Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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Dove eravamo rimasti?
Non ho la presunzione di pensare che chi legga questa recensione possa ricordarsi come avevo chiuso quella dedicata alla prima stagione di "Sangatsu no Lion", chiaro. Se faccio un richiamo a quanto scrissi esattamente un anno fa, infatti, è solo perché in quel caso preannunciavo, conoscendo già la trama del manga, un enorme aumento di interesse, qualità e importanza che la storia avrebbe avuto in questa seconda stagione dedicata alla magnifica opera di Chika Umino, e posso dire, fortunatamente, di essere stato buon (e facile) profeta, in quanto la visione di questi ulteriori ventidue episodi, che hanno arricchito il computo totale dei quali è composta la serie, è stata un’esperienza talmente bella che fatico a definirla. Potrei dire straordinaria, potrei dire eccezionale, potrei dire superlativa, ma mi sembrerebbe sempre troppo poco, e il modo migliore per dimostrarlo, forse, è parlarne di nuovo alla fine, quindi rieccomi pronto ad esaltare come prima, e più di prima, le splendide emozioni e sensazioni autentiche che quest’opera è in grado di regalare.

La trama di fondo, va da sé, non è diversa da quanto visto nella prima stagione: “Sangatsu no Lion” è la storia di Rei Kiriyama, della sua crescita fatta di dolorose cadute e ancora più dolorose risalite attraverso un sentiero che si snoda in due arterie principali, ora parallele, ora incrocianti, nelle quali trovano posto lo shogi da una parte, essendo lui un giocatore professionista già dalla scuola media, e le sorelle Kawamoto (Akari, Hinata e Momo) dall’altra, la famiglia che Rei ha incontrato sul suo percorso e che è stata per lui ancora di salvezza, approdo felice e fonte d’ispirazione nella ricerca di un futuro migliore.
Questo è lo scenario che ci ha presentato la prima stagione di “Sangatsu no Lion”, almeno nella sua fase iniziale, perché in realtà, sul finale, ci è già stato mostrato un Rei molto diverso dal ragazzo cupo e malinconico che apriva la serie, ed è da questa nuova versione che, ovviamente, prende avvio la seconda stagione: Rei è oggi un liceale più aperto e disponibile, ha una cerchia di amici a scuola ristretta, ma che frequenta con regolarità, ha accettato il suo ruolo professionale riuscendo a vivere lo shogi ora come un’attività importante della sua vita, ma non l’unico modo per sopravvivere che rappresentava da bambino, e continua la felice frequentazione di casa Kawamoto, dove è sempre ospite richiesto e ben gradito allo stesso modo di un qualsiasi familiare.

Questa conoscenza del protagonista permette alla serie di concentrarsi in questa seconda stagione oltre che su di lui, che resta ovviamente perno centrale della vicenda, anche su altri personaggi. Vecchie e nuove personalità dell’associazione di shogi che Rei frequenta faranno infatti la loro comparsa durante la serie o affronteranno prove difficili che ci permetteranno di conoscerli in maniera più approfondita: penso ad Harunobu Nikaido, che abbandonerà qui definitivamente la sua figura di macchietta comica-amico del protagonista, penso a Sakutaro Yanagihara, membro anziano dell’associazione e amico fraterno del presidente, che sarà protagonista di episodi memorabili carichi di rimandi alla vita in ogni sua fase e agli obiettivi da perseguire durante la stessa, penso a Toji Soya, l’invincibile meijin tanto forte quanto apatico che perderà la sua maschera di perfezione e ci verrà mostrato in tutte le sue grandi debolezze. Ma soprattutto, se devo pensare a un personaggio che si ritaglierà uno spazio fondamentale in questa parte di storia, penso alla seconda delle sorelle Kawamoto, la meravigliosa Hinata. Lei infatti sarà protagonista della storia più lunga, dura ed emozionante della stagione, quando si ritroverà vittima di episodi di bullismo subito da compagne di classe, vittima tra l’altro perché aveva osato difendere la ragazza originariamente presa come obiettivo di queste violenze, che, proprio in seguito a tutto ciò, sarà costretta ad abbandonare la scuola. Ritrovatasi sola e disperata per la prima volta dopo anni di tranquilla e felice vita scolastica, Hina, come ricordo essere chiamata da amici e familiari, riuscirà a reagire senza perdersi mai d’animo grazie al sostegno di Rei, della sua famiglia e degli amici che le resteranno fedeli, diventando allo stesso tempo una fonte d’ispirazione per gli altri grazie alla sua onestà e al suo enorme coraggio, che le ha permesso di ergersi sola contro il branco unicamente per difendere la sua amica. Nessuna parola penso riuscirà mai a rendere giustizia alla bellezza che trasmettono questi episodi, ogni secondo vissuto attraverso la lotta di questa “piccola eroina”, così la definisce Rei, è un momento prezioso da preservare, ammirare, condividere.

Questa storia, e tutte le altre che si sovrapporranno a quella di Rei, che continua la sua maturazione personale e professionale, garantisce alla serie un salto di qualità e un miglioramento rispetto alla prima stagione che io oso giudicare quasi definitivo, perché tutti i difetti presenti nella prima sono stati livellati o eliminati, alcuni anche per forza di cose, chiaro; la conoscenza e il cambiamento di Rei infatti hanno evitato la sensazione di pesantezza e lungaggine che si respirava negli episodi iniziali, e anche lo shogi è una disciplina che viene raccontata solo attraverso il vissuto personale del personaggio impegnato al momento, non mediante lunghe spiegazioni tecniche che possono appassionare chi ha già una conoscenza basilare dell’argomento, ma che finivano per tediare chi dello shogi poco capiva e, in fondo, neanche immaginava di doverlo comprendere.

Nel raggiungimento di questo risultato contribuisce poi certamente anche l’aspetto tecnico, che era e resta di livello altissimo. ‘Squadra che vince non si cambia’ recita un celebre detto calcistico, e lo Studio Shaft l’ha seguito a menadito, confermando il team della prima stagione che tanto bene aveva fatto, cosicché anche questa può fregiarsi dell’impeccabile regia di Akiyuki Shinbō, del character design di Nobuhiro Sugiyama, tanto rispettoso quanto migliorativo del tratto originale di Chika Umino, e delle melodie adatte ad ogni occasione di Yukari Hashimoto. Il lavoro perfetto fatto coi disegni e le animazioni di questa seconda stagione è ulteriormente esaltato dall’importanza e dalla delicatezza della storia che raccontano: quello che era percepibile, palpabile, già nel manga infatti ha trovato un’evoluzione in questa serie animata incredibile; probabilmente non ho le competenze per far capire ogni accorgimento tecnico utilizzato dallo studio, ma fatto sta che la visione di ogni episodio è stata un’esperienza indescrivibile, con l’occhio letteralmente rapito da disegni originali, effetti grafici imprevedibili, colori di gradazione sempre diversa a seconda del momento e un contorno di inquadrature, primi piani, stacchi sui personaggi encomiabile. Questo lavoro trova ancora maggior risalto quando è usato per ‘riempire’ quei vuoti lasciati per forza di cose dal manga, e cito un esempio per rendere l’idea: il quarto episodio (che sarebbe il ventiseiesimo totale, contando anche la prima stagione) si conclude con una cena familiare in casa Kawamoto per consolare Hina reduce dai suoi problemi scolastici, e nel manga tutto questo è rappresentato in una pagina con le didascalie atte a chiarificare il momento, una soluzione sicuramente efficace per quel media; l’anime poteva adottare una soluzione simile, aggiungendo i dialoghi a qualche fermo immagine, invece mostra una lunga sequenza muta, animata con dovizia in ogni secondo, con la sola musica ad accompagnare, che vede i personaggi impegnati in piccole attività quotidiane quali cucinare o preparare la tavola per la cena, una scena tanto semplice quanto efficace che riassume tutta la poesia che questa serie è in grado di trasmettere.

Il sigillo a questa confezione impeccabile lo pone infine il comparto sonoro, nelle veci delle musiche della già citata Hashimoto, certo, motivi sempre azzeccati ad ogni circostanza, sia felice che infausta, che la storia propone, ma, soprattutto, nella figura del doppiaggio giapponese, che non mi azzardo a definire il fiore all’occhiello della serie solo per timore di fare un torto alla splendida parte grafica che ho descritto poc'anzi. Il cast dei doppiatori, difatti, tutti confermati rispetto alla stagione precedente, ha realizzato una performance lodevole sulla scia dell’anno precedente, continuando a caratterizzare ogni personaggio alla perfezione, ma, se nella prima stagione citai il doppiatore di Rei, Kengo Kawanishi, come esempio per tutti, in questa occasione non posso non citare una splendida Kana Hanazawa che ha dato voce, vita e anima a Hina, un lavoro davvero incredibile, considerando i tanti stati emotivi diversi che la ragazza attraversa nel suo percorso.
E’ quasi inutile ribadirlo, forse, visto che penso di non aver detto mezza cosa negativa finora (perché non ne sentivo davvero l’esigenza!), ma anche le opening e le ending di questa seconda stagione di “Sangatsu no Lion” sono, semplicemente, bellissime. Le due opening sono “Flag wo Tatero” della cantante YUKI e “Haru ga Kite Bokura” del gruppo degli Unison Square Garden, canzoni pop semplici e orecchiabili accompagnate da due video abbastanza simili caratterizzati da animazioni fluide, scene genuine e serene ma, soprattutto, un arcobaleno di colori in movimento tanto belli da chiedersi quasi se, rispetto al video della primissima opening molto ermetico e cupo, stessimo guardando la stessa serie; le due ending invece sono “Kafune” dei Brian the Sun e “I am standing” della giovanissima Ruann, pezzi dal ritmo più compassato, il secondo con tendenze hip-hop quasi, con due video dallo stile simile che presentano animazioni mutevoli, rapide, con disegni astratti e indefiniti che forniscono alla serie l’ennesima rappresentazione artistica di altissimo livello.

Mi piacerebbe chiudere questa recensione decisamente positiva nello stesso modo, ma mi tocca purtroppo segnalare anche come questa seconda stagione di “Sangatsu no Lion” sia stata bistratta da tutti i distributori italiani: se la prima infatti aveva potuto godere della trasmissione in simulcast in Italia grazie a Dynit sulla piattaforma VVVVID, questa seconda è stata ignorata, e resta perciò ufficialmente inedita nel nostro Paese. Non voglio entrare nelle logiche commerciali che hanno portato a questa decisione, anche perché è sempre facile fare i conti coi soldi degli altri, ma un punto di vista critico non posso non esprimerlo, in quanto ritengo assolutamente una vergogna che ogni piattaforma di trasmissione italiana abbia tralasciato, per due stagioni su quattro, il migliore, o sicuramente uno dei migliori, anime a disposizione, artisticamente parlando, sulla piazza, soprattutto pensando a quante serie insulse o neanche lontanamente paragonabili a “Sangatsu no Lion” abbiano ricevuto invece miglior sorte!
Tolta questa amara considerazione, però, che in fondo nulla ha a che vedere con la qualità dell'anime stesso, sono felice di poter ribadire le tante virtù che ha questa serie e che questa seconda stagione ha messo in mostra come meglio non avrebbe potuto: non è solo un adattamento fedelissimo del manga originale, non è solo uno spokon alternativo e intrigante, non è solo uno slice of life emozionante e coinvolgente, è soprattutto una storia di vita, sia già vissuta che da vivere ancora, che tanto può trasmettere e tanto può insegnare, è un regalo da fare a sé stessi con la consapevolezza di assistere a qualcosa di speciale che può fregiarsi del titolo, mai meno abusato in questo caso, di capolavoro, un capolavoro di gioia, amarezza, passione e tenacia che tutti dovrebbero, e meriterebbero di provare, almeno una volta, nella vita.


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Torna il team al completo di "The Tatami Galaxy" ad animare "The Night is Short Walk on, Girl", anche esso basato su un libro di Tomihiko Morimi, anche esso ambientato all'università di Kyoto, tanto da condividere con la serie animata anche una parte dei personaggi e delle situazioni, motivo per cui consiglio la visione preventiva di "The Tatami Galaxy", anche se di fatto trattano di due storie separate.

I protagonisti sono la ragazza dai capelli corvini e un suo senpai, anche esso senza nome. I due attraversano la stessa folle notte in modo antitetico: lei cerca di assaporare una delle sue prime esperienze notturne fatta di gran bevute, balli scatenati e improvvisazioni teatrali, cogliendo sempre l'attimo e diventando ovunque vada il centro dell'attenzione; nel suo peregrinare notturno, almeno all'inizio, la sua priorità non è certo focalizzarsi sui suoi compagni di serata. Lui invece in modo completamente opposto trascorre l'intera notte in funzione di lei, cercando continuamente di impressionarla, rimanendo bloccato dalle sue macchinazioni mentali e facendo sempre finta di incontrarla per caso, e pur tuttavia a causa della sfortuna rimanendo sempre ai margini delle vicende.

Questo non è certo l'unico dualismo dell'opera, che vive continuamente di opposti e di personaggi estremamente variegati e divergenti, ma comunque in qualche modo tutti collegati, e tutti accompagnati da una vena di eccentricità. Proprio "Il Re Eccentrico", musical itinerante e clandestino di denuncia a cura della compagnia di teatro universitaria è secondo me il punto più alto dell'opera: folle, surreale, in continuo mutamento della propria trama e in definitiva divertentissimo! Altra caratteristica surreale e affascinante è lo scorrere del tempo, che varia da personaggio a personaggio. Se questa strana notte che sembra per molti durare un anno, dura per la ragazza solo poche ore, per altri personaggi come il vecchio strozzino scorre invece molto più lentamente, tanto da sembrare lunga vari decenni.

Se anche a causa della breve durata, "The Night is Short Walk on, Girl" non è quel capolavoro di introspezione e di caratterizzazione dei personaggi che era invece la sua serie gemella, brilla invece per la qualità e la fluidità delle animazioni e per un ritmo ben sostenuto. Rimane invece invariata la straordinaria capacità di suscitare emozioni e risate. L'ending finale degli "Asian Kung Fu Generation" è azzeccatissima, e a film finito rimane una grandissima voglia di iscriversi all'università di Kyoto.


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Il marito di mio fratello è un’opera originariamente composta da quattro tankōbon arrivata in Italia raccolta in due maxi-volumi.
La storia narrata si caratterizza per un’impostazione innovativa che si rivolge a qualsiasi tipo di pubblico.
La descrizione leggibile sulla copertina centra esattamente qual è il cardine della storia: “[…] seguendo il filo del confronto tra lo sguardo innocente di una ragazzina e l’atteggiamento diffidente di un padre, Gengoroh Tagame affronta il tema dell’amore e della famiglia non tradizionale”.
Protagonisti di questo spaccato di vita quotidiana sono Yaichi un padre divorziato che cresce da solo la figlioletta Kana e Mike che irrompe nella loro vita presentandosi come il marito canadese dell’appena defunto gemello di Yaichi.
Proprio l’accostamento tra la diffidenza di Yaichi e l’entusiasmo di Kana nei confronti della diversità rappresentata da Mike conduce il lettore attraverso un viaggio fatto di piccole prese di coscienza e riflessioni. La particolarità è proprio qui: non ci vengono propinati stucchevoli discorsi strappa-lacrime o sermoni vari, ci vengono solo mostrate scene di una quotidianità disarmante; è dai più piccoli gesti e dalle cose apparentemente più ovvie che partono spunti di riflessione più o meno profondi a seconda dell’interesse di chi legge.
Per questo è una storia adatta a tutti: fa riflettere senza essere pesante e colpisce nonostante la sua dolcezza, difficile infatti rimanere insensibili di fronte a scene davvero toccanti.
Ho solo un paio di appunti da fare: il primo è strettamente soggettivo e riguarda un mio gusto o più un’abitudine in fatto di disegno delle figure. Tutti i protagonisti della storia uomo, donne e bambini vengono rappresentati in modo molto massiccio e solido; passi per Mike che in quanto straniero può essere una “montagna di muscoli” come viene infatti definito, ma Yaichi ha una costituzione molto simile alla sua e che differisce perciò dalle rappresentazioni di figure più longilinee alle quali sono abituata pensando a un comune uomo giapponese nella media. Stesso discorso vale per Kana, soprattutto nei disegni di spalle dà quasi l’idea di essere un blocco di marmo e due volumi non sono sufficienti per abituarsi a queste figure così plastiche.
L’ultima osservazione infine riguarda il prezzo: anche se parliamo di volumi doppi rimane sempre un po’ eccessivo (14,90€ solo per la sovraccoperta e senza pagine a colori all’interno). In particolare avrebbero potuto vendere il cofanetto a una cifra un po’ più bassa e non la mera somma dei due volumi singoli.
In ogni caso non fatevi scoraggiare dal prezzo, non vi pentirete assolutamente dell’acquisto. Lettura consigliatissima.
Voto: 8.