Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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Arisu Sakaguchi si è appena trasferita in città e subito incontra delle difficoltà. Data la sua estrema timidezza non riesce a fare amicizia con nessuno e come se non bastasse ha come vicino di casa un bambino, Rin Kobayashi, che si diverte molto a farle dispetti. L'unica consolazione di Arisu sono le piante e i fiori, con cui riesce misteriosamente a comunicare. Un giorno, mentre si trova nel giardino della scuola, sorprende due suoi compagni, Issei e Jinpachi, in atteggiamento equivoco.
I due ragazzi però cercheranno di farle capire che non sono amanti ma che la loro "intimità" è dovuta al fatto che da qualche tempo condividono gli stessi sogni... Queste le premesse di questa storia, ben più complicata di quel che sembra, la storia di sette ragazzi che scoprono di aver condiviso una vita precedente su una base lunare.

"Proteggi la mia terra" arrivò in Italia nel lontano 1998, e c'è da dire che la Planet Manga fece un scelta audace per quei tempi, dove a dominare il mercato erano opere che avevano goduto di una trasposizione animata arrivata anche nel nostro paese. "Proteggi" quindi non fu accolto benissimo, ma fortunatamente la pubblicazione fu portata a termine. Io a quei tempi non conoscevo nulla dei manga e solo molto tempo dopo ho potuto conoscere questa storia. Le recensioni entusiaste mi fecero desiderare una ristampa, ma quando ho capito che la Planet non era intenzionata (sigh) ho deciso di recuperare i vecchi volumi.
Un acquisto felice! Infatti quest'opera è senza dubbio tra le mie preferite. Saki Hiwatari ha saputo ben orchestrare questa storia, innanzitutto perché non ha lasciato nulla al caso ma ha fatto un lavoro preciso e completo senza andare nello scontato, ed è inoltre sviluppata in un crescendo di emozioni.
Il tutto accompagnato da personaggi davvero ben caratterizzati. I sette ragazzi della base lunare ci vengono mostrati in tutte le loro sfaccettature, nei loro sentimenti e paure e l'idea di mescolare passato e presente rende il tutto ancora più avvincente (e ovviamente complicato). Interessante vedere come il modo di vedere le cose o il modo in cui i personaggi vivono i propri sentimenti sia deviato e influenzato dalle proprie esperienze passate, e anche se alcuni di questi (fra tutti Mokuren e Shion) siano difficili da comprendere sono anche molto "umani", e quindi credibili.
Il tratto della Hiwatari, sebbene all'inizio non sia molto bello, migliora volume dopo volume. Tra le cose che di più ho apprezzato sono le espressioni degli occhi, dove traspaiono in modo chiaro tristezza, amore e soprattutto rabbia e vendetta (come quelle del "cattivo" di turno, che io adoro). Inoltre anche le ambientazioni sono ben fatte e ricche di particolari, infatti si è sempre in grado di capire dove si trovano i vari personaggi.

Sebbene nel mio cuore questa storia sia valutata con un bel 10, devo oggettivamente ammetterne qualche difetto. In primis l'edizione italiana, che lascia a desiderare. I volumi sono presentati nel fastidioso formato "sottiletta", e questa scelta editoriale influisce anche sulla continuità della storia (alcuni capitoli vengono tagliati per essere poi continuati nel volume successivo). Anche la rilegatura non è delle migliori, basti pensare che ogni volta che si apre un numero un rumore di "crack" sembra avvisarti che il pericolo che si scolli tutto è imminente.
Per quanto riguarda l'opera in se il difetto forse più grande sta nel fatto che è difficile immedesimarsi nelle storie dei protagonisti, soprattutto gli amori che ci vengono raccontati sono così irrazionali e vanno oltre il comune senso della morale che molti lettori potrebbero non apprezzare.
Per questo motivo mi sento costretta a dargli un 8 ma invito i più scettici a dargli una possibilità, perché "Proteggi la mia terra" merita!


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“Fantastic Children” è una serie anime del 2004 composta da ventisei episodi. Mi rendo conto che è un titolo passato totalmente inosservato e che conoscono in pochissimi (purtroppo, aggiungerei), nonostante sia una perla vera e propria. Premetto subito che parlare di questa serie sarà difficilissimo, sia per il vortice di emozioni che inevitabilmente genera, sia perché elencare i punti forti equivarrebbe a fare spoiler che rovinerebbero la visione.
Innanzitutto, una premessa sul chara design. So già che molti storceranno il naso nel vedere i disegni, che sembrano usciti da un anime degli anni settanta, più che dal post 2000. La semplicità con cui i personaggi sono stati disegnati, in contrapposizione allo splendore dei paesaggi proposti di volta in volta, è sicuramente voluta e non dovrebbe in alcun modo allontanare il pubblico. Personalmente, ma è solo una teoria, credo che la semplicità del disegno voglia mostrare la storia come una sorta di favola per adulti. Come in ogni favola, i disegni semplici servono ad essere metabolizzati meglio dai bambini che riconoscono nella principessa la bella ragazza e nel cattivo l’omino con la faccia brutta e il naso incurvato. Era la stessa cosa che avevo pensato per altre opere, come il film “Metropolis”, dove si presenta una favola per adulti, senza bisogno di puntare su un chara accattivante.
E, in effetti, “Fantastic Children” non ha bisogno di quello per attirare, perché può contare, indubbiamente, su moltissimi fattori, tra cui atmosfere seducenti, personaggi perfettamente caratterizzati e una storia che evolverà in maniera lenta ma ipnotica, snodandosi in continui colpi di scena ben strutturati.
“Fantastic Children” è uno sci-fi drammatico, che affronta tantissime tematiche, riprendendole soprattutto dal folklore orientale (elencarle, però, sarebbe spoiler, onde per cui eviterò). Se le prime puntate risultano incredibilmente lente, ciò non significa che non spingano lo spettatore a voler assolutamente andare avanti, per trovare risposte alle mille domande che la storia pone. Ogni episodio è un tassello perfetto di un enorme puzzle. Caotico e incomprensibile all’inizio… Eppure ogni cosa trova il suo giusto posto, mano a mano che si prosegue la visione. Ogni domanda ha la sua risposta.
I personaggi stessi rappresentano i vari quesiti. Tutti sono slegati tra di loro e apparentemente non c’entrano niente l’uno con l’altro. Ciascuno ha il suo obiettivo, tutti cercano qualcosa e molti non sanno neanche di cosa si tratti. Tutti sono semplicemente accomunati da un angosciante senso di malessere che li attanaglia da sempre e che li spinge a intraprendere dei viaggi alla ricerca di ciò che potrebbe colmare quel senso di vuoto. Capita spesso che si pongano delle domande sulla vita, su di loro, sul passato o sul futuro… Domande banali che però permetteranno allo spettatore di affezionarsi all’uno e all’altro. Persino quelli che dovrebbero apparire come gli antagonisti riescono in qualche modo a suscitare la pietà di chi li guarda.
Oltre a personaggi costruiti perfettamente, che evolvono lentamente ma in maniera coerente e costante, anche i colpi di scena della serie sono da lodare. Per quante teorie si facciano, difficilmente si riuscirà ad indovinare quello che sta per accadere. Pur essendo una trama che segue 500 anni di storia, non ci sarà un solo episodio che annoi, non un solo episodio inutile. Se non altro, anche quei pochi momenti che non mandano avanti la trama riescono a risultare affascinanti per le atmosfere suggestive e i sentimenti provati dai vari personaggi.
Anche dal punto di vista delle OST non si può muovere alcuna critica. Sia opening che ending sono incredibilmente poetiche e le OST che compaiono durante gli episodi, e che si rifanno al motivo strumentale della ending, accompagnano in maniera perfetta sia i momenti più lenti e poetici, sia quelli più ritmici.


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Il ciangottio delle masse è forse il peggiore dei mali per una serie animata e, quando questa parte dal presupposto di voler dare alle masse esattamente ciò che esse richiedono, il rischio è forse anche maggiore. Si sa, la polemica è la regina delle pubblicità in casi come questi, e non stupisce che “Re:Zero”, di polemiche, ne abbia sollevate parecchie nei forum e nei blog a tema, tra chi lo eleva a nuovo capolavoro dell’animazione e chi a gioiello di realismo psicologico, azzardando spesso e volentieri paragoni ben oltre il limite di pertinenza di questo. Anche perché di suo, “Re:Zero”, aggiunge poco o niente alla carne già messa al fuoco dai predecessori illustri, prendendo a piene mani dalla corrente fantasy che vede in “Sword Art Online” il proprio archetipo - e, se possibile, eguagliandone pure il primato in fatto di infatuazione del fandom - e rubacchiando pari pari l’espediente del loop temporale da opere come “All You Need Is Kill”, giusto per citarne una; il sapore fresh è presto servito a chi di animazione ne mastica poco o facilmente si lascia abbagliare e circuire da uno scialbo cambio d’abiti, talvolta troppo impegnato a ricercare analogie barocche per squarciare il velo della sovra-interpretazione e scovare la verità che sta a un palmo dal suo naso.

Dal canto suo, la più grande delle colpe di “Re:Zero” è quella di prendersi troppo seriamente, provando e non riuscendo a caratterizzare i personaggi in modo credibile in risposta alle vicende che essi affrontano, e mandando in fumo la bella atmosfera creata dal setting piacevole e curato, e da un comparto tecnico abbondantemente sopra la media, persino nell’uso della CGI. Con pretensione e malizia, infatti, gli autori amano dilettarsi un po’ troppo col proprio protagonista - e perché no, anche con lo spettatore - imprimendogli in primis i connotati del ragazzo comune in cui il pubblico ama riconoscersi - e per il quale non per forza deve provare empatia, termine più che abusato di questi giorni -, per poi trascinarlo nell’insensatezza di una follia cieca e immotivata; ciò che ne risulta è una sterile personificazione dei vizi umani in toto, scaturita all’improvviso e senza presupposti, dalla quale similmente egli riesce a guarire, non senza l’harakiri della sceneggiatura, però, in quell’osannato diciottesimo episodio. Perché gli osanna del pubblico, di fatto, non hanno tardato a palesarsi, tanto inebriato questo dalla fatiscente, fascinosa involuzione del personaggio.
È questo che non va: non tanto l’atteggiamento imbarazzante del protagonista, non i flashback dei personaggi secondari, piazzati lì con preterintenzione giusto per suscitare qualche lacrimuccia, nemmeno il rossore e l’imbarazzo delle protagoniste, elevate a feticci, atto solo a solleticare le fantasie dei meno casti. Se si perde la consequenzialità logica delle azioni dei personaggi, cosa resta? Le sensazioni e le emozioni così facilmente volubili, con cui lo spettatore viene giocato, l’epica degli scontri e la qualità tecnica già menzionata non sono certo sufficienti a reggere soli la sceneggiatura e l’intreccio, ma paiono bastevoli per divenire domma della validità della serie agli occhi dei più, risparmiando allo staff la fatica di un adattamento con più sostanza e meno cliffhanger, che non obblighi a prendere in mano l’opera originale per vedere chiariti i propri dubbi - ammesso e non concesso che almeno questa sia esente da dolo.

E siamo arrivati al punto cardine della recensione. C’entra quel tormentone che tanto va di moda, quello dell’invettiva contro l’animazione contemporanea, e più di tutto c’entrano i fan. O per meglio dire i fanboy, quelli tutti occhi e velo di prosciutto davanti, quelli delle metafore forzate a cui alludevo prima, quelli dei sermoni verbosi senza capo né coda. Il web è letteralmente ammattito per “Re:Zero”, facendo valere quella massima un po’ desueta, “vox populi, vox Dei”, e imponendo come verità i pensieri e le interpretazioni dei più fanatici tra i fan, senza considerare che, mentre la saggezza deriva dalla capacità di farsi delle domande, la stupidità della gente viene dal pretendere di avere una risposta per ogni cosa - parafrasando Kundera.

“Re:Zero” non è nulla di nuovo, nulla di rivoluzionario e nulla di spregiudicatamente complesso e realistico; è solo l’ennesima operucola otaku-oriented che come un abile prestigiatore di strada riesce a farsi beffa di un pubblico sufficientemente credulone da incantarsi ed esaltarsi per l’ennesima variante del gioco della pallina sotto ai bicchieri.