Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

-

"Harukaze no Sunegurachika", letteralmente tradotto "La ragazza d'inverno", è un manga seinen composto da un unico volume, ideato e disegnato da Hiroaki Samura, e portato in Italia da Planet Manga nel novembre del 2015.

La storia racconta di Belka Zajcevna Sneguraja, una giovane ragazza priva di gambe e costretta quindi ad una vita sulla sedia a rotelle, e di suo fratello čenok Mizgirëv, un ragazzo fragile e ammorbato da una grave malattia. Nell'anno 1933, nei pressi del lago Onega, in Unione Sovietica, i due si recano presso una Dacia, insediandovisi illegalmente alla ricerca di un qualche tesoro nascosto al suo interno.

"La ragazza d'inverno" è un'opera molto complessa da analizzare, soprattutto evitando di fare pesanti spoiler che rovinerebbero il piacere della lettura. La trama si sviluppa discretamente bene, anche se in maniera un po' banale e prevedibile, e ruota intorno al coppia principale di protagonisti e al loro misterioso quanto unico rapporto. Inizialmente la situazione generale risulterà poco comprensibile, in buona parte per via dell'alone di mistero che l'autore riesce volutamente a ricreare, e un po' anche a causa dei molteplici e lunghissimi nomi impossibili da memorizzare, e con i quali è facile fare confusione.
Se la trama in sé non è nulla di eccezionale, la stessa cosa non si può dire per l'eccelsa riproduzione dell'epoca storica presa in esame. Buona anche la caratterizzazione dei personaggi, che nelle poche tavole a loro disposizione riusciranno a farsi conoscere ed apprezzare.
Dal punto di vista tecnico, il tratto di Hiroaki Samura rasenta la perfezione, e si adatta benissimo alla tipologia dell'opera. Il design dei personaggi è molto variegato, e i fondali squisitamente arricchiti di dettagli.

"La ragazza d'inverno" tuttavia è un prodotto assai particolare e difficile da digerire, non tanto per le scene crude contenute al suo interno, quanto per l'attenzione che è richiesta durante la lettura, soprattutto nella prima fase.
Partendo dal presupposto che non sono un amante del genere storico, devo ammettere che nel complesso sono rimasto vagamente deluso. Data la fama dell'autore mi sarei aspettato decisamente qualcosa di più incisivo e memorabile, soprattutto nel finale, ed invece "La ragazza d'inverno" si è rivelato il classico titolo che finisce per essere dimenticato in tempi brevi.

In conclusione, una lettura interessante ma consigliata solamente agli amanti del genere o agli estimatori dell'autore. Un prodotto disegnato ottimamente, che riesce a regalare delle emozioni, ma che non riesce a lasciare il segno. Sufficiente, niente di più.


4.0/10
-

Dopo serie di tutto rispetto come "Hanasaku Iroha" e "Nagi no Asukara", nel 2014 lo studio P.A. Works sforna “Glasslip”, anime di tredici episodi diretto da Junji Nishimura.

Protagonista dell’opera è Touko Fukami, una liceale che sogna di diventare una vetraia come suo padre. Mentre trascorre serenamente le sue giornate in compagnia degli amici Yanagi, Yukinari, Sachi e Hiro, la ragazza incontra Kakeru Okikura, un suo coetaneo che afferma di avere le sue stesse “visioni”.

Arrivata a metà serie, ho pensato ad un aggettivo che potesse descrivere al meglio “Glasslip”, e subito mi è venuto in mente “vuoto”. Dopo averla terminata, mi sento di affiancargli anche l’espressione “una completa perdita di tempo”. Perché "Glasslip" è proprio questo: una serie noiosa che non vale la pena di guardare.

Innanzitutto, portare a termine ogni singolo episodio è stata davvero un’impresa: ogni puntata è lenta e piena di situazioni inutili messe lì apposta per raggiungere i canonici ventiquattro minuti. Per fare un esempio, vediamo la sorella di Hiro che va a trovare il fidanzato – di cui non vedremo mai il volto - in ospedale; Yanagi che si rompe una gamba; Yanagi che gira senza vestiti per casa con tanto di fermoimmagine usati per rendere la vicenda “poetica”; infine, meraviglia delle meraviglie, Touko che disegna i polli. Proprio l’aggiunta di questi simpatici volatili è quella di cui capisco meno il senso: a volte compaiono mentre beccano il loro squisito mangime, altre per fare da modelli alla protagonista, altre per fare da sfondo ad un serissimo scontro tra Yukinari e Kakeru, che ovviamente scade nel ridicolo a causa della loro presenza.

Tuttavia, la trama c’era eccome: anche se io mi ero erroneamente illusa che si trattasse di uno slice of life ambientato principalmente in una bottega artigiana, il “fulcro” dell’opera è rappresentato dall’elemento soprannaturale. Ovviamente ho utilizzato le virgolette perché tale aspetto, non proprio originale ma comunque con molto potenziale, non è stato sviluppato a dovere. Le visioni di Touko, infatti, compaiono sì e no due minuti per episodio, mentre sembra che i veri protagonisti dell’anime siano gli intrecci amorosi tra i vari personaggi. Di certo triangoli e quadrilateri sentimentali non sono una novità in casa P.A. Works, basti pensare a "Nagi no Asukara"; tuttavia, a differenza dell’ottima opera del 2013, quelli di “Glasslip”, oltre ad essere super triti e ritriti, sono retti da personaggi tediosi e insopportabili. L’aggettivo “vuoto”, infatti, calzerebbe a pennello su ognuno di essi: non presentano né un briciolo di originalità e/o personalità, né sono oggetto di un dovuto approfondimento psicologico. In pratica, non sono riuscita ad affezionarmi a nessuno dei sei ragazzi (cosa che mi capita raramente), tantomeno ho gioito per loro conquiste sentimentali o pianto per i loro insuccessi.

Ma non è finita qui. Perché, se per la maggior parte della serie l’elemento soprannaturale è stato trattato in maniera alquanto marginale, le ultime due o tre puntate sono completamente ad esso dedicate. Avremo dunque una spiegazione dettagliata sulle cause dello strano fenomeno che attanaglia i nostri due protagonisti? Ma anche no. Negli ultimi episodi, infatti, Touko avrà visioni di una lunghezza stratosferica, manco si fosse fatta una scorpacciata di funghi allucinogeni, e continuerà a scervellarsi appresso a Kakeru per capire cosa veda veramente e il motivo del suo strano potere. Tuttavia allo spettatore nulla di questo sarà mai chiaro, perché fino all’ultimo secondo tutte queste domande non avranno mai delle risposte. Insomma, le vicende di “Glasslip”, oltre ad essere noiose, sono pure senza il minimo senso logico e, dunque, una vera presa in giro.

Arriviamo al lato tecnico, e cominciamo dal character design. Quest’ultimo presenta i tratti distintivi che ormai caratterizzano quasi tutte le opere dello studio, solo un po’ meno riusciti. Occhi alquanto sproporzionati e bocche sbilenche sono all’ordine del giorno, tant’è che sono rimasta indignata quando Touko ha paragonato Kakeru al David di Michelangelo. Le animazioni sono un tantino meglio, mentre l’unica grande gioia regalataci da “Glasslip” sono i superbi sfondi, sempre meravigliosi in casa P.A. Works. OST orecchiabili ma nulla di più, così come le sigle. La regia non mi ha fatto proprio impazzire, a causa di quei continui, inadeguati e insopportabili fermoimmagine.

Ricapitolando, “Glasslip” è un anime noiosissimo, pieno di situazioni inutili, intrecci amorosi già visti, personaggi insignificanti e vicende paranormali illogiche. Si salvano solo gli splendidi fondali, i quali permettono all’opera di raggiungere almeno un 4 scarso.


-

Questo remake (o reboot, che dir si voglia) ha senso? No, come la maggior parte di essi. Ma in questo caso si va a toccare una icona che ha dato il via al definitivo anime-boom in terra nipponica e al tempo stesso tenuto incollato milioni di ragazzini davanti alle TV di tutto il mondo nei gloriosi anni '80.

La prima cosa che balza all'occhio di "Yamato 2199" è la predominanza della CGI per quanto riguarda la struttura delle astronavi e relative animazioni, adesso rielaborate con precisione ingegneristica, fluide ma fredde, con movimenti prevedibili e più adatte alla presentazione di un qualsiasi videogame. Il disegno a mano della serie originale e la lentezza (voluta) delle inquadrature mettevano in risalto tutta la mole e l'imponenza della corazzata guidata dal capitano Okita e l'intrinseca difficoltà del suo equipaggio nel manovrare una nave spaziale di tali dimensioni (la sequenza della partenza dal sottosuolo terrestre del 1974, simbolo immarcescibile della cultura anime, viene ricopiata pari pari con non poca velleità). I personaggi odierni sembrano tutti manichini inespressivi dagli occhi 'pucciosi' in scintillante stile shojo, tanto per accontentare anche la (risicata) fetta di pubblico femminile. In passato, un po' per via delle varie coproduzioni internazionali e un po' per il tratto realistico lanciato da Tatsuo Yoshida della Tatsunoko e da Kazuo Komatsubara (due artisti, entrambi affascinati e ispirati dall'universo dei comics, che hanno lasciato un vuoto incolmabile), il character design risultava involontariamente più vicino ai gusti degli spettatori occidentali. Per fortuna la trama sembra non aver riportato grosse modifiche e/o futili modernizzazioni di sorta, a parte una lieve - dettata dai tempi - moderazione nel tono dei dialoghi (e ci mancherebbe altro, gli storyboard erano già lì, belli che pronti, conservati con tanto di firma di Yoshikazu Yasuhiko!).

Essere troppo conservatori frena l'illusione e la fantasia, ma non è detto che tutto ciò che è nuovo sarà migliore e, se questa è la tanto decantata generazione dei registi quarantenni cresciuti a pane e robottoni... c'è di che preoccuparsi.