Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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8.0/10
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Ogni volta che mi accingo a guardare una trasposizione live-action di un manga (che abbia letto o meno) ho sempre il timore che quello che andrò a vedere sia una perdita di tempo o, peggio, che non sia all'altezza dell'opera originale, che non gli renda insomma giustizia. Di solito questo avviene perché vengono cambiate troppe cose a livello di sceneggiatura rispetto al materiale originale, e le nuove parti non risultano all'altezza. Diciamo pure subito che il film di "I am a Hero" risulta assai differente dal manga, cancellando molte parti più o meno importanti, in particolar modo quello che succede nei primi volumi, soprattutto le parti più lente. Ovviamente un'operazione del genere era abbastanza scontata, visto che il film dura circa 2 ore, ed i volumi da adattare fino a quel momento erano parecchi. Leggendo ciò si potrebbe pensare di trovarsi di fronte ad un film mediocre, ma in realtà non è così: il risultato finale infatti è comunque più che valido, merito anche di una regia sapiente e di effetti speciali credibili: logicamente non ci troviamo di fronte a blockbuster di Hollywood con budget da decine e decine di milioni di dollari (come ad esempio World War Z), ma non c'è una scena in cui la computer grafica non risalti (troppo) rispetto agli attori reali ed agli effetti pratici. Senza contare che, al contrario CDI molti film di Hollywood sugli zombie, in questo film non mancano scene splatter a volontà (come si possono trovare anche nel manga).
Un plauso anche agli attori, in particolare al protagonista, che risulta essere quasi la copia perfetta della sua controparte cartacea.
Come si accennava all'inizio molto è stato tagliato o condensato del manga originale, a spese di vari personaggi, ma ciò non è bastato: anche il finale rimane aperto, cosa che aprirebbe la strada almeno ad un secondo film, ma ad oggi, nonostante il manga si sia concluso nel 2017, non si sa se verrà mai girato. Intendiamoci: il film non termina con un "cliffhanger", quindi non si può dire che lasci in sospeso molte questioni, ma d'altro canto si capisce che la vicenda non può finire così. È anche vero che la seconda parte del manga che dovrebbe essere trasposta è molto meno convenzionale e molto più complessa da adattare per il grande schermo (incluso il finale del manga, alquanto criptico), per quanto indubbiamente affascinante.
In ogni caso, anche se non dovessimo mai vedere un seguito, questo film rimane comunque un esempio di come i giapponesi siano ancora in grado di produrre lungometraggi decenti tratti da altre opere, nonostante molte pellicole possano far pensare il contrario.
  I Am A Hero live  whitestrider
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Tratto da un acclamato manga, apprezzato non poco anche da mia moglie, attendevo questo lungometraggio con una certa impazienza, resistendo alla tentazione del manga che mi guardava quotidianamente dalla mia libreria. La mia intenzione era quella di arrivare il più vergine possibile alla visione della sua versione animata al cinema, in modo di potermi godere al massimo la sua trama. In realtà, con il senno di poi, mi accorgo come la mia scelta sia stata piuttosto infelice, complici delle scelte degli sceneggiatori che secondo il mio modesto parere sfavoriscono coloro che non si sono già goduti il manga.

Supportato da un comparto tecnico sicuramente molto curato e moderno, il lungometraggio inizia introducendo i nostri protagonisti da bambini, a scuola, e mostrando come il tema del bullismo colpisce anche la società giapponese. Ancor più grave è il fatto che la piaga è ancor più profonda per chi è colpito da disabilità, visto che sia la struttura scolastica che il corpo insegnanti si dimostrano inadeguati a fare in modo che i bambini colpiti da disabilità possano vivere un’esperienza inclusiva e non sentirsi ancora più penalizzati dai loro problemi. Tutto questo porta ad avere conseguenze sui due protagonisti, anche con chi che si è macchiato di bullismo, che viene giustamente isolato e a sua volta discriminato, nonostante un atteggiamento ipocrita da parte dei compagni che poco prima lo spalleggiavano e che orano scaricano solo su di lui il peso della responsabilità di quanto accaduto. La narrazione si sposta poi a quando i ragazzi sono quasi adulti, con ognuno che ha seguito la propria strada e che deve cercare di uscire dai traumi che hanno segnato la loro adolescenza. Inevitabile che il perdono da una parte, la redenzione dall’altra, passi dal doversi riavvicinare, andando a rielaborare e rivivere le ferite ricevute, ancora aperte e che possono portare a nuove conseguenza tragiche.

Quello che mi è piaciuto di “La Forma della Voce” è come provi a trattare un tema come la disabilità in modo comunque accessibile a tutti, in modo da riuscire a far passare un messaggio sicuramente efficace e lodevole, non lesinando sul criticare la società giapponese. Bello anche che mostri, forse inconsciamente, come il sistema scolastico giapponese abbia delle scuole speciali per chi è colpito da disabilità, seguendo la strada della specializzazione al posto di quella dell’inclusione, in modo così diverso rispetto quanto in genere si tende a fare in Occidente, dove si tende a dare, almeno secondo le metodologie più recenti, priorità all’inclusione del disabile nella società. Il problema è che ho forse trovato “La forma della voce” più interessante che piacevole da seguire: ho amato lo spaccato che fa della società giapponese, ho trovato lacunosa la trama, secondo la mia opinione poco fluida e con qualche buco di troppo.
La necessità, ed è capibile, era quella di cogliere l’essenza del manga e condensarla in poco più di due ore di film di animazione, andando a toccare sia le tematiche sensibili, coinvolgendo lo spettatore ed emozionandolo, sia la parte di intrattenimento vero e proprio. Visto che il numero dei personaggi non è esiguo e i loro legami mai banali, è necessario un lavoro di introspezione per diversi di loro, e tutto questo porta a tagliare alcuni passaggi per nulla scontati a chi non ha letto il manga. Mi sono trovato più volte con delle domande senza risposta, come se mi mancasse qualcosa, e per averla sono dovuto andare a chiedere aiuto a mia moglie. Ci sono diversi passaggi che risultano accelerati, altri personaggi che sono spesso presenti, ma di cui si fatica a valutare il peso, apparendo con molto più potenziale di quello che esprimono.

Un esempio del dolce/amaro presente nel lungometraggio è come si giunge alla stupenda, perché è forse la migliore cosa del film, sequenza finale, ovvero con una discontinuità che ho trovato un po’ stonata: date le premesse che erano state costruite, l’avrei presentata in modo diverso. Solo con il senno di poi scopro il motivo della reunion scolastica finale, che nel manga è ben diverso e meno pretestuoso. Ma ci sono tantissime sfumature che, senza aver letto il manga, non si colgono, che vengono date per scontate e che forse si intuiscono solo, visti alcuni comportamenti che altrimenti apparirebbero illogici.
Non ho nemmeno trovato la carica emotiva data da certi eventi così prorompente come avrebbe potuto essere, appunto in quanto non sempre si riesce a montare tramite la sceneggiatura in modo fluido il carico emotivo, ma ci si arriva tramite salti e una frammentarietà che ne limita l’impatto finale. L’impressione, da ‘babbano’, è che la sceneggiatura sia stata un po’ pasticciata, una via di mezzo tra un riassunto del manga e una sua rielaborazione.

Nel complesso sono rimasto piuttosto deluso da “La forma della voce”, non perché sia un brutto film, ma in quanto avevo accumulato troppe aspettative. Inevitabilmente mi è sembrato un’occasione sprecata, anche in quanto la realizzazione tecnica è di prim’ordine e mi spiace non sia riuscito a raccontare la trama del manga in modo esaustivo.

Un consiglio: prima leggete il manga, poi vedete il film.
- La forma della voce - tacchan
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Opera di medio calibro di Hiroaki Samura, che decide di ritornare - dopo L'Immortale e La carrozza di Bloodharley - su un tema in cui l'ambientazione storica ha la meglio. Un fumetto non sperimentale, la cui trama indugia su un evento di cui si è parlato molto e si è detto di tutto e di più. La Rivoluzione russa del '17, le stragi conseguenti, l'instaurazione della dittatura dei soviet e successivamente staliniana si sentono, comunque sia, meramente in lontananza. Questo problema, se problema è, è stato d'altronde sottolineato dallo stesso Samura che nella postfazione fa il punto della storia dell'opera e del suo parere al riguardo.
Non è, probabilmente, una grande disfatta l'aver dato alla trama una cornice storica fumosa e non accuratamente descritta. Lo stile grafico dell'autore è rinomato per essere aristocratico, longilineo, perfetto per la descrizione del periodo storico in questione e dei protagonisti in questione, così come risultò perfetto per la descrizione degli eventi e delle ambientazioni di Bloodharley. Manca, tuttavia, quel pathos e quel trascinamento emotivo che mi ha reso un adepto della sua arte. Trattasi di una storia fantasiosa di ricerca del proprio passato, in una cornice nobiliare, ma circondata da comunismo reale. Non sono presenti scene crude, non sono presenti interruzioni improvvise delle vicende, che risultano abbastanza lineari, non c'è più o meno nulla del Samura più famoso. La violenza sovietica, spesso descritta a parole, si percepisce come distante - e difatti i personaggi riescono, più o meno, ad arrabattarsi di qui e di lì senza problemi troppo gravosi, incontrando personaggi sempre umani e sempre in un qualche modo redenti. Questo permette all'autore di poter parare dove vuole andare a parare.
Probabilmente un'opera perfetta per chi adora ambientazioni un po' vittoriane, inizio-novecentesche, con personaggi altezzosamente aristocratici, ma non in senso negativo. Non esiste, difatti, un vero antagonista.
A mio parere un'opera riuscita bene nel suo intento (a quanto pare aveva intenzione di creare una banale tsundere), ma non del miglior Samura.
  Pan Daemonium  La ragazza d'inverno