Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.


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Le tragedie si possono raccontare in tanti modi. Con la retorica, con l'enfasi delle emozioni, con la forza del dramma. Queste sono però le strategie più facili per veicolare un messaggio. Esasperati, i toni della tragedia perdono in sostanza. O peggio, possono diventare la parodia di sé stessi. Bisogna avere un cuore di pietra per vedere il finale di "Love Story" e non scoppiare... a ridere.

C'è chi sceglie strade meno convenzionali per raccontare il dramma per eccellenza, per dipingere un affresco tanto di quegli eventi che si studiano a scuola, quanto degli orrori che si perpetrano nell'intimo degli individui, all'ombra della Macrostoria. C'è chi usa il realismo senza risultare cattedratico, usando le emozioni come i colori di una tavolozza. Usando tutti i colori della vita. Il senso di colpa, il rispetto, il rancore, l'affetto, la nostalgia, la passione, il capriccio...
Il regista Sunao Katabuchi è riuscito in questo con il film "In questo angolo di mondo". Si tratta di un ottimo adattamento del manga di Fumiyo Kono, "Kono Sekai no Katasumi ni", che permette di trattare, senza cedere alle lusinghe del documentarismo o dei facili pietismi, temi che, entrando nei libri di Storia, sono inevitabilmente deformati dal "grigiore" dell'oggettivismo. L'opera riesce a colorare (il verbo è d'obbligo) ciò che noi lasciamo sbiadire, con la nostra pretesa di distacco da eventi di cui non possiamo fare esperienza diretta. Allontanati dal tempo, possiamo così immergerci in un mare di percezioni.

La trama prende spunto dalle esperienze della protagonista, Suzu Urano, una giovane di Hiroshima che vive una vita scandita dalla routine del civile giapponese medio prima, durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale. Trasferitasi nella vicina Kure per sposarsi, Suzu cerca di adattarsi al suo nuovo ambiente, alla famiglia di suo marito, al marito stesso, Shusaku, e a tutte le incombenze della sua nuova condizione. La ragazza è quindi obbligata a maturare presto, nonostante abbia uno spirito sognatore. Sbadata, impacciata, un po' svampita, dotata di un talento per il disegno, Suzu si impegna per cercare di soddisfare le aspettative riposte in lei, sbagliando, inciampando, ma senza mai perdere contatto con la semplicità che la caratterizza, e senza mai dimenticare i suoi sogni o il suo primo amore, il compagno di scuola Mizuhara. La guerra si fa progressivamente una presenza sempre più incombente nella sua vita come in quella di chiunque l'abbia vissuta. Le sue emozioni si adattano allo scorrere degli eventi, piegandosi alle nuove esigenze. La sua capacità di non perdere mai contatto con le sue fantasie le permette di superare lutti e contrasti pur dovendo affrontarli tutti, senza sconti. L'altalenante rapporto con la cognata, le assenze e le presenze del marito, la ricomparsa di Mizuhara, le incursioni aeree, i razionamenti di cibo, il bombardamento atomico di Hiroshima, nonché un grave trauma personale, sono tutti i colori di una vita che, strattonata tra realtà e fantasia, in un gioco di rimandi, cerca di ritagliarsi un quadro di "normalità" in tempi che nulla hanno di normale.

Temi che in un altro contesto ci porterebbero su una scena fatta di drammi epici e di tempeste interiori, sono adattati, modellati, con una cura che ricorda l'arte dell'ikebana.
Tutto ha il sapore di un "dramma di compostezza". Solo il finale rompe un po' questa compostezza, inciampando su un curioso exploit che stona con le premesse. La forza totalizzante degli eventi storici è infatti rispettata senza allontanarsi dalle esigenze della percezione, ma anche senza scadere nel sensazionalismo.

La differenza la fa tutta la figura della protagonista.
Suzu non ha la statura o la vis patetica di Rossella O'Hara, ma non è neanche una Pollyanna che scarabocchia il suo fatalismo sul foglio troppo bianco della cruda verità. La sua forza è tutta in quella forma mediale che le permette di essere sempre né poco né troppo. Una caratteristica che le viene apertamente rinfacciata, quasi fosse una sentenza, a metà fra il rimprovero e l'approvazione. Sognatrice, melanconica, Suzu è una di quelle persone qualunque dimenticate dalla Storia. Questo permette di cogliere, tramite i suoi occhi, aspetti che (stanti le vicende tutt'altro che idilliache della trama) in condizioni normali si dovrebbero trovare irrilevanti o anche fuori luogo. Il senso della condivisione, dell'infantilità, della frugalità, la persistenza di dettagli a margine, danno al film un sapore nostalgico che sa di rimpianto per tempi che erano cupi ma allo stesso tempo fiabeschi. Ecco come si spiega dunque il frequente ricorso alla comicità. Quella comicità che è per tradizione sempre compagna della tragedia. Quando la realtà regala momenti tragicomici che particolari contingenze storiche non fanno che aumentare.
Ma la luminosità di un sorriso in questo film vale quanto l'amarezza delle lacrime.

L'impressione che si ha è quella di una porta aperta su possibilità che rimangono però sempre sulla soglia. Si percepisce l'ombra di un futuro foriero di disgrazie di cui si colgono solo alcuni aspetti, mentre altri sono tenuti sottotraccia. Così, temi come quello del militarismo, dell'olocausto nucleare, degli hibakusha ecc. vengono espressi senza essere veramente approfonditi. Difficile dunque inquadrare l'opera.
Tra lo storico e il romanzo di formazione, si possono cogliere aspetti che lo svincolano ma allo stesso tempo lo inseriscono in queste categorie. Così come non è una forzatura ipotizzare debiti o rimandi ai film Ghibli.
Sarebbe però sbagliato vedere in questo film una semplice rielaborazione di maniera. Nulla impedisce di cogliere una statura autonoma ben definita.

La qualità tecnica soddisfa tutte le esigenze dell'opera. Notevole in particolare la scelta di alternare le animazioni ai disegni di Suzu per dare corpo alle sue percezioni. Il tratto è netto, pulito e rispetta quello del manga di riferimento, mentre campisce colori sfumati per adattarli agli sfondi che richiamano la tecnica dell'acquerello.
Gli effetti sonori si fanno notare anche di più, con un impatto che si definisce a pieno titolo cinematografico. Lo studio Mappa ha confezionato un'opera che si fa notare sotto molti aspetti e che merita l'attenzione ricevuta.

Un edificio distrutto, un bacio fugace, un gesto meccanico, il conforto della quotidianità, un incontro casuale, un oggetto usurato...
Quando tornano alla mente, le note a margine della vita giganteggiano come i protagonisti e forse più di loro. Questo perché esiste un angolo di Mondo dove sono i dettagli che dominano la scena. Per ricordarci che anche le comparse sono nel copione. Anche se le loro scene durano poco.


7.0/10
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"Usagi drop", letteralmente tradotto "Le lacrime del coniglio", è un manga composto da dieci volumi, ideato e disegnato da Yumi Unita, e portato in Italia da GP Manga nel 2012.

Daikichi Kawachi è ormai sulla trentina quando, al funerale del nonno, scopre che quest'ultimo ha avuto una figlia illegittima nata da una relazione sconosciuta. La bambina si chiama Rin e ha sei anni quando Daikichi, mosso dalla compassione, decide di accudirla come fosse figlia propria, lasciando da parte una volta per tutte la spensierata vita da Single.

Crescere un bambino non è facile, tanto meno se a farlo si è da soli, e se non si ha una minima consapevolezza delle difficoltà che si dovranno affrontare. "Usagi drop" è un'opera semplice, ingenua sotto molti punti di vista, che volutamente tralascia tutti i problemi economici per concentrarsi su quelli legati alla crescita di un figlio sotto il profilo strettamente sentimentale e psicologico. La trama si sviluppa bene, le avventure di Rin e Daikichi non sono nulla di straordinario o di sensazionale, ma si limitano alla quotidianità. Assieme affrontano piccoli problemi di tutti i giorni, e pian piano il loro rapporto si evolve e muta col passare degli anni. Daikichi prende atto delle proprie responsabilità, e sacrifica tutto il suo tempo pur di accudire e rendere felice Rin, che a sua volta ricambia aiutando il più possibile sin dalla tenera età. Una storia dai toni estremamente dolci dove viene analizzato il complesso rapporto padre-figlio, rivisitato in una chiave diversa e originale, ed il tutto senza gli eccessivi drammi forzati che era lecito aspettarsi vista la tipologia del prodotto.
I personaggi principali sono pochi ma vengono analizzati ottimamente, così come i rapporti che intercorrono fra di essi.

I primi volumi sono ottimi sotto ogni punto di vista, poi arriva la svolta che segna l'inizio della caduta di un'opera che se si fosse fermata prima sarebbe forse stata definita capolavoro: la crescita improvvisa di Rin. Un inatteso sbalzo temporale di dieci anni in avanti, che inizialmente sembra anche non danneggiare pesantemente ciò che era stato costruito sino a quel momento, proponendo delle riflessioni interessanti e trattando tematiche più serie, ma che poi sfocia in un finale azzardato e poco comprensibile.
Tecnicamente il tratto del disegno è molto semplicistico, i fondali sono scarsamente dettagliati, così come il design dei personaggi, e non vi sono tavole particolarmente complesse o piacevoli da vedere. Ritengo tuttavia che lo stile di disegno utilizzato sia conforme e funzionale alla tipologia dell'opera.

In conclusione, "Usagi drop" è un'opera molto dolce, interessante, e in grado di regalare emozioni; un vero peccato per come si è sviluppata la trama, per il resto difetti quasi inesistenti.


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C'era una volta il periodo adolescenziale, quando il massimo era fare un po' di casino a scuola, disegnando vignette sotto banco, tornare a casa e passare parte del pomeriggio a guardare la TV e rimpinzarsi di dolciumi, con l'amato gatto sulle ginocchia, facendo finta di studiare.

E proprio sugli ormai sorpassati tubi catodici passava quell'elegante cartone animato intitolato "Prendi il mondo e vai", titolo italianizzato, o meglio, inventato di sana pianta, di "Touch"; tuttavia era palese che, al di là degli improbabili nomi anglo-italici, si celava il tipico anime sentimental/scolastico di concezione giapponese (qualche ideogramma era stato risparmiato dalla assurda censura 'italiota'). Ci si accontentava all'epoca: o mangiare la minestra o saltare fuori dalla finestra...
O così o Pomì!

Le vicende dei due fratelli Brandell (sic!) arrivarono sul giungere delle prime turbe sentimentali di noi poveri quindicenni, confusi sul mondo della sessualità da decine di film e serial televisivi. La vita reale è e sarà come nei telefilm americani, dove l'aitante fusto di turno col giubbotto di pelle cambia fidanzata ogni settimana (fantascienza), oppure come nei manga, dove il protagonista, introverso e riflessivo, fa una fatica abnorme per conquistare (e tenersi stretto) il cuore dell'amata? Io mi rispecchio di più nel secondo caso. Voi?

La trama è molto convincente, a tratti melò in stile shojo (ma che shojo non è), ma sempre bilanciata con umorismo dai toni pacati. (Come si fa a non essere melò quando viene a mancare quasi subito uno dei pilastri della storia?) Sono passati quasi tre decenni, e ricordo vividamente le ambientazioni sempre abbastanza assolate, con tanti momenti di silenzio e lunghe inquadrature su cieli limpidi, prati rigogliosi, ciliegi in fiore e placidi fiumi, con l'immancabile frinire delle cicale di sottofondo, interrotte solamente dal transito del treno della JR, puntuale al tramonto. Istantanee che immortalano gli stati d'animo dei protagonisti che gioiosi guarderanno i riverberi dei raggi di sole, o tristi a fissare nuvole cineree o la monotona pioggia battente.
Il silenzio è d'oro.

La femminilità è più accentuata rispetto alle tavole di Mitsuru Adachi, dove a volte si fa non poca fatica a trovarne, infatti le donzelle hanno lineamenti prettamente mascolini, l'esatto contrario delle sinuose donnine concepite dalla collega/rivale storica/amica Rumiko Takahashi: un bel bikini tigrato indubbiamente faceva più audience tra il pubblico maschile.

La gamma cromatica. Troppo facile liquidare il tutto con una frase fatta del tipo: "I colori sono come nel resto della produzione anni Ottanta, né più né meno". Individuare le tinte di un'opera nata in bianco e nero non è poi cosa così elementare e scontata. Certo, un grande aiuto arrivò dalle illustrazioni e dai preziosi suggerimenti dell'autore. Ma nell'anime si trattava di creare una perfetta armonia tra vegetazione, architettura urbana, centinaia di capi di vestiario, suppellettili vari, natura viva e natura morta. Cosa c'è di meglio di tinte calde ma tenui, miscelando sapientemente colori primari, secondari e complementari? Verde smeraldo, giallo paglierino, rosso pastello e azzurro acquamarina. Ti riscaldano il cuore e ti rilassano i nervi.
Cromoterapia.

Episodi. Tanti. Ha tenuto banco per due anni filati. Non si è badati a spese o a tagli di sorta. Tanti sono i capitoli del manga e tanti sono quelli della serie TV, più vari film e special per concludere la storia.

Evergreen consigliato a tutti.