Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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“Karakai Jouzu no Takagi-san” è uno dei motivi per cui ringrazio di poter frequentare la community di Animeclick.it; quest’anime infatti è la trasposizione di un manga che ho iniziato a leggere proprio in seguito a un articolo del sito che lo metteva al primo posto in un elenco dei quindici manga consigliati dai librai giapponesi nel 2017, primo posto che ho ben compreso dopo averlo letto e che mi ha portato ad approcciarmi alla visione dell’omonima serie animata con malcelate aspettative piuttosto alte, considerando anche i rischi, di cui parlerò in seguito, che una trasposizione animata comportava, ma che fortunatamente posso anticipare già essere state appagate in pieno oltre ogni mia più rosea aspettativa. “Karakai Jouzu no Takagi-san” è infatti una delle serie che più ho apprezzato nel freddo inverno 2018: con quel suo essere un po’ commedia, un po’ sentimentale, un po’ slice of life, è la tipica opera che riesce a prendere il meglio che generi diversi possono offrire, riuscendo a mischiarli sapientemente senza che nessuno prenda il sopravvento sull’altro, e garantendo un risultato finale decisamente soddisfacente.

La semplice trama di “Karakai Jouzu no Takagi-san” (che letteralmente significa “La maestra degli scherzi, Takagi”) ruota interamente intorno alle piccole avventure quotidiane vissute dai suoi due protagonisti, gli studenti delle medie, di cui conosciamo solo i cognomi, Nishikata e Takagi; lui, Nishikata, è un onesto ragazzo volenteroso senza nessun talento particolare ma dal carattere simpatico, cordiale e, per usare un eufemismo, non propriamente sveglio. Lei, la Takagi che dà il titolo alla serie stessa, è una bella ragazza brava a scuola, intelligente e calcolatrice, dal carattere imperturbabile sempre freddo e, apparentemente, quasi distaccato, che brilla in una caratteristica particolare: adora prendere in giro Nishikata ed è infallibile nel riuscire a fargliela sotto il naso, portandolo sempre dove vuole lei nel modo che preferisce.

Lo schema di ogni episodio, che riflette quello di ogni capitolo del manga, si riduce infatti a tutto questo: Takagi stuzzica Nishikata, sfidandolo in qualche gioco a loro scelta, o lo stesso Nishikata stuzzica Takagi in sfide di vario genere, sperando di ottenere una rivincita sulle sconfitte precedenti subite, destinata, purtroppo per lui, a non arrivare mai. Ma queste sfide e questi diverbi all’apparenza stupidi, perché in fondo si potrebbero catalogare a discussioni tra ragazzini, sono in realtà il pretesto per mostrare la crescita del rapporto tra i due ragazzi, nato come semplice amicizia e destinato a trasformarsi, inevitabilmente, in un amore reciproco; l’affetto che i due provano uno per l’altro infatti è palpabile dal primo minuto del primo episodio, eppure è destinato a non vedersi mai ‘esposto’ pubblicamente per quei turbamenti emotivi che, naturalmente, attanagliano i ragazzi alle porte dell’adolescenza e che impediscono, ad esempio, a Nishikata di avvicinarsi troppo a Takagi per l’imbarazzo che quella situazione potrebbe comportare e a Takagi di andare oltre la semplice presa in giro, che è il suo modo per ottenere il tempo e l’attenzione di Nishikata.

Il risultato che comporta il riproporsi di queste situazioni è un quadro adorabile dove risate involontarie e tenerezza figlia dei primi amori si mescolano, provocando la reazione emotiva dello spettatore che varia dall’inevitabile simpatia e sostegno provato nei confronti di questi due giovani alle prese, senza che se ne accorgano, con sentimenti più grandi di loro, fino a un pizzico di sana invidia, almeno in quelli che come me hanno superato da un bel po’ l’età dei protagonisti, nel ripensare a tempi spensierati che furono dove magari non è stato così facile trovare un Nishikata tanto disponibile e legato a te o una Takagi che, nonostante provi a prenderti sempre in giro, ha occhi solo per te e sacrifica il suo tempo per passarne quanto più possibile insieme a te. Takagi che è anche indubbiamente l’elemento principale che ha garantito il successo di questa storia: senza nulla togliere al tapino Nishikata, tanto volenteroso quanto fesso, che funge da spalla perfetta, questa serie non sarebbe la stessa senza la sua protagonista dai mille volti, con la sua caratteristica fronte scoperta, i modi accattivanti e le sue tante espressioni enigmatiche che confondono, e allo stesso tempo attraggono, Nishikata e gran parte degli spettatori che guardano la serie.
Tutto questo, va detto, era già percepibile nel manga, ed era, a mio parere, difficilmente replicabile in un media diverso qual è quello animato; i capitoli del manga infatti sono autoconclusivi, mai legati tra loro e racchiudono la vicenda in poche pagine, mai più di venti, cosicché vedevo difficile adattare così poco materiale nel tempo medio di un episodio di una serie classica, ma sono lieto di poter dire che i miei timori sono stati prontamente smentiti. La Shin-Ei Animation infatti, che si è occupata della produzione di questa serie, ha impostato ogni episodio costruendolo su tre-quattro situazioni diverse, corrispondenti a capitoli diversi del manga, intervallati spesso da uno-due mini episodi aventi come protagoniste tre compagne di classe di Takagi e Nishikata (l’infantile Mina, la matura Yukari e l’indifferente Sanae) che nel manga ricoprono un ruolo meno che marginale, mentre qui fungono da divertente diversivo, con le loro avventure impostate su banali fraintendimenti o stupide iniziative, alle vicende dei protagonisti principali, garantendo al singolo episodio un’impostazione equilibrata e un ritmo sostenuto che non si perde attraverso le gag ripetitive che caratterizzano invece Nishikata e Takagi.

Anche dal punto di vista tecnico la Shine-Ei Animation ha azzeccato praticamente tutto: il character design di Aya Takano ricalca in maniera pressoché uguale il tratto originale dell’autore del manga, Souichirou Yamamoto, che di per sé è già piuttosto semplice e di facile impatto, e rende la visione dell’anime piacevole anche a chi si avvicina senza conoscere l’opera originale; ottime anche le animazioni, pure queste abbastanza lineari, data la storia di vita quotidiana che la serie racconta, e la regia di Hiroaki Akagi, che attraverso tagli e inquadrature mirate sui due protagonisti valorizza la scena e il momento che i due stanno vivendo grazie anche al contorno fatto di disegni precisi, colori vivaci e giochi di luce che contribuiscono ad armonizzare l’insieme, rendendo il risultato assolutamente meritevole di una visione, differenziandolo soprattutto dal manga e facendo sì che la serie animata sia un media che valga la pena di vedere a prescindere che si conosca o meno la storia madre.

A questa riuscita partecipa attivamente anche il comparto sonoro, sia nella figura delle musiche di Hiroaki Tatsumi che nel doppiaggio giapponese, ma è sicuramente quest’ultimo uno degli elementi che rendono “Karakai Jouzu no Takagi-san” una formula vincente. A dare voce ai due protagonisti infatti sono due fuoriclasse dell’universo vocale nipponico recente quali Yuki Kaji (già voce, tra gli altri, di Eren Jaeger de “L’Attacco dei Giganti”, Meliodas di “Nanatsu no Taizai” o Shota Todoroki di “My Hero Academia”) e Rie Takahashi (voce di Emilia di “Re:Zero” o Megumin di “Konosuba”), entrambi perfettamente calati nel loro ruolo e protagonisti di due prestazioni mirabili che hanno reso ancora più verosimili le già realistiche vicissitudini di Nishikata e Takagi. Inutile dirlo, quasi, è soprattutto nella figura della protagonista femminile che questa sensazione viene ulteriormente amplificata: col suo lavoro vocale, tra frasi bisbigliate, toni mai sopra le righe e risate adorabili, la Takahashi valorizza un personaggio dal potenziale già importante ma ‘deflagrato’ in tutto il suo splendore in questa serie animata.
Lavoro che non si è esaurito col semplice doppiaggio, visto che Rie Takahashi è stata chiamata al non indifferente “sforzo” di cantare tutte le ending che la serie presenta, che sono sei addirittura, una diversa ogni due episodi, una scelta dettata probabilmente dalla popolarità che la seiyuu gode in patria dal punto di vista commerciale, ma che a mio modo di vedere ha impedito al pubblico - o quantomeno lo ha ostacolato -, di fidelizzarsi con le canzoni, tant’è vero che ad oggi penso di non riuscire a riconoscere immediatamente una delle canzoni usate come ending nel caso dovessi sentirla; nessuno stravolgimento invece per l’opening, "Iwanai Kedo ne" di Yuiko Ōhara, che resta unica per tutti i dodici episodi che compongono la serie, una canzone molto dolce accompagnata da scene che sottolineano soprattutto l’aspetto romantico della serie; niente di straordinario a mio parere, ma funge comunque da buon biglietto da visita per chi si appresta a cominciare l’anime.

Mi sembra inutile dilungarmi ulteriormente sulle motivazioni che mi hanno portato ad apprezzare tanto questa serie: “Karakai Jouzu no Takagi-san” è un anime particolare e, tutto sommato, non banale, anche se tratta temi già affrontati in centinaia di serie diverse. Nonostante la riproposizione dello stesso schema in quasi ogni episodio, riesce a mantenersi fresco e interessante, ed è pronto a conquistare i cuori di chi deciderà di dargli un’occasione e farsi trascinare quindi nel mini-mondo dell’irresistibile Takagi-san e del povero Nishikata, povero solo all’apparenza, visto che in realtà è, secondo il mio pensiero chiaro, uno dei protagonisti inconsapevolmente più fortunati che il mondo dell’animazione giapponese ricordi!

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Taro Nogizaka è un autore che forse potrebbe suonarvi familiare. Infatti abbiamo avuto la fortuna di apprezzarlo grazie all’ottimo Team Medical Dragon che però è rimasto interrotto dopo pochissimi volumi in Italia (grazie Planeta deAgostini...).
Non nascondo quindi d’essermi avvicinato a quest'opera con un po’ di aspettative, pur conscio che si trattasse di qualcosa di completamente differente rispetto a TMD.
Stiamo parlando infatti di una storia di tipo “mistery”, e lo è fin nel midollo se si pensa che lo stesso protagonista, Amano, è un appassionato di questo genere di letture, e nello stesso manga ci sono spesso riferimenti, espliciti o meno, alla letteratura del genere.

Tutto ruota attorno ad una torre dell’orologio, teatro di un disumano omicidio avvenuto in passato ad opera di un misterioso assassino. Alla base vi sarebbe un inestimabile tesoro nascosto nei sotterranei dell’edificio.
Il protagonista è, come detto, Amano, un ragazzo abbastanza sfigato e inconcludente che un giorno viene avvicinato da Tetsuo, un giovanotto brillante e di bell’aspetto che gli propone di collaborare al fine di recuperare il famoso tesoro della Torre Fantasma.
Da qui prenderanno ovviamente il via una serie di vicende da cardiopalma che non mancheranno di intrattenere a dovere il lettore.
Infatti ritengo questo un manga ben fatto e intrigante. A partire dal contesto storico (interessante per i moti sociopolitici sullo sfondo) che ben si lega con quel retrogusto vagamente vittoriano che l’autore dà a al tutto.
Un altro elemento pregevole è quello costituito dai personaggi: se all’inizio potranno risultare carini, ma nulla più (o qualcuno persino scontato), col tempo invece acquisteranno sempre più spessore, tanto che alla fine stupirà davvero notare come siano cresciuti.
Ultimo ma non per importanza, vi è tutto l’intreccio pregno di misteri, colpi di scena, efferati assassini, segreti, menzogne, perversioni, trappole e chi più ne ha, più ne metta.
Sotto questo aspetto soprattutto ho trovato La Torre Fantasma molto solido. Non è un’opera raffazzonata e messa assieme strada facendo, ma è evidente, giunti alla fine delle vicende, come l’autore avesse ben studiato e programmato tutto dall’inizio.

Come se non bastasse, l’opera affronta in maniera importante delle tematiche delicate riguardanti l’identità sessuale, la transessualità, i pregiudizi e il senso comune. E qui devo ammettere che mi ha stupito perché all’inizio mi ha dato semmai l’impressione si trattasse solo di un modo insolito per giocare con l’erotismo. Ad essere puntiglioso, infatti, resta il sentore di come l’autore a volte sembri indugiare (coi suoi ottimi disegni) più in chiave ecchi su questa tematica, viste le curve mozzafiato di un certo personaggio (non faccio spoiler anche se viene svelato dal primo volume); e ciò cozza con la profondità del tema trattato riguardante la sessualità, ed in parte lo banalizza, anche se questo difettuccio lo si sente più all’inizio (poi ci si abitua). O magari la cosa è voluta, visto che il lettore viene messo nei panni di Amano, spingendolo a osservare e bramare quella fisicità proprio coi suoi occhi e la sua indole allo stesso tempo vogliosa ma pudica.
Sempre volendo parlare di difetti, pur rendendomi conto di star facendo il puntiglioso, vi è forse il fatto che a volte l’autore esageri coi colpi di scena, reiterati e incessanti, tanto che potrebbero provocare assuefazione.
Mentre per quel che riguarda la storia, sarebbe risultata ancor più godibile se snellita/concentrata di un paio di volumi, soprattutto perché in alcuni frangenti si allontana di molto dalle vicende della torre, che viene praticamente messa da parte, a favore di parentesi recepite quasi come “filler” che forse potevano essere integrate meglio nel tutto, anche perché poi rivelano avere una certa utilità più avanti (vedasi il personaggio di Tesla che si scopre invece essere fondamentale).

A sostenere solidamente il tutto contribuiscono sicuramente i personaggi, che vantano psicologie molto ben fatte, per nulla stereotipate o gratuitamente malate come, invece, l’autore stesso gioca a voler far credere.
Soprattutto quella di Amano e Tetsuo risulta essere davvero un’ottima accoppiata col procedere dei volumi e, in un certo senso, un esempio vero e proprio col concludersi delle vicende, che lasciano sicuramente un senso d’appagamento misto ad un po’ di sana e immancabile nostalgia.

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È davvero difficile produrre un'opera di tema militare, spionistico e renderla non solo verosimile, ma in un qualche modo legata alla nostra realtà contemporanea, sia nei temi che nelle forme. Dare a questo informe concetto, di difficile attuazione, oltretutto una base culturale, un messaggio morale, qualcosa che crei la differenza, è oltremodo titanico. Davvero in pochi sono riusciti in tale intento. In ambito nipponico possiamo chiaramente ricordare Hideo Kojima, ma direi che il suo nome oltrepassa i confini giapponesi. Il resto del mondo continua a sfornare opere di questo genere, ma assolutamente senza la solidità e la perfetta strutturazione a cui Kojima ci ha abituati. La serie 'Metal Gear' è, obiettivamente, il miglior prodotto mai creato di questo genere, essendo riuscita a creare un mondo parallelo al nostro, ma parallelo in senso proprio e reale. Il mondo di 'Metal Gear', difatti, è il nostro mondo, artisticamente rimodellato, sviscerato, criticato; il mondo di 'Metal Gear' prosegue come il nostro, appunto, lungo una direzione parallela, analizza e metabolizza i nostri eventi passati e si permette, successivamente, di prevederne in qualche modo i futuri.

Non è affatto un caso che Itou, il creatore della storia di 'Genocidal Organ', fosse un tale estimatore di 'Metal Gear', da essere entrato in contatto con Kojima, che gli dedicò anche un epitaffio nel 2010.
Non saprei dire quale opera deve di più all'altra, probabilmente si sono sviluppate in sincronia, tenendo in considerazione l'amicizia dei due Autori, ma il tema del linguaggio (ripreso da 'Metal Gear Solid V', ma con un'altra variante) è notevolmente interessante, per quanto, a mio parere, un po' naive. La sua semplicità, forse eccessiva se paragonata al complesso castello di carte che Itou costruisce, è però utile come suggerimento cognitivo per arrivare a comprendere che alcuni procedimenti psicologici sono costantemente presenti nel cervello umano, ma che possono andare in quiescenza (ma non morte) a causa del rilassamento sociale indotto dal benessere. La trama è solida e il finale è, a mio parere, ottimo, senza fronzoli, duro e spietato come quello di 'Jin Roh': spietato sia per quel che accade che per quel che racconta. Una summa degli eventi degli ultimi trent'anni che il mondo occidentale ha subito e della sua reazione agli stessi, in chiave artistica, semplificata, ma ottimamente e con un taglio anche parzialmente lirico e poetico. Forse le musiche non sono state esattamente eccelse e memorabili per i posteri, ma nel complesso il film è quasi perfetto.

Assolutamente consigliato a chiunque apprezzi 'Metal Gear' e a chiunque voglia ben ragionare sui doveri che si presentano a noi cittadini occidentali nel momento in cui vogliamo mantenere il nostro status di pace e prosperità. La difficoltà nel concepire il concetto di libertà in ambito sociale, ma anche individuale; le restrizioni che ogni giorno ci affliggono, il grande fratello che quotidianamente ci circonda. La risposta sarà, chiaramente, d'impatto, e non digeribile da parte di tutti.