Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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Sarò di parte, essendo musicista, ma "Beck" ha saputo emozionarmi come poche altre opere.
Chi come me ha avuto una band sa cosa significa trovarsi in sala prove per comporre un pezzo, incidere un demo, oppure salire per la prima volta su di un palco per un live.
"Beck" descrive e racconta in maniera decisamente credibile (certo, qualche botta di fortuna e qualche evento assurdo di troppo, ma giusto per rendere più interessante la trama) la storia di una band rock immaginaria giapponese.
Si percepisce fin dai primi volumi, scritti e disegnati da Harold Sakuishi, che l'autore è particolarmente legato al mondo della musica. I riferimenti a band e artisti che hanno fatto la storia sono ovunque e ben incastrati nella trama degli eventi che accompagnano i Mongolian Chop Squad all'apice del successo.
Il manga è lungo, trentaquattro volumi in cui viene illustrata passo per passo l'evoluzione della band e dei singoli componenti, ognuno dei quali ha un carattere ed una storia ben precisa. Insomma, sembra proprio di leggere una biografia di una band che potrebbe aver fatto la storia del grunge/alternative rock degli anni '90. Ovviamente l'impronta tipica dei manga "slice of life" c'è e si vede, difatti e facile imbattersi con ragazze esageratamente dotate e inevitabilmente svestite oltre che scene un po' troppo fuori dalle righe. Ma la passione dell'autore messa in ogni baloon rende "Beck" un manga bello e appassionante.

Molti si sono chiesti se fosse meglio l'opera cartacea oppure quella animata. In effetti l'idea di "leggere" le canzoni senza poterle ascoltare potrebbe sembrare strana ai più. E invece è proprio il cercare di immaginarsi i pezzi, secondo i propri gusti e secondo le proprie esperienze, il punto di forza di quest'opera. E proseguendo con la lettura dei volumi di questo manga sembra quasi di riconoscerli, di sentirli, nonostante non siano altro che immagini, onomatopee e qualche stralcio di testo. Non ho visto la versione anime, ho ascoltato qualche canzone che però non mi fa impazzire. Dal canto mio vi consigliere comunque di buttarvi sul manga più che altro perché l'anime copre solamente un terzo dell'intera storia dei Beck. (e fermarsi a quel punto secondo me ha poco senso...)

Stento a credere che esistano altre serie manga sulla musica rock di questo calibro (e se ce ne dovessero essere ditemelo subito), con un simile amore per questo mondo e che non siano troppo irrealistiche o "fumettose". "Beck" affronta molte tematiche serie, come quella della music industry spesso corrotta dalla malavita e come quella della rivalità fra band, etichette e producers, e lo fa bene.

Certamente bisogna essere appassionati di musica per apprezzare appieno "Beck", ma è innegabile che a livello qualitativo parliamo di una delle serie più influenti e memorabili del manga del nuovo millennio.


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All'inizio dell'800 in quel di Edo, già metropoli ma non ancora capitale, si dipanano le vite di Katsushika Hokusai e seguaci - Hokusai, per intenderci, il pittore di Ukiyo-e che deve la sua fama e notorietà in Occidente grazie alla "grande onda di Kanagawa", la prima di trentasei stampe che vanno sotto il nome di "Trentasei vedute del Monte Fuji". L'onda di Kanagawa al di fuori del Giappone è un simbolo talmente celebre, iconico ed emblematico, per cui molto spesso nell'immaginario collettivo di noi Occidentali la sua immagine si sovrappone e combacia bene all'idea che abbiamo del Giappone stesso. Ebbene, Hokusai ebbe proseliti non solo in patria, ma anche e soprattutto all'estero, dal momento che, grazie alla diffusione capillare di persone, merci e idee di una globalizzazione all'alba dei suoi giorni, ci è voluto poco perché le sue raffinate ed esotiche tecniche pittoriche rimanessero impresse ed entrassero tra le grazie dei pittori occidentali. La contaminazione, l'impressione e poi l'espressione sono cifre stilistiche importanti per un’arte che vuole scardinare l'accademismo classico imperante in Europa, e certe istanze stilistiche fanno presa facilmente tra i nuovi geni pittorici della fine dell’ '800: parliamo di Renoir, Monet, Gaugin, Macke, Van Gogh e chi più ne ha più ne metta. E sicuramente negli anni a venire, fino in epoca contemporanea, la fortuna delle opere di Hokusai non è mai venuta meno, passando per il periodo pop-art, fino ad arrivare all'affermazione proprio nei manga. Dunque, questo lungometraggio non è solo un omaggio, ma, se vogliamo, in parte anche una filiazione stessa proprio di quella grande onda di Kanagawa.

Ma il personaggio principale non è Hokusai, o meglio uno dei comprimari; qui la protagonista della storia, che spesso ci fa vivere il racconto in soggettiva, è la figlia Oei Katsushika, meno celebre ma dotata di un talento artistico che quasi eguaglia quello del padre. I due vivono assieme a un terzo scapestrato e scroccone seguace del maestro in una baracca popolare a Edo, letteralmente sommersi da disegni, principale ragione di vita. In una Edo sempre brulicante di vita dalla mattina tra le attività commerciali sino alla notte fonda nei quartieri del piacere, padre e figlia si distinguono per riservatezza e riserbo morale, seppure nelle loro pitture spesso e volentieri vengano dipinte passionali scene cariche di erotismo. Questi due personaggi non vogliono essere celebrati, decantati, bensì se ne racconta l'umanità silenziosa, paziente e perseverante di chi ha votato la sua vita all'arte e alla meticolosità di ogni piccolo dettaglio, ed è disposto al sacrificio personale e a nottate estenuanti di lavoro pur di raggiungere il risultato finale e soddisfare le svariate committenze dei signorotti locali. Perciò, il voluto mutismo di certe sequenze, che potrebbe sembrare un difetto dell'opera, in realtà è elemento aggiunto in quest'ottica.
Nel racconto non manca un pizzico di soprannaturale, che come leggenda popola le opere stesse di mano dei nostri artisti. Edo è sempre lo scenario di fondo sul cui supporto si svolge questa matassa, dove si scontrano o coesistono nella vita di tutti i giorni spiritualità e desideri carnali, realtà e mito.

I fondali costituiscono delle suggestioni perfettamente riuscite ed evocative delle architetture giapponesi di un tempo, ed è stato bello perdersi in quei luoghi così lontani ed esotici. Il character design, asciutto ed essenziale ma al tempo stesso caratteristico, può non essere gradito a tutti, ma dipinge i volti dei protagonisti con il giusto realismo. Le animazioni sono ottime. Se si può obiettare qualcosa all'opera, nonostante sia pieno il livello di coinvolgimento durante tutta la visione del film, è la mancanza di capillarità, dunque un trait d'union che congiunga le storie sparse in esso.


7.0/10
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Dal 2012, "Berserk" è in una specie di rivisitazione mediatica continua che confluirà anche in un altro videogioco, ma la serie animata in questione segue più o meno il filone narrativo dei tre film prodotti dallo Studio 4° C e che ebbero un discreto successo, anche presso me. La storia riprende dal termine dell'analessi e si protrae celermente in un nuovo mondo oscuro post-eclittico.
Certo, l'inizio è stato quanto di più deludente potessi immaginare: mentre per i film asserii che la CG riusciva a diluirsi nel grande movimento che le scene belliche richiedevano, qui mi pare quasi di essermi metamorfosato nel mio opposto: sono proprio le scene movimentate di questa serie che lasciano attoniti. Non essendo un cultore della grafica non saprei come definirlo, ma c'è qualcosa di strano, di falsato nelle scene in moto, qualcosa di irrealistico. Al tutto si aggiunge una regia direi frenetica per adoperare un termine neutro: cambi di inquadratura repentini, a volte vorticosi, a spirale, da mal di mare. Anche a livello di trama rimasi sbigottito: i primi tre episodii sono disastrosi, con voli pindarici inter-volumici, collegamenti fittizii, una pessima resa di Colette - che avrebbe anzi dovuto far cominciare la serie con un profondo senso di mestizia - ed inserimento deplorevole di scene di combattimento inesistenti, id est un maestoso albero dalle cui grinfie ci si libera manco fosse di cartapesta ed un apostolo casuale - ma voluto da Miura, critica quindi non al regista - (la cui grafica è stata certamente la peggiore cosa abbia mai osservato) inserito in una delle scene più erotiche-demoniache dell'intero manga, rovinandola ovviamente. Non parliamo neppure delle scene di nudo, anche integrale, con i seni in bella vista ed i capezzoli censurati; però è, diciamo, tradizione censoria nipponica. Ricapitolando: i primi tre episodi sono brutti, bruttissimi e non mi stupisce che molti abbiano abbandonato la visione al secondo-terzo gradino.
C'è un però: successivamente la serie si riprende. La CG continuerà ad affliggerci, ma migliorando decisamente: si provi a comparare l'apostolo del terzo episodio con qualsiasi altro essere successivo: sono entrambi pessimi, ma il primo pare quasi uscito direttamente da uno di quei cartoni di Rai YoYo prodotti con 20 euro di budget. Ovviamente, perché l'anime si riprende? Certo, forse il regista è ritornato sobrio dopo tre settimane di ebrezza, ma soprattutto la storia, la trama regge il tutto; essa viene seguita quasi pedissequamente e questo dà una base fortissima anche alla regia, permettendoci di poter davvero assaporare cosa sia "Berserk".
Relativamente al film, avevo criticato il doppiatore giapponese di Gatsu, a mio parere incapace, ma debbo dire di ricredermi e ritirare il j'accuse, o per un suo miglioramento, o per una mia precedente svista, o forse perché in quest'anime Gatsu praticamente sta muto quasi tutto il tempo, non essendo più l'estroso ragazzino di un tempo.
Per quanto riguarda le musiche, invece, le ho trovate banali, con scatti di metal a volte ingiustificati e sviolinate mononota in crescendo che avrebbero dovuto rappresentare il terrore, ma che a me han solo infastidito, il tutto condito con i riconoscibili pezzi di Hirasawa tutti molto simili l'un l'altro e generalmente tenuti in sottofondo a basso volume. Eppure entrambi avevano lavorato in maniera più decente nei film.

In conclusione: la serie, questa prima parte almeno, è dedicata ai fan storici, ma forse anche a qualche novizio capace di districarsi avendo guardato i film. È stata un crescendo in miglioramento, ma essendo partita da molto in basso non può aver raggiunto la lode in sole dodici puntate.
Oltretutto: ora che i capitoli della "Festa della nascita" sono finiti, che faranno per i prossimi dodici? Apriranno l'arco della magia e dei Kushan, che praticamente dura fino ad ora, e lo lasceranno aperto.
Non sarebbe stato meglio utilizzare la prima stagione per i capitoli dei bambini perduti e la seconda per la nascita? Chissà se, quindi, hanno in mente ben più di due stagioni.