Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

4.0/10
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Vi sono opere che analizzano in profondità il tema del disagio giovanile. Queste opere scandagliano il problema del desiderio di indipendenza dai genitori e al contempo il bisogno della propria famiglia; la difficoltà di trovare un posto nel mondo, quando il mondo globalizzato è sempre più grande eppur sempre più inospitale; la difficoltà a comunicare con i “grandi”, ma anche con i coetanei; la scuola, le difficoltà nello studio e molto altro.
“Koi to Uso” non parla di disagio giovanile, ma causa disagio giovanile: in teoria è un'opera destinata a un pubblico giovane; e un giovane, con molta probabilità, si sentirà a disagio nel vedere un qualcosa di tal scarsa qualità. In effetti anche chi ha sulle spalle qualche anno in più potrebbe sentirsi allo stesso modo, quindi si può affermare che “Koi to Uso” è causa di disagio in generale.

Chiuso il preambolo un po' magniloquente, si può passare a discutere dell'opera.
L'ambientazione di “Koi to Uso” (“Love and Lies” come titolo internazionale) è al 99% aderente a quella del mondo giapponese odierno, con una “piccolissima” differenza: i matrimoni sono combinati dal governo, che calcola le affinità fra persone e sceglie le coppie più compatibili (per combattere il decremento delle nascite, tema effettivamente attuale nel Paese del Sol Levante). Il primo dilemma che potrebbe balenare nella vostra testa è il seguente: “Come può il mondo essere una copia quasi esatta del nostro con un elemento del genere, che certamente porterebbe grossi cambiamenti in ambito sociale? Deve pur esserci un cambiamento, anche minimo, in atto!” Tuttavia l'autore non si è fatto le stesse domande che vi state facendo, e non vi è assolutamente nulla che non vada nel mondo in cui è ambientata l'opera, a parte nella testa del protagonista.
E qui iniziano i veri dolori. Il protagonista è la classica ameba subumana che ammorba moltissimi anime recenti: egli è stupido e non ha nessuna qualità apparente o qualsivoglia attrattiva. Sarà dunque impossibile immedesimarsi con lui, a meno che non siate l'emblema della mediocrità (o dell'inferiorità) galoppante. Yukari, questo è il suo nome, ovviamente ama una ragazza bellissima e decisamente ben fornita, e ovviamente il sentimento è reciproco (cosa che evidentemente accade solo negli anime). Ma il sistema governativo, che non è incline a soddisfare i suoi desideri, opera per lui una scelta differente (anche se vi è un certo mistero dietro l'avvenimento), aggiungendo una seconda ragazza all'equazione. Chiude il gruppo un ragazzo, amico del protagonista, il quale nutre un fortissimo affetto di amicizia per la nostra amata nullità (pur essendo dotato di qualità e attrattiva). Anche qui si potrebbe parlare dei soliti misteri degli anime, ma in questo caso si avrà una rivelazione. Che ovviamente aprirà a nuovi quesiti.

Se il protagonista e i personaggi di corredo non sono il massimo (alla fine gli altri risultano elementi standard piuttosto dimenticabili), non si può certo dire che la sceneggiatura faccia miracoli. Mentre mi appresto a scrivere questa recensione, io, che ho seguito l'opera in contemporanea, mi sto chiedendo “Cosa è accaduto nell'anime?”. E fatico veramente molto a far riaffiorare ricordi di avvenimenti importanti. E la realtà è proprio questa: “Koi to Uso” è un nulla che scorre placidamente, con nemmeno la presenza di un finale degno di questo nome (del resto il manga è in corso) che possa salvare il (poco) salvabile. L'opera si trascina stancamente aggrappata alle dinamiche del triangolo amoroso, unico vero elemento tangibile dell'opera, con parecchi siparietti inutili e trivialità dimenticabili a corredo.
Per peggiorare le cose, la regia piatta e poco efficace contribuisce alla già elefantiaca pesantezza degli episodi, rendendo oltremodo noioso ciò che non era per nulla esaltante fin dal principio.

Se dal punto di vista contenutistico l'opera mostra il fianco, purtroppo queste mancanze non sono minimamente compensate dal comparto tecnico. Il disegno è alquanto superficiale, cosa che mina l'espressività dei personaggi (ma fortunatamente l'opera è banale, e ai personaggi l'espressività non serve), senza contare le animazioni di livello medio-basso che faranno storcere il naso più di una volta. Le uniche note positive sono le tette di Misaki (la ragazza amata del protagonista) che paiono aumentare di episodio in episodio per poi stabilizzarsi (peccato: vista la possibile progressione, alla fine dei dodici episodi il suo aspetto avrebbe generato scene tanto grottesche quanto divertenti).

Siete ancora interessati a quest'opera? Se sì, vi consiglio di fare come me: guardatela con qualcuno e ridete delle cose che vedete sullo schermo. Se siete appassionati di storie d'amore e triangoli amorosi... “fuggite, sciocchi” (cit.)


9.0/10
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Supplement è un josei (manga per donne) molto più particolare e profondo di quanto possa sembrare a una lettura superficiale.
Mi sono avvicinata a Supplement aspettandomi il classico josei su una donna quasi trentenne alla ricerca dell'amore e invece ho trovato un manga carico di poesia e significato.

Il manga racconta di Minami, che appunto è una ragazza di quasi trent'anni che si divide tra lavoro e una vita privata abbastanza disastrata, sempre alla ricerca di un amore che possa renderla davvero felice.
Supplement però dopo poco si rivela essere una commedia corale su Minami e le sue amiche e colleghe, ognuna con una difficoltà diversa, ma tutte unite da un'unica domanda: come può una donna giapponese, in una società in cui le donne tendezialmente si sposano entro i 30 anni e abbandonano il lavoro, coniugare la vita privata e il lavoro? E' giusto rinunciare a lavorare? E' giusto sacrificare la propria vita personale per il lavoro? Si può veramente conciliare l'amore e la famiglia con il lavoro? E perchè le donne vengono quasi "costrette" dalla società a compiere un determinato tipo di scelte?
Mari Okazaki pone insistentemente tutte queste domande al lettore, mentre Minami e le sue colleghe continuano a andare alla ricerca di qualcuno che le "salvi" da questo dilemma esistenziale.

Supplement si rivela quindi un manga capace di andare oltre alla singola avventura sentimentale della protagonista, per parlare delle donne nella società moderna giapponese, che le pone costantemente davanti a una scelta, e delle donne in quanto tali, di come sia dura, misteriosa e incomprensibile l' amicizia femminile (come quando Minami dopo una feroce rivalità si crea un rapporto quasi di amicizia con la sua diretta avversaria, che non è descritta come una macchietta, ma semplicemente come un' altra donna che, seppure da una prospettiva diversa, sta vivendo gli stessi e identici dubbi di Minami).

Tutti i dubbi e le paure delle protagoniste sono rappresentate in maniera grafica eccellente.
Sebbene a una prima occhiata il tratto della Okazaki possa sembrare quasi comune nel mondo dei manga per donne adulte- ricorda vagamente qualcosa di Moyoko Anno (Hataraki man) o di George Asakura (Piece of Cake), ma dopo poche pagine è chiaro quanto la Okazaki si distacchi da loro e crei qualcosa di unico, magico e poetico.
Tutte le insicurezze di Minami vengono tramutate da sentimenti a immagini, che visivamente fanno capire quello che sta vivendo (come ad esempio si vede spesso Minami trascinata dalle onde, da un fiume implacabile che la porta da una parte all' altra senza che possa trovare un appiglio).
Il tratto e lo stile della Okazaki sono puliti, coerenti, a volte un po' eccessivi a un primo sguardo, ma sempre armoniosi.

Dopo un primo volume che mi aveva lasciato perplessa (perchè come ho già detto lo avevo erroneamente catalogato come "josei standard"), a metà del secondo volume mi sono dovuta decisamente ricredere, perchè l'autrice ha iniziato a mostrare davvero di che pasta è fatta e di cosa parlava realmente il suo manga,e cioè di emozioni, paure e dubbi più che di semplici storielle sentimentali.
Un ottimo spaccato della società giapponese, e di quelli che realisticamente sono i pensieri di chi vuole e in qualche modo deve seguirne le imposizioni sociali, ma in fondo al suo cuore non è certo che sia la risposta giusta, e vorrebbe solamente essere felice.

Ancora una volta la Goen ci ha portato un piccolo gioiellino (nessuno ha mai messo in dubbio il gusto dell'ex direttore di Goen, che negli anni ha scelto licenze di manga che molto difficilmente qualche altro editore si sarebbe mai azzardato a portare. E addentrandoci nel terreno degli josei, che notoriamente in Italia sono lo spauracchio di qualunque editore, la scelta di un titolo particolare, delicato e poetico come Supplement merita solo lodi) in un'edizione ben fatta, con tanto di sovraccoperta.
Il problema è la periodicità, sempre altalenante (la prassi pare quella di far uscire qualche volume di fila e poi di prendersi una lunga pausa, purtroppo), ma non ci rimane che sperare che possa accelerare e proseguire seramente fino alla fine della serie.


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Come? Direte voi, una serie fatta da Miyazaki solo con un misero 6.5 tirato? Piano, piano, procediamo con la dovuta calma. Miya-san ne ha realizzato il character design, o meglio, lo ha rifatto a suo proprio piacimento (di quello dei Pagot c'è rimasto poco o nulla), ha scritto e diretto un episodio ("La Piccola Cliente") e realizzato lo storyboard per altri quattro, portandone a termine però solo due e mezzo. Stop. Tutto il resto porta la firma TMS. Le storie sono tutte di stampo umoristico e autoconclusive, e seguono per la maggiore sempre lo stesso plot: furto/truffa/rapimento da parte della scalcinata banda del professor Moriarty, l'intervento confusionario e sconclusionato dell'ispettore Lestrade (alter ego canino di Zenigata, doppiato tra l'altro da Enzo Consoli), e le indagini parallele del segugio antropomorfo Sherlock Holmes, ovviamente con il fedele Watson al fianco. I lavori si erano arenati solo dopo pochi episodi completati, pare per improvvisa mancanza di fondi da parte di Mamma RAI, o forse per problemi di copyright (ma quest'ultima motivazione mi sembra assai improbabile). È invece facile arguire, specie dopo averlo rivisto, che Miyazaki abbia un pochino esagerato con la qualità del quinto episodio, andando così a dilapidare il budget stabilito dagli accordi, e facendo battere in ritirata i co-produttori italiani.

[Recensione nella recensione: Pazzesco! L'episodio "Il Rubino Blu" sembra "Il Castello di Cagliostro" in miniatura. Inseguimenti forsennati tra i vicoli di una dettagliatissima Londra con superbi mezzi corazzati a vapore; fondali in parallasse con i palazzi che si specchiano sul Tamigi; personaggi che camminano leggiadri nell'aria in barba alle leggi di gravità; marchingegni volanti al limite dell'assurdo; e chi più ne ha più ne metta! Una fiera campionaria di invenzioni e trovate che vanno a pari passo con una trama incalzante. È l'estasi miyazakiana! Voto: 10]

Purtroppo questi fasti, queste spettacolari sequenze d'azione e i repentini colpi di scena si andranno sempre più rarefacendo, fino quasi a scomparire, lasciando spazio a tranquille e flemmatiche investigazioni con lente e pipa. L'unico a tenergli testa è "Le Scogliere di Dover" sceneggiato da Sunao Katabuchi, dove la dolce e timida governante di casa Holmes (ispirata a Clarisse?) si improvvisa un provetto asso del volante, lanciata in una corsa mozzafiato tra salite e discese, superando treni e compiendo arditi salti acrobatici. "Il Tesoro Sommerso" e "Il Rapimento di Mrs. Hudson", ripresi dallo staff della Telecom dopo la dipartita di Miyazaki, soffrono della mancanza dei celebri guizzi del grande maestro: belli da vedere e superiori alla media, ma a torta finita lasciano un po' di amaro in bocca. Per risollevare le sorti della serie, dato che il lavoro di Keiji Hayakawa sembrava non riscontrare pieno gradimento presso i telespettatori, si passò il testimone nelle mani del consolidato duo Seiji Okuda/Takeo Kitahara, principali artefici della scoppiettante seconda serie di Lupin! Ma, anche in questo caso, le animazioni rimangono piatte e standard, e gli storyboard privi di idee fulminanti, tanto da sembrare una replica delle avventure del ladro gentiluomo: dozzine di buffi poliziotti che si accalcano in bolge inenarrabili, qualche travestimento, qualche donzella in pericolo, qualche gioiello da recuperare e poco altro. Questo per far capire quanto era decisiva l'impronta di un singolo autore nel contesto di una serie (vedi Yoshinori Kanada in "Daitarn 3" o Yuji Moriyama in "Lamù"). Il giudizio finale, quando manca la continuità, è il risultato della media voti di tutti gli episodi. La matematica non è un'opinione.