Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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8.5/10
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Il primo e più importante elemento che attrae, riguardo “Kuzu no Honkai”, è sicuramente la sua intensità emozionale. E' il suo tratto distintivo, la qualità che lo contraddistingue, e bisogna riconoscere che nello specifico segna un distacco piuttosto corposo dai suoi simili. Ad attrarre maggiormente di questo vigore emotivo sono le sue diverse declinazioni, la tipologia, la magnitudine e la continuità con le quali viene diffuso per la durata della serie.

Fin dall'inizio si resta colpiti dalla particolarità scelta per narrare le vicende dei personaggi: a differenza del solito i protagonisti non hanno successo in amore, consci di provare emozioni non dichiarate all'oggetto delle loro attenzioni ma ugualmente non corrisposte. E' quindi una decisione veramente originale, differente dalla prassi, che implica una tipologia di sentimenti sconosciuti e raramente esplorati in anime del genere; una scelta che a mio parere paga, perché, oltre ad essere distante dalla consuetudine, risulta essere ben curata e dettagliata per la grandissima parte della durata della serie.

Soffermiamoci ora sul ventaglio di emozioni portate alla luce nell'anime, ricollegandoci quindi alla seconda caratteristica emozionale di cui parlavo inizialmente, la magnitudine, ossia la grandezza assoluta del complesso. Siamo di fronte ad emozioni e sensazioni non tipiche di prodotti scolastico-sentimentali; tutt'altro, si tratta di materiale maturo e decisamente adulto, inerente il sesso (sotto diverse connotazioni, dall'autoerotismo all'amore fisico saffico a quello canonico), che viene trattato sottintendendolo non troppo bene, quindi palesandolo spesso, badando però a non scadere nell'hentai senza freni inibitori e senza limitazioni.
Senza dubbio è una scelta audace, che sicuramente farà discutere a causa delle sue allusioni neanche tanto velate, ma che personalmente trovo ancora una volta azzeccata. Mostrare il lato carnale dei personaggi e le loro necessità fisiche potrà sembrare gratuito ai più, una cosetta morbosa messa lì per compiacere e provocare eccitamento negli spettatori; secondo me contribuisce invece a rendere più complete le vicende e gli interpreti, dando loro una nuova e più complessa dimensione. Introdurre nei personaggi questo genere di pulsioni permette di comprendere il loro stato emotivo con maggiore accuratezza, arrivando a fare davvero propri la confusione, l'afflizione, l'amarezza, l'insoddisfazione e la mestizia dei protagonisti che, in mancanza del vero amore, decidono di ripiegare su un palliativo facile e accessibile, appagando solo momentaneamente il proprio bisogno di affetto, ma proseguendo a sentire quel vuoto, quel buco, che solo una persona davvero speciale può colmare.

Arriviamo alla costanza della grande ondata emozionale che monopolizza la serie. E arriviamo a parlare di quello che, secondo me, rappresenta il primo e unico difetto dell'anime. Di dodici puntate complessive, parlando in termini di intensità emozionale, solamente le prime dieci per me sono su standard obiettivamente elevati; le ultime due, invece, mi sembrano ben al di sotto dei livelli mantenuti per tutte le precedenti. Quel bagaglio emotivo che ci aveva accompagnati fino quasi alla fine di colpo sparisce, ricomparendo solamente in un brevissimo momento nell'episodio undici (la crisi del “rifiuto” maschio alla rivelazione dell'amante), senza però trovare ulteriore continuità. Certamente, però, di queste ultime due battute piacciono l'originalità e la singolarità pure e semplici del progetto: benché non sempre ci si trovi concordi alle ideologie e alle azioni di questo o di quel personaggio (basti pensare all'episodio undici e alla volontà del professore), allontanarsi dai dettami e dai finali tipici di questo genere di prodotto è sicuramente un bene, in linea con l'ideale di originalità che costituisce la vera e propria colonna portante della serie. Insomma, non si apprezza per niente la mancanza di tensione e di intensità che permeano le ultime due puntate, ma si apprezzano la loro atipicità e le loro peculiarità; sui piatti della bilancia, però, a mio avviso il contributo maggiore lo dà la carenza di mordente, andando quindi a limare punti dal giudizio complessivo.
Di altri grandi difetti non ne trovo; piccolo neo, diciamo non si resta colpiti da alcuni personaggi minori che, nonostante abbiano alcuni meriti nell'aprire gli occhi ad altri interpreti, fungendo quindi da sorgente di epifanie, sono marginali per tutta la durata della serie. Mi riferisco al viveur Terauchi e all'affascinante Moka: personalmente non capisco il senso di creare personaggi così poco presenti nell'intera storia e al contempo assegnare loro un compito decisamente importante. Non è certo questo un elemento così indigesto come il calo negli ultimi due episodi di cui parlavo prima, ma un pelo di irritazione la provoca ugualmente. Del resto, la serie mi risulta azzeccatissima in tutto, dalla veste grafica al comparto sonoro.

Voto finale 8,5: perfetta fino alla decima puntata, quella flessione però mi ha davvero stroncato, soprattutto l'undicesimo episodio l'ho trovato di una vacuità e di una improbabilità bestiali, che seriamente hanno compromesso il mio giudizio.


8.0/10
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Un manga assolutamente particolare e fuori dal coro per Keiichi Koike - anzi, un lavoro che forse alcuni stenterebbero a considerare 'manga' nel senso contemporaneo del termine, ma che sicuramente espanderà gli orizzonti di qualunque lettore a cui possa interessare un'opera sicuramente datata, ma ciò nonostante concettualmente e visivamente fresca. Una sorta di rubrica a fumetti sulla rivista di fotografia anni '80 'Photo Japon', 'Spinoza' consiste di una singola pagina per capitolo, a colori e quasi completamente priva di testo, continuità o trama vera e propria. Ciascun 'capitolo', invece, diventa una sorta di divertissment in cui, attraverso una rigida suddivisione in 52 scenette sequenziali, Koike crea una sorta di mini-manga surreale, i cui spunti variano dall'arte rupestre alla critical politica. Spesso la 'storia' procede per associazione di immagini, così che uno scavo archeologico si trasforma in... un robot, che si trasforma poi... in un palco. Poca logica, quindi, ma moltissima immaginazione e creatività.
Il tratto è nella media del periodo: molto indebitato alla fumettistica da rubrica di quotidiano di stampo americano, sicuramente ha poco a che fare con ciò che il manga è oggi - risultando comunque godibile, anche se datato.
Insomma, un reperto storico di indubbio interesse che forse piacerà a pochi, ma potrebbe interessare a molti.


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Un voto così ridicolmente basso potrebbe far pensare che la mia sia una valutazione emotiva (e in parte è così), ma ho delle ragioni molto chiare per dare a questo anime il più basso voto possibile. Ritengo infatti che questa serie animata non sia solo brutta nella maniera più becera ma pure, non esagero, pericolosa.

Otaku è una parola che definisce un ragazzo "dedito in maniera ossessiva a una particolare attività", e, generalizzando, si riferisce a quegli adolescenti giapponesi che si chiudono nelle loro camere, limitando al massimo le interazioni umane per proteggersi in una bolla di infantilismo dalle minacce del mondo esterno. In Giappone è un problema molto grave, che colpisce percentuali considerevoli di adolescenti, ma, visto che si tratta del Giappone (società ansiogena che si protegge da tempo dallo stress atipico della loro vita con un diffuso infantilismo), generalmente viene considerato un fenomeno relegato a quella società, e non ci si fa caso. Tuttavia non è solo del Sol Levante il problema. Se mai vi capitasse di avere amici dalle passioni "nerd" (perdonatemi questa semplificazione), potreste osservare come una certa convinzione, ovvero che il mondo reale, con le sue sfide e difficoltà, sia triste e punitivo, mentre nei giochi e nei mondi di fantasia si possa finalmente essere sé stessi, sia sempre più diffusa. Talmente è diffusa questa convinzione, che alcuni eventi "nerd" vengono ormai pubblicizzati facendo leva su questi sentimenti. "Escape Reality" recitava la pubblicità di un raduno per appassionati di giochi di ruolo.

In un panorama del genere, con un infantilismo che ormai comincia a permeare tutta la società occidentale, è preoccupante il successo di un anime che celebra in maniera tanto becera questo tipo di pensiero. Non a caso questo anime mi è stato consigliato da una persona che ritengo essere piuttosto rappresentativa di questa tendenza. "Il secondo arco perde un po', ma, fidati, il primo è bellissimo." Così mi è stata presentata questa oscenità, e, finito il primo arco, non mi sono nemmeno dato la pena di vedere il secondo. Kirito, il protagonista, sembra il feticcio creato apposta per chi si esalta alla vista di certe azioni. Tenebroso, recluso, timido ma in un qualche modo, e per qualche motivo, 'fighissimo'. Ovviamente, anche se ha il carisma di un ferma-libri, ogni ragazza che incontra, iper-sessualizzata anche se minorenne e dallo spessore caratteriale di un foglio di carta, si eccita e palpita per lui. Perché? Perché è ciò che un certo tipo di pubblico vuole vedere. Ovviamente è un tipo di romanticismo grottesco e irreale, ma ha veramente importanza? Quello di questi amori incontrati comodamente nel mondo irreale del videogioco (mondo che il protagonista non manca di sottolineare come sia più bello e vivo di quello vero) sono melensi e mal scritti, posti giusto per soddisfare le carenze sessuali e affettive di chi potrebbe realmente perdersi in un mondo del genere.

Mai, nel corso dell'anime, viene svolta una riflessione su quelli che possono essere i ruoli dei giocatori in questo mondo. Se esiste un motivo per cui si creano società e sub-società, se esiste chi vuole rimanere intrappolato in quel mondo, chi è indifferente e chi invece lotta per tornare alla realtà. Ogni tanto sembra che se ne stia per parlare, o se ne voglia parlare, ma alla fine ogni puntata e situazione è pensata per far vedere quanto è 'figo' Kirito, quanto è generoso Kirito, quanto è forte Kirito, quanto amoreggia Kirito. Come se non bastasse, vengono inseriti dei personaggi insulsi che muoiono convenientemente solo per creare qualche "feel" facile, ma che a una persona matura non possono far altro che far sbadigliare.

Si potrebbe controbattere facendo notare come l'anime sia pensato per un pubblico certamente adolescenziale, più suggestionabile, 'facilotto' e capace di esaltarsi davanti a certe semplicità. Al di là del fatto che non sarebbe comunque una giustificazione per una tale superficialità e immaturità nel trattare una storia, questo implica almeno due cose:
1) gli adolescenti sono dei rimbambiti indegni di emozioni e situazioni complesse, capaci di esaltarsi solo in virtù degli ormoni che hanno in corpo;
2) è giusto mostrare agli adolescenti una realtà dove è possibile vivere grandi avventure solo perché ossessionati da un qualche feticcio (sia esso videogioco, gioco di ruolo, anime o checchessia), e che, se si continua ad essere degli inetti socialmente e nella vita, si è ricompensati dalle ragazze, dall'amicizia e dalla 'figaggine' trascendentale.
Personalmente mi rifiuto di avere una stima così bassa di chi passa un periodo molto delicato e suggestionabile della propria vita, quale è l'adolescenza.

Infine, anche per quanto riguarda la struttura interna, ci sono problemi piuttosto gravi. Dilatazioni smisurate e contrazioni altrettanto forti dei tempi della trama caratterizzano tutta l'opera. A volte intere fasi sembrano essere saltate, a volte intere puntate sono dedicate a noiosissime vicende pseudo-sentimentali. Inoltre sembra che l'arco narrativo si interrompa di netto, come se a un certo punto l'autore si fosse rotto le scatole, o si fosse vergognato egli stesso della scemenza che stava disegnando, e avesse deciso di anticipare la fine a caso.

Guardare "Sword Art Online" è stata la più grossa perdita di tempo della mia vita, ma per chi se lo gode il pericolo potrebbe anche essere maggiore: potrebbe pensare che questo tipo di interazioni ed emozioni potrebbero capitargli veramente, se solo si comportasse come Kirito. Pardon, Kirito-san.