Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
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Il cane che guarda le stelle
9.0/10
"Il cane che guarda le stelle" comprende due splendide storie raccolte in un unico volume. Si tratta di un'opera molto commovente rivolta ad un'ampia fascia di lettori, ma che consiglio particolarmente a chi possiede o ha posseduto un cane.
La prima storia inizia con una breve anticipazione in cui assistiamo al ritrovamento di una vettura con al suo interno i corpi senza vita di un uomo ed il suo cane. Da qui in poi ripercorreremo la vita di questi due personaggi a partire da quel fatidico giorno in cui una bambina decise di adottare un tenerissimo cucciolo abbandonato all'interno di uno scatolone. Con il passare del tempo la bambina perse progressivamente interesse nei confronti del cane, mentre il padre instaurò con lui un legame molto profondo che non venne meno neppure con l'arrivo degli eventi più drammatici.
La seconda parte del volumetto contiene una storia quasi a sé stante perché incentrata su un assistente sociale incaricato di occuparsi del caso dell'auto e dei corpi rinvenuti dalla polizia. In più occasioni l'uomo richiamerà alla memoria alcuni ricordi, facendo emergere un evidente senso di colpa per non aver ricambiato in ugual misura l'affetto che il suo cane provava nei suoi confronti.
Come si può constatare dalla trama appena descritta, gli elementi chiave di quest'opera sono principalmente l'affetto e la fiducia incondizionata che i cani dimostrano nei confronti del loro padrone. Oltre a questo, l'autore intende trasmettere anche un secondo messaggio che ha messo in evidenza nella sua riflessione posta alla fine del volume, ma che probabilmente in pochi hanno notato durante la lettura. Lo scopo di questo manga non è solamente quello di farci commuovere per i nostri amici a quattro zampe, ma anche denunciare come le persone oneste e altruiste come l'uomo del primo racconto, siano spesso vittime di terribili ingiustizie e abbandonate al loro destino.
Ho molto apprezzato la decisione dell'autore di narrare le vicende in prima persona da parte di entrambi i soggetti: uomo e cane. La prima storia, essendo raccontata dal punto di vista di un animale contiene termini molto semplici e a tratti anche ingenui che riescono a trasmettere efficacemente forti emozioni. Anche la seconda storia ha un forte impatto emotivo, tuttavia, non è stata in grado di raggiungere un livello pari alla precedente.
L'unico punto dolente di quest'opera sono i disegni. Purtroppo Takashi Murakami ha utilizzato uno stile estremamente grezzo che può essere accettabile per gli sfondi, ma non certo per i personaggi che in molti casi risultano quasi inguardabili. Un ottimo lavoro, invece, è stato fatto per la copertina del volumetto che appare meravigliosa sotto ogni punto di vista.
Nonostante la presenza di qualche piccolo difetto, ci troviamo di fronte ad un'opera di grande valore sentimentale, capace addirittura di strappare qualche lacrima e per questo motivo non posso fare a meno di consigliarne la lettura.
La prima storia inizia con una breve anticipazione in cui assistiamo al ritrovamento di una vettura con al suo interno i corpi senza vita di un uomo ed il suo cane. Da qui in poi ripercorreremo la vita di questi due personaggi a partire da quel fatidico giorno in cui una bambina decise di adottare un tenerissimo cucciolo abbandonato all'interno di uno scatolone. Con il passare del tempo la bambina perse progressivamente interesse nei confronti del cane, mentre il padre instaurò con lui un legame molto profondo che non venne meno neppure con l'arrivo degli eventi più drammatici.
La seconda parte del volumetto contiene una storia quasi a sé stante perché incentrata su un assistente sociale incaricato di occuparsi del caso dell'auto e dei corpi rinvenuti dalla polizia. In più occasioni l'uomo richiamerà alla memoria alcuni ricordi, facendo emergere un evidente senso di colpa per non aver ricambiato in ugual misura l'affetto che il suo cane provava nei suoi confronti.
Come si può constatare dalla trama appena descritta, gli elementi chiave di quest'opera sono principalmente l'affetto e la fiducia incondizionata che i cani dimostrano nei confronti del loro padrone. Oltre a questo, l'autore intende trasmettere anche un secondo messaggio che ha messo in evidenza nella sua riflessione posta alla fine del volume, ma che probabilmente in pochi hanno notato durante la lettura. Lo scopo di questo manga non è solamente quello di farci commuovere per i nostri amici a quattro zampe, ma anche denunciare come le persone oneste e altruiste come l'uomo del primo racconto, siano spesso vittime di terribili ingiustizie e abbandonate al loro destino.
Ho molto apprezzato la decisione dell'autore di narrare le vicende in prima persona da parte di entrambi i soggetti: uomo e cane. La prima storia, essendo raccontata dal punto di vista di un animale contiene termini molto semplici e a tratti anche ingenui che riescono a trasmettere efficacemente forti emozioni. Anche la seconda storia ha un forte impatto emotivo, tuttavia, non è stata in grado di raggiungere un livello pari alla precedente.
L'unico punto dolente di quest'opera sono i disegni. Purtroppo Takashi Murakami ha utilizzato uno stile estremamente grezzo che può essere accettabile per gli sfondi, ma non certo per i personaggi che in molti casi risultano quasi inguardabili. Un ottimo lavoro, invece, è stato fatto per la copertina del volumetto che appare meravigliosa sotto ogni punto di vista.
Nonostante la presenza di qualche piccolo difetto, ci troviamo di fronte ad un'opera di grande valore sentimentale, capace addirittura di strappare qualche lacrima e per questo motivo non posso fare a meno di consigliarne la lettura.
Lilim Kiss
3.0/10
Recensione di GianniGreed
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"Lilim Kiss" è un manga di due soli volumi, scritto e disegnato da Mizuki Kawashita, autrice nota principalmente per "100% Fragola", che però è successivo a questo.
La storia vede per protagonista un giovane studente di nome Saiki. Belloccio e molto alto e forte, ma con la fama di teppista. Un giorno, per caso, Saiki trova per strada una piccola bottiglietta e dopo averla aperta dal suo interno viene fuori una bellissima ragazza. Il suo nome è Lilim ed è una succubus. La ragazza non ha memoria del suo passato ma una cosa è chiara fin da subito: per vivere deve nutrirsi della forza vitale degli uomini, che lei assorbe tramite… un bacio sulle labbra.
Visto che Saiki è molto forte e pieno di vitalità, un solo bacio al ragazzo è in grado di soddisfare Lilim per un intera giornata. Inizia così una convivenza forzata tra il ragazzo e la diavoletta.
Dunque, per quel che riguarda la trama descritta poco sopra è abbastanza evidente che il manga della Kawashita non è molto originale. La convivenza tra un ragazzo comune e una ragazza dotata di qualche potere / aliena o che altro è una cosa che nei manga si è già vista e rivista. Per fare due esempi famosi potrei citare "Lamù" o "To Love-ru".
Il problema però di "Lilim Kiss" è che a differenza delle altre opere citate non ha un briciolo di personalità e non è nemmeno divertente o gradevole da leggere.
Leggendo i due volumi di cui è composto ci si può accorgere subito che l'autrice non aveva probabilmente le idee chiare circa la storia che voleva realizzare. "Lilim Kiss" è un gran minestrone di cose, clichè e situazioni già viste che però vengono abbandonate quasi subito. Basta fare l'esempio dei capitoli in cui compare una seconda succubus, che all'apparenza sembra essere una rivale / nemica della protagonista, ma che nel giro di poco tempo viene fatta sparire e dimenticata, o ancora della ragazza innamorata di Saiki, e pertanto rivale in amore di Lilim, ma che viene messa subito in secondo piano anche lei.
Per non parlare poi del drago evocato dai protagonisti che si trasforma inspiegabilmente in mostriciattolo tipo Pokèmon, nel probabile tentativo di creare una sorta di mascotte.
La cosa peggiore della storia è comunque il finale, che arriva davvero a caso a chiudere forzatamente il fumetto, dando proprio l'impressione di chiusura anticipata.
A causa dell'indecisione dell'autrice nel proseguire con la storia, i personaggi soffrono di una scarsa caratterizzazione psicologica. Su tutti, i personaggi secondari che sono davvero abbozzati nei loro ruoli, ma anche i due personaggi principali non ne escono meglio. Essendo personaggi poco definiti ma che cambiano carattere in base alle esigenze dell'autrice, il lettore non riesce a provare simpatia e affetto per loro, e anche le scene che in teoria dovrebbero essere emozionanti, specialmente quelle dei capitoli finali, finiscono per avere invece l'effetto opposto, risultando poco credibili.
Per quel che invece riguarda i disegni non ci si può tutto sommato lamentare. Lo stile della Kawashita è ancora un po' acerbo rispetto ai lavori seguenti a questo, ma il suo tratto è abbastanza definito e le ragazze disegnate da lei sono molto carine e subito riconoscibili.
I personaggi maschili sono invece meno variegati e, tolto il protagonista e il suo miglior amico, gli altri sono tutti abbastanza generici.
In conclusione "Lilim Kiss" è un opera consigliabile solo ed esclusivamente ai fan dell'autrice, ma solo per una questione di completezza e affetto verso di lei. Meriti effettivi non ne ha, dato che la storia è poco originale e mal scritta, piena di situazioni banali e già viste e con personaggi poco caratterizzati. Anche se il manga è di soli due volumi arrivare alla fine risulta essere abbastanza pesante, e pertanto ne sconsiglio la lettura.
La storia vede per protagonista un giovane studente di nome Saiki. Belloccio e molto alto e forte, ma con la fama di teppista. Un giorno, per caso, Saiki trova per strada una piccola bottiglietta e dopo averla aperta dal suo interno viene fuori una bellissima ragazza. Il suo nome è Lilim ed è una succubus. La ragazza non ha memoria del suo passato ma una cosa è chiara fin da subito: per vivere deve nutrirsi della forza vitale degli uomini, che lei assorbe tramite… un bacio sulle labbra.
Visto che Saiki è molto forte e pieno di vitalità, un solo bacio al ragazzo è in grado di soddisfare Lilim per un intera giornata. Inizia così una convivenza forzata tra il ragazzo e la diavoletta.
Dunque, per quel che riguarda la trama descritta poco sopra è abbastanza evidente che il manga della Kawashita non è molto originale. La convivenza tra un ragazzo comune e una ragazza dotata di qualche potere / aliena o che altro è una cosa che nei manga si è già vista e rivista. Per fare due esempi famosi potrei citare "Lamù" o "To Love-ru".
Il problema però di "Lilim Kiss" è che a differenza delle altre opere citate non ha un briciolo di personalità e non è nemmeno divertente o gradevole da leggere.
Leggendo i due volumi di cui è composto ci si può accorgere subito che l'autrice non aveva probabilmente le idee chiare circa la storia che voleva realizzare. "Lilim Kiss" è un gran minestrone di cose, clichè e situazioni già viste che però vengono abbandonate quasi subito. Basta fare l'esempio dei capitoli in cui compare una seconda succubus, che all'apparenza sembra essere una rivale / nemica della protagonista, ma che nel giro di poco tempo viene fatta sparire e dimenticata, o ancora della ragazza innamorata di Saiki, e pertanto rivale in amore di Lilim, ma che viene messa subito in secondo piano anche lei.
Per non parlare poi del drago evocato dai protagonisti che si trasforma inspiegabilmente in mostriciattolo tipo Pokèmon, nel probabile tentativo di creare una sorta di mascotte.
La cosa peggiore della storia è comunque il finale, che arriva davvero a caso a chiudere forzatamente il fumetto, dando proprio l'impressione di chiusura anticipata.
A causa dell'indecisione dell'autrice nel proseguire con la storia, i personaggi soffrono di una scarsa caratterizzazione psicologica. Su tutti, i personaggi secondari che sono davvero abbozzati nei loro ruoli, ma anche i due personaggi principali non ne escono meglio. Essendo personaggi poco definiti ma che cambiano carattere in base alle esigenze dell'autrice, il lettore non riesce a provare simpatia e affetto per loro, e anche le scene che in teoria dovrebbero essere emozionanti, specialmente quelle dei capitoli finali, finiscono per avere invece l'effetto opposto, risultando poco credibili.
Per quel che invece riguarda i disegni non ci si può tutto sommato lamentare. Lo stile della Kawashita è ancora un po' acerbo rispetto ai lavori seguenti a questo, ma il suo tratto è abbastanza definito e le ragazze disegnate da lei sono molto carine e subito riconoscibili.
I personaggi maschili sono invece meno variegati e, tolto il protagonista e il suo miglior amico, gli altri sono tutti abbastanza generici.
In conclusione "Lilim Kiss" è un opera consigliabile solo ed esclusivamente ai fan dell'autrice, ma solo per una questione di completezza e affetto verso di lei. Meriti effettivi non ne ha, dato che la storia è poco originale e mal scritta, piena di situazioni banali e già viste e con personaggi poco caratterizzati. Anche se il manga è di soli due volumi arrivare alla fine risulta essere abbastanza pesante, e pertanto ne sconsiglio la lettura.
megna1
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Prepararsi un bel piatto di "yaki udon" fumanti per cena guardando "Cara dolce Kyoko" non aveva prezzo, e solo qualche anno fa ciò era ancora possibile grazie a canali tematici free come la defunta Anime Gold. Oggi gli anime in TV si possono contare sulla punta delle dita, e chissà quando mai risentiremo le note di "Kanashimi yo Konnichiwa" o di "Ci-Ne-Ma" mentre impugniamo le bacchette...
Alt! Se l'opera da recensire è "Maison Ikkoku" è un conto, se si tratta di "Cara dolce Kyoko" allora sono un altro paio di maniche, poiché la traduzione italiana ha snaturato il significato dell'opera madre della Takahashi. Mi spiego meglio, passi per la pronunzia dei nomi non sempre corretta, passi per la penosa scelta del titolo, passi per il cambio di voci a serie in corso, ma sul fatto che Godai-kun si rivolge fin dal primo istante a Kyoko dandole del tu... Beh, questo è inaccettabile a parer mio. In Giappone è da sempre usanza rivolgersi a persone più anziane tramite il Lei, aggiungendo il suffisso "san".
Nel complesso l'atmosfera rimane un po' meno famigliare che nel manga, qui non si sosta mai troppo a lungo nel "tranquillo" tepore domestico della movimentata pensione, di fatto ci sono molte riprese all'esterno, con una miriade di scorci e accurati panorami sulle caratteristiche casupole del quartiere. Godai rimane imbranato e sognatore come la sua controparte in bianco-nero su carta stampata e il coetaneo (fisionomicamente gemellato) Ataru Moroboshi, infilando ruzzoloni a destra e sinistra e procurandosi craniate di fantozziana memoria. Queste e molte altre analogie con i film della commedia casinista e osé all'italiana si avvicendano nel prosieguo degli episodi. La procace e disinibita Akemi, con la sua sottoveste semitrasparente, sembra la controfigura dagli occhi a mandorla di Edwige Fenech.
L'utilizzo dei colori è adeguato, non poetico come nelle tavole a colori dell'autrice, ma fatto con ponderatezza e intelligenza, sfornando fondali dalle tonalità calde e accese, e personaggi rappresentati con tinte neutre, talvolta fredde, per aumentare il senso di prospettiva e dare profondità all'ambiente, anche se in certi casi sembra mancare quel tocco di armonia che lo avrebbero reso perfetto. In definitiva ci troviamo di fronte a una splendida sit-com solare e romantica, che non sfigurerebbe nemmeno nel decennio appena passato, nel presente, e nell'immediato futuro, con una rosa di comprimari tanto strambi quanto affiatati, resi un poco più 'plasticosi' e caricaturali da Yuji Moriyama (ma non è un difetto, era una regola nel passaggio tra manga e anime), e riportati poi a umane sembianze da Akemi Takada dal ventiseiesimo episodio fino all'epilogo.
E' sano e vero umorismo di una volta, che ci regala vizi e virtù di com'era lo studente giapponese medio che doveva sostenersi il soggiorno in città con pochi spiccioli (ma in quel caso bastava essere ricambiati dall'amata, tutto il resto veniva dopo) e poche aspettative per il futuro in una società rigida e schematica (l'unica trasgressione erano i consueti festini a base di alcolici organizzati dalla chiassosa Ichinose, supportata dal misterioso e invadente Yotsuya). Oggi, purtroppo, dobbiamo fare i conti con l’indifferenza, l'apatia, la volgarità, il rumore, il cyberbullismo, per questo "Maison Ikkoku" rimane uno dei gioielli, forse "la punta di diamante", degli anni '80.
Voto alla versione madrelingua: 8. Un punto in più dell'imbarazzante pastrocchio compiuto dai superficiali adattatori nostrani. Un punto in meno rispetto al manga serializzato dalla Shogakukan: è inarrivabile. Novantasei puntate animate (divise in tre tranche ben distinte) sono decisamente troppe. Quando si raggiunge tale cifra c'è il rischio che gli staff che vi si avvicendano diventino tasselli di un puzzle difficile da coordinare, e si rischia, come in questo caso, di trovarsi di fronte a storyboard poco interessanti (non per niente nel terzo e ultimo blocco era stato convocato Hideo Takayashiki, uno degli sceneggiatori più quotati dell'epoca) oppure con frame non proprio all'altezza (è bene ricordare che Akemi Takada non ha supervisionato i disegni, quel ruolo infatti cambiava di volta in volta, con visibili alti e bassi).
Alt! Se l'opera da recensire è "Maison Ikkoku" è un conto, se si tratta di "Cara dolce Kyoko" allora sono un altro paio di maniche, poiché la traduzione italiana ha snaturato il significato dell'opera madre della Takahashi. Mi spiego meglio, passi per la pronunzia dei nomi non sempre corretta, passi per la penosa scelta del titolo, passi per il cambio di voci a serie in corso, ma sul fatto che Godai-kun si rivolge fin dal primo istante a Kyoko dandole del tu... Beh, questo è inaccettabile a parer mio. In Giappone è da sempre usanza rivolgersi a persone più anziane tramite il Lei, aggiungendo il suffisso "san".
Nel complesso l'atmosfera rimane un po' meno famigliare che nel manga, qui non si sosta mai troppo a lungo nel "tranquillo" tepore domestico della movimentata pensione, di fatto ci sono molte riprese all'esterno, con una miriade di scorci e accurati panorami sulle caratteristiche casupole del quartiere. Godai rimane imbranato e sognatore come la sua controparte in bianco-nero su carta stampata e il coetaneo (fisionomicamente gemellato) Ataru Moroboshi, infilando ruzzoloni a destra e sinistra e procurandosi craniate di fantozziana memoria. Queste e molte altre analogie con i film della commedia casinista e osé all'italiana si avvicendano nel prosieguo degli episodi. La procace e disinibita Akemi, con la sua sottoveste semitrasparente, sembra la controfigura dagli occhi a mandorla di Edwige Fenech.
L'utilizzo dei colori è adeguato, non poetico come nelle tavole a colori dell'autrice, ma fatto con ponderatezza e intelligenza, sfornando fondali dalle tonalità calde e accese, e personaggi rappresentati con tinte neutre, talvolta fredde, per aumentare il senso di prospettiva e dare profondità all'ambiente, anche se in certi casi sembra mancare quel tocco di armonia che lo avrebbero reso perfetto. In definitiva ci troviamo di fronte a una splendida sit-com solare e romantica, che non sfigurerebbe nemmeno nel decennio appena passato, nel presente, e nell'immediato futuro, con una rosa di comprimari tanto strambi quanto affiatati, resi un poco più 'plasticosi' e caricaturali da Yuji Moriyama (ma non è un difetto, era una regola nel passaggio tra manga e anime), e riportati poi a umane sembianze da Akemi Takada dal ventiseiesimo episodio fino all'epilogo.
E' sano e vero umorismo di una volta, che ci regala vizi e virtù di com'era lo studente giapponese medio che doveva sostenersi il soggiorno in città con pochi spiccioli (ma in quel caso bastava essere ricambiati dall'amata, tutto il resto veniva dopo) e poche aspettative per il futuro in una società rigida e schematica (l'unica trasgressione erano i consueti festini a base di alcolici organizzati dalla chiassosa Ichinose, supportata dal misterioso e invadente Yotsuya). Oggi, purtroppo, dobbiamo fare i conti con l’indifferenza, l'apatia, la volgarità, il rumore, il cyberbullismo, per questo "Maison Ikkoku" rimane uno dei gioielli, forse "la punta di diamante", degli anni '80.
Voto alla versione madrelingua: 8. Un punto in più dell'imbarazzante pastrocchio compiuto dai superficiali adattatori nostrani. Un punto in meno rispetto al manga serializzato dalla Shogakukan: è inarrivabile. Novantasei puntate animate (divise in tre tranche ben distinte) sono decisamente troppe. Quando si raggiunge tale cifra c'è il rischio che gli staff che vi si avvicendano diventino tasselli di un puzzle difficile da coordinare, e si rischia, come in questo caso, di trovarsi di fronte a storyboard poco interessanti (non per niente nel terzo e ultimo blocco era stato convocato Hideo Takayashiki, uno degli sceneggiatori più quotati dell'epoca) oppure con frame non proprio all'altezza (è bene ricordare che Akemi Takada non ha supervisionato i disegni, quel ruolo infatti cambiava di volta in volta, con visibili alti e bassi).
Maison Ikkoku è probabilmente uno dei manga che parla di vita reale e amore più belli di sempre, da cui è stato tratto un anime stupendo, un opera CULT degli anni 80 insieme a Dragon Ball, Ken il guerriero, Saint Seiya, Kimagure Orange Road, Lamú, Gundam, Ranma e pochissime altre.
Il cane che guarda le stelle l'ho letto ultimamente grazie a Jpop, ed è un bel manga anche questo.
Maison Ikkoku è un'opera che ho sempre considerato estremamente profonda e romantica, anche per questa ragione ho sempre trovato odiosi e sconvenienti parecchi dei personaggi di supporto che non possono in alcun modo essere presi sul serio, tuttavia un 7 mi sembra una valutazione ingenerosa.
Ma perché poi?
Cosa centra il nostro doppiaggio con l'opera?
Sull'adattamento italiano dell'anime purtroppo bisogna stendere l'ormai classico velo pietoso, tanto è risaputo che all'epoca la pratica di martoriare i contenuti originali era di ordinaria amministrazione.
Gli altri non li ho ancora letti, conto di recuperare Il cane che guarda le stelle prima o poi.
Complimenti agli autori!
La valutazione dovrebbe rispecchiare l'opera in sé e non la versione italiana; se ha fatto schifo lo scrivi nella recensione ma non lo rendi un elemento di giudizio. A meno che le schede non siano due, versione originale e versione italiana; ma non mi pare sia così.
Aaaaaah gli anni 80 e i disegni di Akemi Takeda... quante gioie ci hanno dato!
L'anime di Maison Ikkoku a me piace quasi più del manga, perché anche se è un po' troppo lungo a mio avviso ha reso molto meglio una scena che nel manga perde il 99,9% della sua poesia. E poi la colonna sonora è stupenda!
Nella scheda avete specificato per primo il titolo italiano e x secondo quello giappo. Quindi x me trattasi della versione doppiata!
E mica te la puoi cavare così ora ci devi dire di quale scena parli! magari sotto spoiler eh..ho sempre avuto intenzione di comprare anche il manga prima o poi
Ok, te lo dico, anche se ero certa che si sapesse a cosa mi riferivo perché ho avuto modo di parlarne tempo fa! Allora ecco lo spoilerone, ma attenzione, se lo cliccherai leggerai tutti i dettagli!
Ed anche voi altri che lo cliccherete, dopo non lamentatevi, eh?
Nel manga in sostituzione c'è una scena molto squallida: Kyoko e Yusaku si trovano in un hotel ad ore, e stanno per andare a letto insieme. Si fanno la doccia a turno, poi vanno a letto e lui... ehm, fallisce miseramente perché è ossessionato dal fatto che lei ricorda Soichiro. Poi se ricordo bene (ho in parte rimosso la cosa) i due consumano in camera di lei in casa Ikkoku.
Sarà una situazione più realistica, ma rispetto alla scena dolcissima del manga, con quella bella colonna sonora e la scena che sfuma lasciando il seguito all'immaginazione, l'ho trovato molto, ma molto, ma molto squallida!
Personalmente poi non concordo proprio col definire squallide quelle scene, io le ho adorate, e mi sono arrabbiato tantissimo quando recuperando l'anime (che ho seguito dopo il manga) ho visto che avevano cancellato la scena d'amore tra Kyoko e Godai, perchè alla fine quello era, amore espresso fisicamente, non c'era niente di sconveniente nel mostrarlo, e trovo preziosissimo il confronto tra le due situazioni vissute da Godai nell'albergo e nella stanza di Kyoko, nel primo caso lui non riesce a superare il limite mentale autoimpostosi che lo rende incapace di reggere il confronto con l'inafferrabile Soichiro-san, nel secondo riesce invece a compiere il passo decisivo grazie all'invito inequivocabile di Kyoko: "Non voglio un sostituto di Soichiro-san! Pensa solo a me!", e al momento opportuno nei pensieri di Godai non c'è altro spazio che per il suo nome, Kyoko!
E' un ragionamento di parte ma io AMO quella parte di manga *___*, già solo pensare che l'anime l'abbia cancellata di netto mi farà preferire sempre la versione cartacea...
Si nell'anime quella scena è molto romantica..mi sono quasi commosso anch'io che non sono proprio un tipo che si commuove facilmente! forse ci son fin troppi clichè..mentre la scena che hai descritto nel manga di romantico ha poco però è più plausibile.
Comunque se scegli un hotel a ore solo una cosa devi fare...e non mi puoi fallire sul più bello XD vabbè son cose che capitano..povero Yusaku e anche povera Kyoko
Io comunque considero l'anime inferiore al manga, soprattutto per le personalità dei protagonisti. Kyoko è troppo perfetta, troppo sul "piedistallo", e Godai è troppo, troppo zerbino. Nel manga, perlomeno, qualche volta ci prova a dire la sua. Non capirò mai perché hanno eliminato la scena in cui Godai e Kyoko litigano e lui le dà dell'ipocrita, perché fa tanto la gelosa con Kozue mentre lei esce con Mitaka come se niente fosse. Bravo Godai! Applauso! Sarei entrata nel manga per dargli un bacio in fronte.
Anche Kyoko nel manga è più umana, vediamo spesso le cose dal suo punto di vista e viene presentata come una donna normale, con pregi e difetti, non quella specie di dea intoccabile dell'anime.
In che senso? Vivere negli anni in cui e' ambientati Maison Ikkoku in Giappone? Vivere in Italia negli anni in cui facevano l'anime di Maison Ikkoku?
In generale, italia giappone in primis
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