Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

8.5/10
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“Canaan” è un anime prodotto nel 2009 dallo studio P.A. Works. Composto da tredici episodi, esso è ispirato a uno scenario della visual novel “428: Fuusa Sareta Shibuya de” scritto da Kinoko Nasu della Type-Moon.

Maria Osawa, aspirante fotografa, si reca a Shangai assieme al reporter Minoru Minorikawa per realizzare uno scoop giornalistico. Qui la ragazza rincontra Canaan, un’abile mercenaria che un tempo l’aveva salvata da alcuni molestatori. Le due protagoniste saranno coinvolte nei loschi affari dei “Serpenti”, terroristi guidati dalla misteriosa Alphard.

Il primo episodio di “Canaan” è veloce e confusionario, presenta una miriade di personaggi e insinua fin da subito un’enorme quantità di misteri nella mente dello spettatore. Ad un primo impatto l’anime sembrerebbe la solita opera “tutta muscoli e niente cervello”, che vuole farsi bella agli occhi del pubblico con spettacolari scene d’azione e tiratrici in gonnella con gli attributi. Non si può certo negare che una delle anime dell’opera sia proprio questa, ma è pur vero che essa riesce a farsi ricordare per tante altre ragioni dotate di notevole spessore. Tra fughe rocambolesche e crivellamenti che non permettono certo di annoiarsi, la storia di un vecchio villaggio e i suoi abitanti riesce infatti a dipanarsi tra le caotiche vie di Shangai. Si tratta di una vicenda dalle serie conseguenze etiche, oscura ad inizio serie, ma man mano più chiara col procedere degli episodi.

Tale vicenda abbraccia tutti gli attori che agiscono sul palco di “Canaan”, nessuno escluso. Ciascuno di essi, anche il più eccentrico o il più spensierato, ha un preciso ruolo all’interno dell’intricata situazione. Un altro aspetto essenziale dell’opera, forse quello più affascinante, è dunque rappresentato dai vari personaggi. C’è chi si aggrappa ancora al proprio passato e non riesce a superarlo e chi deve fare i conti con la sua attuale condizione; chi non può smettere di andare avanti perché è stato trascinato dentro con la forza e chi ancora deve trovare il modo per brillare si luce propria. Tutti, protagonisti e comprimari, godono di un’ottima introspezione psicologica, che li rende veri e coerenti fino alla fine. C’è da dire, comunque, che la fedeltà al proprio personaggio inizia a diventare problematica quando si tirano in ballo le figure più esagerate: Liang Qi, ad esempio, avrà “il suo momento” in una delle scene da me meno gradite, quasi di cattivo gusto. Da segnalare, inoltre, le numerose e variegate relazioni che si intrecciano tra i vari soggetti, dal dolcissimo legame di amicizia che unisce Maria e Canaan all’amore tra Santana e Hakko, bisognoso di poche parole.

Il comparto tecnico si attesta su buoni livelli. I disegni non subiscono mai cali importanti e le animazioni fluidissime riescono a rendere al meglio le scene d’azione. Perfetti, come sempre, gli sfondi made in P.A, Works. Le musiche svolgono il proprio lavoro ma non risultano memorabili; stessa cosa dicasi per opening ed ending.

Insomma, tanta carne al fuoco e tanti misteri per l’inizio di “Canaan”: il suo svolgimento, però, sarà simile ad un viaggio in cui lo spettatore dovrà (forse con un po’ di impegno) mettere tutti i tasselli al posto giusto. Un percorso nel quale conoscerà i vari personaggi per poi seguirli nel raggiungimento dell’agognata meta, dove ognuno, o quasi, avrà ottenuto la risposta tanto attesa. Il tutto accompagnato da una buona dose di azione, che intrattiene a dovere, e magari qualche esagerazione di troppo. Voto: 8 e mezzo.


9.0/10
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Devil Lady è non solo il manga più difficile da giudicare che abbia mai letto, ma proprio il fumetto in generale più complesso da recensire fra quelli incontrati, per il fatto che neanche io sappia con esattezza cosa pensare: dopo la sua lettura ciò che rimane è il senso di smarrimento.

Nasce probabilmente come una versione erotica e femminile di Devilman, i primi volumi presentano una linearità nella trama che fanno apparire l'opera monotona e a tratti banale, se non per qualche sparuta spiegazione sui fenomeni paranormali che avvengono nel mondo. Un uomo o una donna diventa un mostro stupratore le cui uniche ambizioni sono il sesso e la violenza (abbinamento pericoloso nelle mani di Go Nagai), arriva Devil Lady che dopo un'iniziale titubanza sull'uccidere o meno viene attaccata o stuprata, capisce sulla sua pelle che l'indecisione non porta alcun beneficio e sconfigge la creatura di turno.

Di questa prima parte ho apprezzato il disegno di Nagai, che quando si tratta di rappresentare atmosfere cupe e mostri onirici provenienti dagli incubi degli uomini è semplicemente insuperabile, ma anche perché le storie in sé non sono unicamente semplice intrattenimento e la psicologia della protagonista è da subito ben sviscerata. Insomma, dall'inizio il manga presenta spunti interessanti che però non sono sufficienti a farne una buona opera: la trama ripetitiva alla lunga stufa, la carenza di personaggi si fa sentire, e un finale su cui andare a parare fanno presupporre al lettore che l'opera si stia indirizzando irrimediabilmente verso una parabola discendente.

No, niente di più sbagliato. Go Nagai ha ancora tutte le cartucce da sparare; dal sesto volume, pressappoco, c'è una svolta completa: l'impostazione episodica viene scardinata, si capisce che c'è tutto un disegno dietro dell'autore, il quale inizia a lasciare frammenti di quel puzzle che solo alla fine andranno a combaciare. La trama si infittisce, nuovi misteri, quesiti, colpi di scena, personaggi sia partoriti per Devil Lady sia provenienti dalle opere precedenti di Nagai (in particolare presi da Mao Dante, Devilman e La divina commedia)… Ammetto che sebbene Go Nagai sia un ottimo narratore, questa volta non è sempre riuscito a gestire bene tutti gli elementi che aveva disseminato, alcuni sono stati gestiti magistralmente, altri ignorati.

Le pagine, col proseguire dei volumi, vengono ancor più intrise di violenza e sesso fino alla descrizione di scene surreali non adatte a uno stomaco debole. Evito qualsiasi forma di spoiler sullo sviluppo successivo della trama. Ho già detto poco sopra che questo manga è difficile da recensire per un valido motivo: quando lo finisci non si sa se ci si trova davanti a uno dei più grandi capolavori del Maestro (al pari di Violence Jack o Devilman) oppure a una “tamarrata” di prima categoria, al delirio di un pazzo (perché Go Nagai è pazzo, lo sapevo già da alcune delle sue opere precedenti ma in Devil Lady va ben oltre la soglia della decenza). Fra un paio di tette, un sedere e un combattimento fra mostri, il Maestro snocciola discorsi filosofici e filologici a non finire sul male, il bene, l'animo, la debolezza e l'egoismo umano.

Il finale infatti è qualcosa su cui è impossibile dare un parere univoco, si può odiare o amare alla follia a seconda di come lo si vuol vedere, innegabilmente gli ultimi due/tre volumi sono cosparsi di colpi di scena assurdi che spiazzano in continuazione il lettore. Personalmente ho amato sia l'opera nel suo complesso che il finale e la considero il capitolo conclusivo di tutte le saghe demoniache di Nagai, immancabile nella libreria di un amante del genere nagaiano nella sua forma più pura e folle. Non consiglio assolutamente questo manga a tutti, lo consiglio ai pochi che abbiano letto più di una volta sia Devilman che La divina commedia che Mao Dante, amandoli tutti, lo consiglio insomma solo ai fan del Nagai più oscuro e depravato; ritengo infatti che un lettore che si avvicina per la prima volta al Maestro o che comunque ha conosciuto solo le sue opere più edulcorate e commerciali ne resterebbe schifato, complice anche un'incompleta comprensione dell'opera. Devil Lady è un fumetto per fan e basta, gli altri stiano alla larga.


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“Principessa Mononoke” (titolo originale “Mononoke Hime”) è un film d’animazione giapponese del 1997, scritto e diretto da Hayao Miyazaki e prodotto dallo Studio Ghibli.

Trama: quando un enorme cinghiale, tramutatosi in dio maligno, cerca di attaccare il villaggio dell’intrepido Ashitaka, il giovane, dopo aver tentato invano di placare la bestia, non vede altra soluzione che abbatterla, venendo però infettato dalla stessa maledizione che aveva colpito quest’ultima. Dopo aver saputo di non avere alcuna speranza di guarigione, Ashitaka parte dunque verso ovest, donde proveniva la divinità animale impazzita, per “discernere con pupille non offuscate” quanto stia accadendo in quelle terre lontane e per trovare una possibile cura.
Giunto a destinazione, si ritroverà coinvolto nell'aspro conflitto tra un produttivo villaggio siderurgico, comandato dalla carismatica nobile Eboshi, e gli dei protettori della foresta, che gli uomini distruggono per alimentare i fuochi delle fucine e la loro crescita. Qui incontrerà anche San, la Principessa Spettro del titolo, una ragazza inselvatichita e appartenente alla stirpe dei cani selvatici.

La bellezza di questo lungometraggio sta innanzitutto nella sua profonda maturità, che va al di là della violenza brutale e dei fiumi di sangue che scorrono copiosi su schermo e avvolge temi e personaggi nella loro interezza. Il film, anziché proporre una trita e bicromatica morale ambientalista (Natura buona, Uomo cattivo), pone l’accento sull'odio incondizionato, sull'oscurità che esso genera e sulle sue terribili conseguenze.
Gli uomini si sono espansi, i fumi della loro industria anneriscono il cielo e gli scarti della produzione inquinano le acque, ma la Somma Eboshi, ben lontana dallo stereotipo di villain crudele e insensibile, è un faro per tutti i reietti della società, un simbolo per l'emancipazione femminile e un baluardo contro le angherie di quei briganti e samurai che arrossano il suolo di un Giappone feudale turbolento. Il suo desiderio di creare una comunità florida e sicura è assolutamente condivisibile. Gli altri antagonisti, inoltre, sono spinti dalla propria sete di conoscenza, dall'intrinseca aspirazione dell’uomo a trascendere i limiti della propria natura e addentrarsi in territori ignoti.
Le divinità animali, sia cinghiali che lupi giganti, che incarnano il rispetto e la difesa dell’ecosfera e delle tradizioni minacciate dal progresso, sono forti e alteri, ma, allo stesso tempo, feroci e arroganti. La loro simbiosi spirituale con la natura, dalla cui distruzione sono toccati direttamente e dolorosamente, rende le loro sofferenze tangibili e atroci, ma non giustifica la possessività con cui si riferiscono alle foreste e alle montagne, che considerano loro dominio esclusivo, non condivisibile con nessun altro. Accecati da disprezzo e risentimento, non si dimostrano spesso migliori dei loro nemici.
A questo proposito, risulta alquanto inusuale la scelta di intitolare il film a San, la quale, sostenendo ripetutamente la propria natura ferina e professando la propria ostilità eterna nei confronti degli umani, si manifesta come il fulgido esempio degli effetti negativi di pregiudizi e rancore.
Ashitaka, al contrario, abile e coraggioso, perfetto eppure fallibile, è l'emblema del messaggio positivo del lungometraggio: abbandonando un'oasi di pace e fratellanza per un mondo in subbuglio, comprende le posizioni di tutti e, pur non avendo una risposta ad ogni problema, cerca in ogni modo di raggiungere un equilibrio e un dialogo costruttivi, ben conscio delle sofferenze che l'odio porta ad entrambe le fazioni. Ashitaka è indubbiamente un degno successore di Nausicaä, valoroso e disposto al sacrificio per un bene superiore.
Miyazaki riesce dunque a creare un cast di figure estremamente complesso e affascinante nel suo insieme, in cui ogni punto di vista è legittimo e in cui non è possibile stabilire inequivocabilmente chi abbia ragione e chi torto.

Il comparto tecnico raggiunge vette qualitative altissime e impressionanti.
Le animazioni sono fluide e dinamiche, capaci di illustrare alla perfezione sia i movimenti più semplici di personaggi umani e animali sia la concitazione delle scene d’azione. La stessa regia si dimostra calma e riflessiva o più rapida e frenetica a seconda delle circostanze.
Il character design, conservando gli storici lineamenti morbidi ed eleganti, si fa ancora più ricco, con un’attenzione maniacale anche per i minimi particolari, specialmente per quanto riguarda gli dei-bestia, imponenti e terribili. Volutamente inquietante è anche l'aspetto della metamorfosi maligna, che ben descrive la sensazione soffocante e strisciante della possessione di questi enormi animali da parte di sentimenti di pura negatività. I fondali rapiscono per l’elevato livello di dettaglio, per la maestosità dei paesaggi naturali e per la bellezza struggente e suggestiva di alcuni scorci. Semplicemente ottimi gli effetti di luce e l'utilizzo dei colori, tendenzialmente vivi senza essere brillanti.
Occorre anche sottolineare come l’animazione tradizionale si sposi alla perfezione con quella generata al computer, estremamente discreta.
La colonna sonora, ancora una volta composta da Joe Hisaishi, è magniloquente e grandiosa, perfetto sottofondo musicale per una vicenda eroica e drammatica, che accompagna con brani sempre adeguati ad ogni sequenza. Il doppiaggio italiano, rieditato nel 2014 a cura della Lucky Red, è semplicemente eccelso e il tono aulico delle espressioni utilizzate non fa che incrementare il valore epico della storia, che assurge allo status di autentica leggenda immortale.

“Principessa Mononoke”, tranquillamente inscrivibile tra i racconti mitologici e folkloristici più avvincenti ed emozionanti, non teme di sottoporre lo spettatore a una serie di eventi traumatici e negativi, esponendo con grande potenza narrativa e visiva la condanna universale verso l’odio incondizionato e il rifiuto del rapporto armonioso tra ecosistema e umanità. A differenza di “PomPoko”, tuttavia, all'evidente pessimismo per il presente viene affiancato l’ottimismo per il futuro, segno che non si è definitivamente persa la speranza per una convivenza pacifica e fruttuosa tra Natura e Uomo.
Un capolavoro e una delle opere più mature e affascinanti tra quelle dirette da Miyazaki e non solo. Da vedere.