Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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“Neon Genesis Evangelion” è una serie d’animazione giapponese del 1995, costituita da ventisei episodi di durata canonica, realizzata dallo studio Gainax e sceneggiata e diretta da Hideaki Anno.

Trama: la vicenda ha luogo quindici anni dopo un cataclisma, noto come Second Impact, che ha sciolto la calotta polare antartica e causato l’innalzamento del livello dei mari e lo spostamento dell’asse di rotazione terrestre, provocando disastri naturali, crisi internazionali e la morte di miliardi di persone e forme di vita. Oggi, l’umanità si è in parte ripresa, ma è ancora minacciata dagli Angeli, misteriose creature gigantesche e dall’alto potere distruttivo. A opporsi a tali mostruosità si staglia la Nerv, un’agenzia militare sotto il diretto controllo delle Nazioni Unite che può disporre degli Evangelion, enormi mecha biomeccanici.
Il protagonista, Shinji Ikari, è un ragazzino di quattordici anni che, proprio durante l’attacco di un Angelo, viene convocato a Neo-Tokyo 3, la roccaforte del genere umano, dal proprio padre, Gendo Ikari, Comandante Supremo della Nerv, per diventare, in qualità di Third Children, il pilota dell’Evangelion 01.

I primi episodi di uno degli anime più influenti e popolari degli anni Novanta (e di sempre) presentano un’ambientazione e una struttura narrativa certamente non inusuali per le serie appartenenti al genere fantascientifico-robotico: potenti organizzazioni, un Giappone sotto assedio periodico da parte di pantagruelici abomini, giovanissimi piloti di enormi macchine umanoidi come unica risorsa per sconfiggere il nemico, uno schema assimilabile al “mostro della settimana” e altro ancora.
Ben presto, tuttavia, a queste caratteristiche vengono affiancati elementi psicanalitici che non di rado occupano intere puntate e si addentrano con insistente crudeltà nelle menti dei personaggi principali, generalmente piuttosto turbate, scavando e grattando via ipocrisie, paure e traumi infantili.
Abbandonando con maggior frequenza e sempre più a lungo il piano fisico-materiale in favore di un’immersione totale nel vorticoso flusso di pensieri dei protagonisti, lo spettatore viene a contatto con realtà e storie disturbanti, manipolazioni e inquietanti dubbi esistenziali, in quella che si rivela lentamente come una fusione tra sfera personale e collettiva. Tale unione raggiunge la propria apoteosi (e conseguente risoluzione) proprio in corrispondenza dell’epilogo: il mondo come lo percepiamo non è forse il risultato di un’operazione di filtraggio effettuata dal nostro io? E il modo in cui il mondo recepisce noi stessi non è forse la somma delle percezioni di chi ci circonda? Fino a che punto dovremmo preoccuparci di quello che gli altri pensano di noi? E quanto a lungo questa scusa potrà impedirci di vivere la nostra vita con libertà e intraprendenza?
In un mondo che, per il volere di pochi, si appresta a diventare un’unica entità in cui tutte le individualità, con annesse tentazioni e malvagità, vengono azzerate per tornare a un amalgama puro e indistinto, è proprio il protagonista, Shinji, a dover finalmente ripercorrere le esperienze vissute, estrapolandone gli insegnamenti e determinando il proprio destino e quello dell’umanità.

Benché rivolto a un pubblico prevalentemente otaku, a cui vengono concessi numerosi tributi in termini di personaggi femminili dalle caratterizzazioni apparentemente stereotipate e fanservice, sia sessuale che tecnico, “Neon Genesis Evangelion” porta sullo schermo aspetti che, ancora oggi, sono rari nel panorama dell’animazione giapponese appartenente allo stesso ambito (l’otaku-oriented): laddove i protagonisti identificabili come otaku (specialmente negli ultimi anni) sono per lo più paladini (fieri o involontari) della solitudine, individui che la società civile respinge e deride in quanto incapace di comprenderli o da cui essi stessi si allontanano di propria spontanea volontà, ma che si rivelano poi dotati di pregi e difetti di cui l’omologante e omologato cittadino nipponico medio è privo e di cui necessita per essere “salvato”, in un processo di pandering definitivo e di glorificazione del fenomeno, “Neon Genesis Evangelion” intraprende un cammino opposto.
L’anime, infatti, mostra agli spettatori un cast di adolescenti e adulti esposti in tutta la propria sconcertante bruttezza.
Shinji non è un eroe. O, almeno, non è un eroe convenzionale. Non è un incompreso e un reietto, ma un giovane incline alla depressione più nera e allo scoramento che cerca continuamente di incolpare gli altri per i propri problemi e, allo stesso tempo, di attribuire quelle stesse colpe a sé stesso e alla propria inadeguatezza, dando vita a un tragico uroboro di biasimo. La costante dei suoi atteggiamenti è la passività, il desiderio di lasciare che siano gli altri a fare il primo passo, prendendo decisioni per lui, decisioni che potrebbero riempirlo di gioia o disperazione, ma che costituiscono, in ogni caso, fonti di deresponsabilizzazione nei propri confronti. E’ introverso e si isola per fuggire dalle possibili conseguenze delle relazioni interpersonali. Cerca di affermare il proprio valore, ma non riesce a fare a meno di rivolgere sguardi d’elemosina affettiva a coloro che lo circondano.
Non meno problematiche e complessate sono le altre figure principali della serie: ancora una volta ci si ritrova di fronte a personalità quasi devastate, spesso preda di malsane ossessioni profondamente radicate nell’animo di tali soggetti, fissazioni che ne pregiudicano la salute mentale e i rapporti con colleghi e amici. I personaggi secondari sono invece più superficiali, ma svolgono i propri ruoli in maniera comunque impeccabile e umana.
“Neon Genesis Evangelion” si configura così come un’opera di introspezione psicologica di indubbio valore e interesse.

Il comparto tecnico è generalmente di buon livello. Il character design è molto piacevole e curato, in linea con lo stile più in voga in quel periodo, e lo stesso si può dire per i vari capi di abbigliamento e le divise. Le ambientazioni sono ricche di dettagli e oramai iconiche, come il centro di controllo della Nerv e la città di Neo-Tokyo 3, capace di ritirarsi nel sottosuolo per permettere ad Angeli ed Evangelion di scontrarsi senza timore di causare vittime civili. Inoltre, le linee regolari, fredde e futuristiche delle creazioni antropiche sono affiancate da paesaggi rurali e quasi bucolici, il tutto realizzato facendo ricorso a tonalità cromatiche tendenzialmente luminose.
Per sottolineare situazioni di disagio, incertezza e le sequenze di analisi interiore, invece, i colori si fanno più forti, i contrasti più marcati, le inquadrature e le prospettive si distorcono e, non di rado, si sperimentano stili di disegno e tecniche differenti, per sottolineare l’esplorazione di una diversa dimensione dell’esistenza.
Il titolo, tuttavia, è comunque interessato da cali grafici e errori di continuità, di cui uno particolarmente stravagante.
Ovviamente, non si può non citare l’ispirato design degli Evangelion e degli Angeli. I primi si distinguono per un’evidente componente organica e fattezze più mostruosamente umane che robotiche, ancora più agghiaccianti e palesi in alcune situazioni, in cui questa loro natura animalesca e pulsante si manifesta in tutta la propria brutalità. I secondi, invece, impressionano per la grande varietà di forme, dimensioni e tattiche offensive e difensive. Lo stessa denominazione di “Angeli” è solo uno dei numerosi riferimenti alla mitologia e all’iconografia cristiana, ebraica ed esoterica disseminate per l'opera, che impreziosiscono, benché siano più estetici che tematici, donandole un tono mistico ed enigmatico, che trascende il banale concetto di lotta tra uomini e mostri e quasi assurge a livelli ben più alti.
Le animazioni sono piuttosto fluide e rendono al meglio soprattutto nei combattimenti. L’ampio ricorso a flashback e scene oniriche e da incubo permette inoltre il riciclo di animazioni, utili per contenere il budget complessivo, ma non si rivela invadente né fastidioso.
La colonna sonora è variegata ma deliziosa. Se la sigla di apertura, la ben nota “Zankoku na Tenshi no These”, è ormai entrata nell’immaginario collettivo, non meno suggestiva è quella di chiusura, la dolce “Fly Me to the Moon”, reinterpretata da diverse cantanti in molteplici versioni. Le altre tracce si rivelano sempre azzeccate, anche se non mancano le sperimentazioni sopra le righe, con risultati di forte impatto.
Il doppiaggio italiano è ottimo e molto espressivo e conferisce una caratterizzazione unica ad ogni personaggio, ad eccezione di qualche interpretazione a tratti zoppicante.

In conclusione, “Neon Genesis Evangelion” è un anime che si spinge ben oltre la pura materialità sensazionalistica degli scontri tra titani meccanici e creature misteriose e propone uno studio viscerale e spietato della psiche dei personaggi principali, non esitando nel rivolgere il proprio messaggio di fondo allo stesso pubblico. E’ una storia di depressione, ossessione e accettazione di sé e del proprio valore intrinseco, compito che solo noi possiamo portare a termine e che non possiamo relegare a soggetti esterni. E’ un invito ad abbandonare quelle confortevoli debolezze dietro cui ci nascondiamo per evitare una vita con meno certezze ma forse più soddisfacente e autentica.
Il finale potrebbe deludere chi si aspettava una roboante battaglia finale, ma sarà più che adeguato per chi invece preferiva un maggior focus sugli argomenti trattati, concettualmente importanti e pesanti, ma capaci di rendere la narrazione ancora più trascinante e pregna di significato.


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Correva l’anno 2013, anno sinceramente povero di serie animate di qualità, monopolizzato per quanto riguardava il mainstream da “L’attacco dei giganti”, mentre nell’universo ecchi cominciava a prendere piede “Highscool DxD”, serie inizialmente meteora che però stava via via raccogliendo un fandom sempre più grande e che nell’arco di due anni sarebbe diventata una punta di diamante nel suo genere. In realtà, però, in mezzo a tantissime mediocrità e ai due anime sopracitati, una serie scolastica zitta zitta stava entrando nel cuore di tutti: “Yahari Ore no Seishun Love Come wa Machigatteiru”, da lì a breve denominata solo “Yahari”, visto che a pronunciarne il titolo completo si faceva prima ad attraversare l’intera Salerno - Reggio Calabria ritorno compreso.

“Yahari” nasce come light novel nel 2011 dalla penna di W. Watari, mentre la serie animata targata studio Brain’s Base vede la luce nella primavera 2013. La trama racconta di tal Hachiman Hikigaya, un solitario e pragmatico liceale con una visione della vita distorta e antisociale che lo porta a non unirsi a nessun gruppo di giovani, perché convinto che sarà sempre una fonte di illusioni. La sua insegnante Shizuka Hiratsuka, esasperata dai continui temi dal contenuto fortemente misantropo di Hachiman, fa in modo che il ragazzo si iscriva al club di volontariato dell'istituto, frequentato e gestito dalla ragazza più carina e schietta della scuola, Yukino Yukinoshita, con la quale il ‘misantropone’ condivide un passato di solitudine, seppur per diverse ragioni (lui per i suoi ideali, lei perché invidiata dagli altri per la sua bellezza). Shizuka chiede a Yukino di occuparsi del problema di Hachiman e di renderlo un ragazzo in grado di migliorare i rapporti con il prossimo, in modo tale da garantirgli un futuro migliore nella società. Yukino accetta e Hachiman si ritrova, seppur controvoglia, a partecipare alle attività del club, che consistono nell'aiutare gli studenti in cerca del loro aiuto per ogni tipo di problema. In seguito, al gruppo creatosi si aggiungerà anche Yui Yuigahama, una ragazza dal carattere molto diverso da quello di Hachiman e Yukino: infatti, contrariamente ai due, lei è molto socievole e solare, seppur soffra molto il fatto di dover essere spesso ipocrita e di dover sorridere sempre e comunque, pur di mantenere dei buoni rapporti sociali con tutti. In seguito i tre ragazzi incominceranno a creare un vero e proprio club, aiutando chi ne ha bisogno, ma si creeranno anche situazioni alquanto particolari che porteranno, con il proseguire della trama, a continui seppur lenti cambiamenti psicologici negli stessi personaggi.

Parlare di trama per “Yahari” credo sia riduttivo, non si può infatti non tener conto di come l’evoluzione psicologica dei tre protagonisti, ma anche dei numerosi comprimari, vada pari passo con le vicende narrate. “Yahari” però non vuole raccontare una semplice storia, vuole porsi invece come uno slice of life a sfondo scolastico dove vengono raccontati gli sviluppi e la crescita dei personaggi, e di come le seppur banali vicende adolescenziali possano in realtà dimostrarsi prove di maturità ben più grandi di un’impresa eroica da manga shonen. La trama si sviluppa lentamente proprio per permettere allo spettatore di immedesimarsi appieno nei protagonisti, portando più volte lo stesso a valutare con saccenza e sarcasmo la realtà che ci circonda, non tanto diversa da quella raccontata nell’anime, proprio come il protagonista stesso, mostrandoci allo stesso tempo però sia i pregi che i numerosi difetti che una tal visione della vita comporta nei rapporti con gli altri: essere esclusi, cosa che prima o poi ferisce anche il più forte dei lupi solitari. Hachiaman, all’inizio delle vicende, cercherà di risolvere in proprio i problemi altrui, non interessandosi minimamente alle sue compagne di club e finendo, prima o poi (non voglio dire altro per non spoilerare), per ferirle, e sarà alla fine egli stesso a rendersi conto dei propri limiti e della propria emotività, che potrà anche essere annichilita, ma mai soppressa del tutto. I personaggi secondari sono (quasi) tutti ben sviluppati e non stereotipati, mentre l’aspetto commedia, pur non essendo preponderante come in altri anime a sfondo scolastico, sa essere in pochi momenti ben mirati spassosa e memorabile.
Graficamente l’anime è buono, ma non eccelso. Nonostante l’opening e la ending siano entrambe ottime, il comparto OST risulta purtroppo un po’ limitato, e risulta l’unica pecca in un anime comunque eccezionale e fuori dagli schemi.

Concludendo, “Yahari” è un’anime che consiglio vivamente a tutti, sia ai neofiti che, soprattutto, ai navigati e storici consumatori di serie animate, che apprezzeranno la serie sia per il taglio con cui vengono raccontate le “semplici vicende adolescenziali” sia per il solo Hachiman, forse a mio giudizio uno dei migliori protagonisti del panorama anime dell’ultimo decennio. Commedia, psicologia, citazioni alla letteratura e tante, ma davvero tante riflessioni e spunti. Cosa aspettate a vederlo?!


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"Tonari no kanata", meglio conosciuta come "After the Tempest, in Late Summer", è una raccolta di storie brevi ideate e disegnate da Ayuko, portata in Italia da Flashbook Edizioni nel 2012.

Come al solito, Ayuko è una vera e propria maestra nel ricreare sublimi atmosfere, dolci e intriganti al tempo stesso, e ad arricchirle ulteriormente col suo tratto delicato e preciso, ma nel caso specifico di "After the Tempest, in Late Summer", ho trovato le storie proposte un po' scialbe sotto il profilo narrativo.

Il primo racconto, "Nostradamus e Sakaki", per quanto breve e poco sviluppato, si è rivelato essere il più incisivo dei quattro presentati. Un vero pugno nelle stomaco, ricco di phatos e denso di emozioni, soprattutto nella fase finale. Un'introduzione più che valida per una raccolta che, purtroppo, non si è infine rivelata alla sua altezza.

"Tre segreti" è una semplice storia che vede come protagoniste tre ragazze liceali alle prese con il primo amore, e con i classici problemi tipici dell'età adolescenziale. Un piccolo shoujo in miniatura che non riesce però a catturare più di tanto l'attenzione. La trama è piuttosto banale, i personaggi poco dettagliati, e il finale scontato e troppo buonista.

Il terzo racconto, "After the Tempest, in Late Summer", oltre ad essere quello che dà il titolo alla raccolta, è il più lungo fra i presenti, ma anche in questo manca quel qualcosa di speciale che renda il tutto memorabile. La storia è interessante e viene sviluppata bene, i personaggi sono ben caratterizzati, ed il finale, seppur non mi abbia fatto impazzire, è coerente con il resto della trama. Un'opera ordinaria e piacevole da seguire, ma nulla di più.

Meglio, invece, è il racconto conclusivo: "Keep a Diary". Una storia interessante e ben strutturata, che ha protagonisti due personaggi mentalmente instabili e caratterizzati egregiamente, e che nel finale regala un colpo di scena inatteso e superlativo.
Nel complesso una discreta raccolta, ma che purtroppo non contiene nulla di veramente valido, come invece fanno i similari prodotti della stessa autrice. Una lettura carina e poco impegnativa, che mi sento comunque di consigliare, soprattutto per chi come me, ha apprezzato le altre opere di Ayuko. Lo stile è sempre lo stesso.