Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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10.0/10
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Inizialmente ho recepito Claymore come un semplice Berserk al femminile, l'ho pertanto snobbato fino alla visione della serie TV, che mi ha invece ben impressionato e convinto a prenderlo in mano nella sua edizione originale cartacea. Conoscevo già l'incipit della trama, la serie TV ne segue in modo abbastanza fedele i primi numeri, ma devo ammettere che il conoscere le Claymore, il passato di Claire e in particolare la parte di Teresa, è sempre un'emozione, ancor più nella sua versione originale.

L'inizio, seppur eccellente, è solo la premessa per una trama dall'ampio respiro, con tantissimi personaggi, alcuni nemici carismatici, una sviluppo degli eventi che vede il susseguirsi di intere generazioni di guerriere. Lo spunto è quello di un mondo fantasy in cui vi sono delle creature, gli yoma, dalle sembianze umane che si infiltrano nei villaggi, per poi trasformarsi e nutrirsi di carne umana. Per debellare questa minaccia un'organizzazione propone agli sfortunati che li incontrano di ingaggiare una strega dal capelli d'argento, ovvero delle ragazze metà umane e metà yoma, in grado di capire chi sono gli yoma e con la forza necessaria per sconfiggerli. Le cose non sono così banali, in quanto vengono posti sin dall'inizio degli interrogativi sul dove nascano questi yoma, sullo strano destino dei villaggi che decidono di non pagare il prezzo pattuito con l'organizzazione, ovvero l'essere attaccati e rasi al suolo dagli yoma, e sulle stesse guerriere. Claire tra l'altro è particolare, visto che è solo per un quarto yoma, e quindi sulla carta più debole delle altre.

Man mano che si conosce il mondo e le protagoniste, Claymore diventa sempre più intrigante. Ho appezzato in particolare come, sebbene Claire rimane il personeggio principale, pian piano emergano altre guerriere davvero interessanti, alle quali sono dedicati interi volumi. Buona parte dei volumetti è occupato dagli scontri, che sono sempre piuttosto impegnativi e vedono le protagoniste sempre combattere al limite. Si ha sempre l'impressione che le cose potrebbero volgere al peggio da un momento all'altro, non è raro infatti che qualcuno ci lasci le penne, anche personaggi ai quali si è avuto modo di affezionarsi. Ancor peggio della morte è il risveglio, che trasforma una guerriera a cui si era affezionati in un mostro assetato di carne umana. Verso la fine viene anche dedicato ampio spazio agli antagonisti, che se all'inizio sono mostrati come mostri stupidi e guidati solo dall'istinto di nutrirsi, proseguendo nella lettura dell'opera diventano razionali, in certi casi nobili, sicuramente intelligenti e in grado di formulare strategie efficaci.

Trovo Claymore ad ora il più riuscito esponente del genere dark fantasy che ho letto, soprattutto ha il grandissimo pregio di non continuare in eterno: racconta una storia e propone una ambientazione ampia e con parecchio respiro, ne analizza diversi spetti, offre momenti tragici e colpi di scena, ma riesce alla fine a chiudere il cerchio, mettere un punto di fine in modo efficace e convincente, senza trascinare la storia all'infinito, snaturandola come hanno fatto altri titoli illustri dello stesso genere.

Dal punto di vista tecnico il disegno sviluppa un grande miglioramento rispetto l'inizio, dove ha come principale difetto quello di faticare a differenziare le guerriere, alla fine sono tutte ragazze con i capelli argento e vestite in modo simile. Il problema tuttavia va scemando e sopratutto più avanti, quando le guerriere sono davvero tante, visto che ognuna ha una caratterizzazione propria e facilmente riconoscibile. I combattimenti sono molto dinamici e veramente ben resi, i fondali non sono certo il punto forte del manga, ma si hanno anche in questo caso significativi miglioramenti rispetto i primi volumetti.

Claymore mi è piaciuto, molto, ed è ad oggi uno dei miei titoli preferiti. Una di quelle saghe solide e ben raccontate, complesse e appassionanti, con tanta azione ma non lacunose di trama e personaggi carismatici. Finisce insieme a Fullmetal Alchemist tra quei titoli che consiglierò ad ogni amante degli shonen che vuole assaggiare qualcosa di adulto dei soliti Naruto, One Piece, ecc...

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Si sa, gli slice of life devono essere apprezzati per come si presentano, senza criticare l’andamento lento e cadenzato o i toni soffusi dell’intera vicenda. Sono fatti così, cambiandoli non si farebbe altro che deturpare uno stile originale e, a parer personale, molto bello. “Tanaka-kun wa Itsumo Kedaruge” fa proprio parte di questa categoria, anche se introduce alcuni elementi originali e innovativi. Uno slice of life che può essere inteso anche come commedia scolastica, e contiene quel pizzico di sentimentalismo capace di commuovere e intenerire, una storia candida e tranquilla, che rasserena gli animi degli spettatori e tranquillizza il pubblico. Non bisogna aspettarsi chissà cosa, ma riesce comunque a far colpo e conquistare.

La vicenda è tutta incentrata su Tanaka, un ragazzo alquanto pigro, che coglie ogni occasione per sonnecchiare. In classe, a casa, per strada... insomma, per lui la pigrizia è un’arte, e si è addestrato più che bene in tale disciplina. Al suo fianco c’è sempre Oota, suo caro amico, che, quasi come una madre, si preoccupa per lui e lo supporta (anche fisicamente). Il classico ragazzo d’aspetto “spaventoso”, ma dal cuore tenero. Insieme, trascorrono un’esistenza pacifica e tranquilla, l’ideale per quel pigro di Tanaka. Ma i bei giorni stanno per finire. Contro tutte le aspettative del nostro protagonista, arriveranno altri personaggi che, in un modo o nell’altro, scombussoleranno la sua esistenza e la renderanno sicuramente più movimentata. Tanaka non demorde e riesce comunque ad appisolarsi, ma, puntata dopo puntata, cambierà un po’... giusto un pizzico.

Rinnovo il mio avviso: a chiunque non piaccia lo stile degli slice of life sconsiglio di intraprendere la visione di tale serie. Non perché sia brutta, ma per il fatto che punta fortemente sull’aspetto “sonnolenza”. L’atteggiamento del protagonista è l’immagine stessa dell’opera, che non può che riflettere la sua pigrizia. Un andamento molto lento, ricco di silenzi, ma, per quanto mi riguarda, tutti questi momenti non appaiono per nulla vuoti, anzi...
I personaggi sono tutti ben caratterizzati; pochi tratti, ma forti e decisi, che ne permettono un’identificazione rapida e precisa. C’è il pigro e la super agitata, il tenerone e la finta delinquente, la ragazza scintillante e quella che preferisce restare più in ombra. Insomma, una buona varietà, che arricchisce l’intera vicenda e la carica di colori inaspettati.
Molto bello anche il tocco sentimentale, che, a modo suo, ha saputo donare un ulteriore tocco di classe a questa serie, rendendolo forse più che un semplice slice of life. Niente di così concitato, sia chiaro, ma sono bastati un paio di personaggi per donare quel calore candido e accogliente, capace di avvolgere lo spettatore e non lasciarlo mai. Se proprio si vuole fare i precisini, si potrebbe intravedere anche una relazione yaoi tra Tanaka e Oota, ma credo proprio che, più che altro, si cerchi di ironizzare questa “relazione”. Oota è una sorta di mamma premurosa, che vede in Tanaka il figlioletto. Si commuove per lui quando mostra atteggiamenti maturi e lo assiste nei momenti di maggior... sonno.

La grafica è bella, ma anche in questo caso si è cercato di assecondare i toni della vicenda: colori tenui e per nulla accesi. Si nota quasi un’atmosfera d’immobilità. Nonostante le varie disavventure, la situazione non è mai veramente agitata, e la grafica aiuta a rendere proprio tali sensazioni.
Ho amato l’opening, e con essa anche la colonna sonora in generale. Buona la scelta dei doppiatori, che riescono a esprimere alla perfezione l’essenza stessa dei vari personaggi.

Insomma, da come si è potuto capire, “Tanaka-kun wa Itsumo Kedaruge” mi è piaciuto molto e lo consiglio sicuramente a coloro che apprezzano tale stile. Non ci sono fantomatici nemici da sconfiggere, né triangoli amorosi strappalacrime. Il protagonista non è carismatico o dispensatore di battute... eppure riesce a conquistare il pubblico con la sua innocenza (e anche una buona dose di ragazze, che rimarranno colpite dalle sue frasi ad effetto).
Dodici puntate veramente belle, che rasserenano e tranquillizzano. La visione ideale per rilassarsi dopo una giornata di lavoro.

Voto finale: 8

9.5/10
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C'era un tempo in cui si guardava alla Natura con timore reverenziale e con senso di riscatto, non solo con odio. Una riflessione leopardiana ci riporta all'epoca in cui i vegani abitavano una stella lontana, e l'Uomo viveva ancora il suo ambiente come una frontiera da conquistare. In fede a questo contesto anche gli shonen e gli spokon si nutrivano del modello io vs rivale, laddove il rivale è l'altro indefinito da battere; sia un animale cui dare la caccia o una montagna da scalare... la Natura nella sua vastità come avversario, ma non come un nemico. Un'opera che rientra in questo schema è "Sampei".

Tratto dal manga di Takao Yaguchi (che vi inserì elementi autobiografici) del 1973, "Sanpei" (come vorrebbe la corretta forma) è la storia di un ragazzino che vive con suo nonno nel Giappone di provincia, lontano dalle metropoli futuristiche, dove la tradizione lascia un segno più forte sulla modernità. Secondo il topos narrativo dei giovani protagonisti manga/anime del secondo Dopoguerra, rigorosamente orfano, il giovane trova una sua identità, il suo riscatto, nell'attività che risulta virtuosismo, nonché modus vivendi: la pesca. Come gioco, come sport, come lavoro, come stile di vita, per il ragazzo tutti questi aspetti si riassumono e si sommano. In fede a questo, Sampei Nihira è l'enfant prodige di turno che fa del passatempo un'arte. Forte degli insegnamenti, dei trucchi e della "saggezza dei vecchi" del nonno, il protagonista vive la sua infanzia in un'eterna scoperta del Mondo, attraverso l'idillio di una nuova avventura dietro l'angolo. Quell'avventura che vive nell'eterno bambino che è in tutti noi, quella sete di orizzonti che Hemingway sentiva dalle colline dell'Africa richiamarlo alle imprese di Huckleberry Finn. Come lui, Sampei è chiamato a conoscere, ad esplorare, a vivere nuove esperienze, viaggiando, come Ulisse, per soddisfare quella parte di noi che non vuole trovare mai sosta. E anche per conoscere sé stesso, trasformando alla fine l'avventura nella ricerca del padre scomparso, chiudendo così, novello Telemaco, il ciclo omerico.

La sua crescita si espleta in un continuo confronto. Con i suoi amici; la coetanea Yurin e la spalla Shoji. Con i suoi mentori; il nonno Ippei in primis ma soprattutto Gyoshin, pescatore professionista, figura solitaria e ombrosa, nonché padre surrogato per il protagonista. Con i suoi rivali; tutte maschere che ad ogni puntata propongono una loro narrazione, alternativa, estranea, da studiare e da assimilare secondo la logica della sfida sportiva. E naturalmente il confronto per eccellenza, quello con la Natura, con gli elementi, con gli animali, forieri di esperienze e insegnamenti tanto quanto gli esseri umani.

Una narrazione, quella di "Sampei", che vive nel solco del romanzo di formazione, inteso anche come strumento educativo per lo spettatore, che viene istruito con gli occhi del protagonista attraverso digressioni, commenti, parentesi narrative che si adattano perfettamente alla trama. Trucchi, accorgimenti, dettagli tecnici, strategie, informazioni storiche e di costume sono la norma nelle puntate dell'anime. Il senso didattico non ha però particolari pretese, se non quelle di fornire allo spettatore una coscienza che cominciava allora per la prima volta a definirsi ecologica. Chiara è in tal senso la posizione degli autori: l'Uomo deve riconsiderare il suo posto nell'ambiente e trovare un suo equilibrio, pena la rottura di quell'armonia che dai tempi antichi permette la sopravvivenza di tutti. Un'armonia che nel mondo agreste, nella tipica contrapposizione con la Civitas, è intesa come una sorta di Pax deorum, che vede nelle leggi naturali un ordine divino. Emblematica in tal senso la figura del nonno Ippei, che, portavoce delle antiche tradizioni giapponesi, shintoiste e buddiste, veglia e consiglia tutti sull'importanza di tale sacro equilibrio. Il progressismo militante e ignorante corrisponde alla rottura di quell'equilibrio. Il messaggio ecologista di "Sampei" non risulta mai pedante o forzato, perché inserito in un contesto narrativo che ha una sua architettura.

La perizia con cui è realizzato l'anime permette di cogliere tutti i dettagli del disegno, rispettando lo stile del mangaka. Gli accorgimenti tecnici esaltano tanto gli sfondi (che suggeriscono la tecnica a stampa e l'acquerello) quanto le animazioni e i personaggi, campiti da un tratto netto ma sinuoso, e nervoso nelle scene d'azione, dando agli slanci e agli effetti visivi una forza espressiva che ricorda le opere di Sanpei Shirato. L'animazione è resa ancor più efficace dalla regia che col sapiente uso della trama riesce a mantenere alto il livello della tensione. Tensione magistralmente sostenuta dalle musiche di Hiroyuki Yamamoto e Komei Sone che usano con astuzia le note, dando ad ogni scena la sua collocazione emotiva, per poi esplodere in un crescendo, con effetti sonori che hanno sapore cinematografico.

Il regista Yoshikata Nitta ha infatti confezionato un piccolo gioiello che ha la sua forza nelle scene d'azione. Lo spokon giapponese medio, infatti, può godere di un'enfasi, figlia dello stile teatrale, che lo trasforma in una sorta di poema epico dove le emozioni, le percezioni e soprattutto l'azione sembrano avere vita propria, sciogliendosi completamente dalle esigenze della logica e ritagliandosi un quadro personale, come le illustrazioni di un libro o la splash page di un fumetto. E in "Sampei" questo stile potrebbe fare scuola. La forza assoluta dell'opera è resa tutta in quel climax, che in ogni puntata blocca la trama (spesso con fermi immagine o effetto rallenty) in quel nodo (narrativo o scenico) che focalizza tutta l'attenzione. Il risultato è tale, che l'anime trova un valore aggiunto. Il richiamo a temi come l'ecologia non impedisce di condire il tutto anche con sfumature avventurose o addirittura, grazie al richiamo delle tradizioni antiche, con toni da folklore tendenti al mistery, al soprannaturale e all'horror. Quello di "Sampei" dunque diventa un incontro/confronto con realtà che non possono essere completamente dominate dall'Uomo. Il cacciatore/pescatore deve sottomettere la sua cerca a leggi più grandi di lui. Il tema dello scontro con la Natura conferisce così all'opera maggiore spessore, svincolandola dai rigidi schemi di genere avventura, sport, ecc. I temi, il ritmo, l'azione permettono a "Sampei" di essere un po' "Lo Squalo", un po' "Il Vecchio e il Mare", un po' "Capitani Coraggiosi", un po' "Moby Dick". Uscendo dai soliti canoni, risulta così un'opera completa, che soddisfa più interessi, godibile anche per chi non sa o non vuol sapere nulla della pesca.

Uno scorcio di passato prossimo (quando erano meno comuni buonismi e ambiguità) nel quale erano però già in nuce tutte le complicazioni del presente, annidate sotto la superficie dell'acqua, pronte a guizzare fuori e a tirare la lenza con la forza che trascina via i tempi in cui bastava "un cappello giallo in testa, sotto il sole e sotto la tempesta".