosfera sempre molto bighellona e marantica, offre una varietà davvero incredibile di situazioni ancora più strampalate - pardon, bizzarre - rispetto a quelle a cui credevamo di esserci abituati. Per un fan della saga poterle gustare in movimento, a colori e col giusto sottofondo musicale - fenomenali a quest'ultimo proposito gli episodi 21 e 22 - è quanto di più gratificante possa esistere.

Per concludere
Chi legge "Jojo" sa che ogni serie è diversa dall'altra e che pertanto i vari raffronti, per quanto inevitabili, lasciano sempre un po' il tempo che trovano. "Stardust Crusaders" solitamente piace molto perché è la prima ad introdurre gli Stand e perché Jotaro è, per così dire, un eroe già pronto all'uso: è fortissimo, ha aplomb, sa sempre cosa fare, non si perde in smancerie col nemico... per contro, però, risulta piuttosto statico se paragonato ai suoi predecessori, cosa che i fan dell'introspezione - tipo io - potrebbero far fatica a mandar giù. Ebbene, prendetene atto: "Stardust Crusaders" è una serie blockbuster, e se sarete abbastanza onesti con voi stessi da accettarla così come vi viene presentata non vi deluderà. Non è un crimine avere contenuti limitati. Non è un crimine indulgere in un po' di trash. E d'altra parte se non siete disposti a mettervi in discussione assieme a(i) Jojo forse questa saga non fa per voi... ma nemmeno questo è un crimine.

[*] Attenzione, possibili spoiler relativi alla saga nel suo insieme Ebbene sì, questa donna ha meno combattività di un orangutan, un bebè, un cane e un uccello - questi ultimi due però li vedremo in azione a partire dal prossimo inverno -, e questo limitandoci soltanto all'arco in questione, perché altrimenti la lista comprenderebbe anche due ratti, una bambina invisibile, un gatto morto, una colonia di plancton, degli alberi, una tartaruga... e dire che è figlia di Joseph e nipote di Lisa Lisa, mica cotiche. Fine spoiler