Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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“La sera del 21 settembre 1945, io morii.”
Con queste lapidarie parole, Seita, protagonista del lungometraggio, sembra quasi voler invitare i genitori presenti in sala a portare via i propri pargoli finché sono ancora in tempo, prima di costringerli ad assistere ad un film d’animazione certamente non adatto ai più piccoli, per tematiche affrontate e contenuti.
Subito dopo, lo spettatore diventa il silente testimone della dipartita di Seita, sfinito dagli stenti tra l’indifferenza (quando non aperto disprezzo) dei passanti. Sarà il suo spirito, assieme a quello della sorellina Setsuko, ad accompagnarci nella rievocazione della loro vita passata.

In seguito ad un bombardamento americano incendiario, i due protagonisti perdono la casa e la madre (in una scena traumatica e cruenta), per essere poi accolti da una zia, che non perde occasione per rimproverare i fratelli e rimarcare la propria generosità per averli ospitati, nutriti e per aver dato loro un tetto sotto il quale dormire. Seita, fiero figlio di un ufficiale della Marina imperiale giapponese, decide così di prendere con sé Setsuko e vivere per conto proprio, contando unicamente sulle proprie forze.
E’ in questi momenti che emerge il profondo orgoglio del protagonista, che si rivelerà infine fatale: piuttosto che cedere, ammettere la sconfitta e tornare sui propri passi, egli preferisce mettere a rischio la propria incolumità e quella della propria sorellina, spinto da una drammatica convinzione di autosufficienza. Anche dopo aver visto Setsuko avvizzire lentamente, Seita continua ad illudersi di poterla salvare da solo e, come una remora saldamente attaccata al ventre di un vorace squalo antropofago, si dà allo sciacallaggio, approfittando degli attacchi aerei nemici per razziare le abitazioni dei suoi concittadini in cerca di beni da barattare e generi alimentari. In questo modo, secondo una qualche spietata ironia, finisce per allontanarsi dall'unica persona importante della sua vita, lasciandola sola proprio quando questa ha più bisogno di lui.
Queste scelte discutibili pongono Seita sotto una luce alquanto negativa. Non sarebbe stato più semplice chiedere aiuto? Perché non chinare la testa con umiltà, anziché permettere che la vita di Setsuko si spegnesse progressivamente, consumata dalla denutrizione? In verità, anche qui risiede il tragico e duro realismo del film: non ci si concentra solo sulle concrete difficoltà che un conflitto di una simile portata infligge sulla popolazione (miseria, carenza di cibo e beni di prima necessità, esasperazione), ma anche sulla delicata psicologia di un giovanissimo cittadino nipponico entusiasta e cresciuto con il mito della gloria del proprio Paese, la cui sconfitta lo getta in uno stato di evidente shock emotivo.
Il sapere che sarebbe bastato così poco per salvare entrambi, anziché sminuire la pesantezza del risultato conclusivo, ne aumenta indubbiamente il fardello.

Lo stesso comparto tecnico si adegua alla serietà della storia, proponendo un character design che, pur restando quello classico dello studio di produzione, si mostra a volte anche ruvido e sporco, e dei fondali sempre realistici e ricchi di dettagli, ma che volutamente non sovrastano le sequenze, evitando di sviare l’attenzione dalla vicenda in corso. Le animazioni sono fluide e illustrano alla perfezione ogni minimo gesto di vita quotidiana.
La colonna sonora mantiene una sobrietà di fondo e, senza ricorrere a roboanti brani carichi di drammaticità, si limita a proporre sonorità malinconiche e delicate. Il doppiaggio e l’adattamento italiano sono piuttosto buoni, anche se le interpretazioni di alcune figure secondarie sono leggermente sottotono.
La regia è particolarmente lenta e compassata e risalta per alcune inquadrature statiche che indugiano crudelmente sugli orrori e la devastazione dei bombardamenti o, paradossalmente, sulla bellezza dei paesaggi naturali in cui Seita e Setsuko si rifugiano.

“Una tomba per le lucciole” (titolo originale “Hotaru no Haka") narra in termini brutalmente crudi la realtà della guerra vista dalla prospettiva degli individui più vulnerabili e indifesi. Il focus, tuttavia, non è la guerra, né una visione globale dei destini del mondo e dell’umanità: il regista Isao Takahata resiste alla tentazione di inserire scontati messaggi e discorsi pacifisti, preferendo concentrarsi sullo struggente rapporto tra i due protagonisti e sulla loro lotta per la sopravvivenza.
Ancora una volta, lo Studio Ghibli eccelle nella creazione di una relazione straordinariamente toccante tra i personaggi principali: noto l’epilogo di questa triste vicenda, è impossibile non commuoversi di fronte ad ogni singolo momento di spensieratezza e intimità condiviso tra Seita e Setsuko, due fratelli uniti da un legame indissolubile di amore e fiducia. Ogni loro risata, ogni loro lacrima è uno spillo arroventato nel cuore dello spettatore, è impossibile non rimanere coinvolti dalla loro tenerezza e dalle loro atroci sofferenze.
“Una tomba per le lucciole” è un piccolo straziante gioiello.


8.0/10
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I gatti sono animali misteriosi, un tempo considerati magici e sacri da alcune culture antiche, che da sempre accompagnano l'uomo nella vita quotidiana.
I protagonisti di questo manga sono proprio un gatto di nome Kuro e la sua padrona Coco, che vivono insieme serenamente all'interno di un'enorme villa situata in una cittadina dove gli abitanti affrontano ogni giorno la paura dei mostri che si aggirano nei pressi del bosco confinante. Nonostante l'atmosfera di costante pericolo che pervade la città, Coco non sembra curarsene e passa le giornate a coltivare fiori e a giocare con Kuro, il quale a sua volta nasconde una natura sovrannaturale di cui la sua padrona non sembra essere a conoscenza; tale natura del gatto non sembra tuttavia essere sfuggita agli altri abitanti della città, che la temono.
L'edizione che ho letto è il box da tre volumi targata J-POP, con copertina flessibile, carta di buona qualità e disegni di pregevole fattura. Una particolarità da segnalare è che in ciascuno di questi volumi la prima metà, che tratta la storia principale, presenta disegni colorati, mentre la seconda metà, che racconta retroscena e passato dei personaggi, è in bianco e nero.
L'opera di Somato si presenta come una favola gotica che piacerà senz'altro agli amanti dei gatti, dato che in più occasioni vengono presentate situazioni di quotidianità che risulteranno alquanto familiari a chi ha avuto occasione di convivere con un felino domestico.
Il racconto ha un incedere volutamente compassato che vuole trasmettere al lettore una sensazione di calma apparente e al contempo un clima di tensione. Complessivamente "Kuro" è una lettura piacevole; l'unica pecca è per il finale che lascia alcuni interrogativi irrisolti.


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“Clean Freak” è forse uno degli anime più sottovalutati della stagione estiva 2017. Il motivo è molto semplice: chi lo ha cominciato, me compreso, era convinto che si trattasse di uno spokon calcistico con un protagonista un po' particolare. In realtà si trattava di un grosso equivoco: l'anime, infatti, racconta invece le vicende di un protagonista un po' particolare a cui piace giocare al calcio. E in questo caso, invertendo l'ordine dei fattori, il risultato cambia.
In realtà anche quest'ultima affermazione, come vedremo dopo, si rivelerà abbastanza approssimativa; per il momento, però, trascurerò i difetti che essa contiene, perché come concetto è fondamentale per capire il perché in molti hanno finito per giudicarlo, a mio avviso, in maniera un po' frettolosa.
Ma prima che qualcuno pensi che mi sia bevuto il cervello affermando due volte la stessa cosa, per poi pontificarci sopra, spiegherò meglio il mio punto di vista. E' una questione di prospettiva: la vera pietra angolare dell'opera, a differenza di quanto può sembrare a una prima occhiata, non è il calcio, bensì Aoyama e il suo disturbo. L'intento dell'anime non è quello di mostrare partite all'ultimo respiro, tant'è vero che, quando ce n'è una, si salta da un punto all'altro dell'incontro senza farsi troppi problemi; il suo vero obiettivo, invece, è quello di suscitare il riso dello spettatore raccontando le assurde manie di Aoyama e soci. Ovviamente non credo affatto che chi ci si è avvicinato pensasse di trovare un anime alla “Captain Tsubasa”: che l'asso della squadra fosse un tipo un po' strano lo si intuiva già dal titolo, per cui era difficile cadere in fraintendimenti clamorosi. Credo, invece, che sia stata la sua struttura ad aver colto in molti di sorpresa.
Per farla breve, è mia opinione che l'equivoco iniziale abbia avvicinato all'anime una fetta di pubblico più vicino agli spokon che alla comicità demenziale; e che, ovviamente, poi questi siano rimasti insoddisfatti da quello che hanno visto. Il risultato finale di tutto questo è stato che, pur non essendo un capolavoro, “Clean Freak” ha comunque ricevuto da chi lo commentava una considerazione inferiore rispetto a quella che meritava.

Ma parliamo dell'anime. Aoyama è un liceale che soffre di un particolarissimo disturbo della personalità: la germofobia. In poche parole ha paura dello sporco e dei germi, e, per evitare qualsiasi tipo di contaminazione, adotta una serie di comportamenti atti alla conservazione della propria pulizia corporea. Per fare degli esempi: prima di sedersi pulisce accuratamente la sedia e il banco; non permette a nessuno di toccare il suo corpo; non ingerisce cibo che non sia stato cucinato da lui stesso. Nonostante tutti questi problemi il ragazzo non vuole rinunciare alla sua passione, il gioco del calcio; e, anche se sembra impossibile, riesce a trovare un sistema per risolvere il problema: in campo sfodera una serie di movimenti che, allo stesso tempo, gli permettono di sporcarsi il meno possibile e di esprimere tutto il suo immenso talento. Aoyama diventerà, così, uno dei ragazzi più popolari della scuola e finirà per entrare in contatto con tutta una serie di persone strambe almeno quanto lui.

“Clean Freak” è sostanzialmente un anime di tipo demenziale, che fa largo uso di riferimenti ad altri titoli famosi come “Food Wars”, “Kuroko no Basket” o “Sword Art Online”. La sigla finale poi è una vera chicca: canzone e immagini rimandano a “Tobidase Seishun”, un telefilm giapponese sul calcio dei primi anni settanta. Come già detto, la parte sportiva occupa un ruolo marginale nello svolgersi dell'azione: le partite, in realtà, non mancano, ma dopo pochissimo tempo ci si rende conto che non hanno nessuna importanza intrinseca.
Questa, però, non è l'unica sorpresa che riserva questo anime; e, arrivati a questo punto, bisogna anche spiegare perché consideravo l'affermazione fatta inizialmente come approssimativa.
Aoyama è certamente la figura centrale della storia, in quanto le vicende ruotano tutte attorno a lui; però più che come “il protagonista” io lo definirei solo come “il primo personaggio della storia”. Ogni episodio (o quasi) viene infatti dedicato a un personaggio secondario che domina la scena per tutti e venti i minuti; in diversi casi Aoyama partecipa alle sue vicende, ma in altri appare solo come uno dei tanti. Come scelta narrativa si è trattato, ovviamente, di un azzardo, ma, a mio avviso, ben ponderato: le acrobazie del nostro germofobico, per evitare di entrare in contatto con cose e persone, sono divertenti, ma non credo che da sole avrebbero retto il peso di dodici episodi. Per cui, a chi dice che Aoyama come personaggio è stato sfruttato poco io ribatto che invece è stato ben tutelato: un suo “dribbling alla sporcizia” suscita la stessa ilarità (piccola o grande che sia) indipendentemente dal fatto che l'episodio che stiamo guardando sia il primo o l'ultimo.
Avendo affidato ogni episodio a un personaggio diverso, “Clean Freak” aveva però anche perso ogni velleità di creare una trama unitaria che potesse costituire il punto forte dell'opera. Il suo successo, quindi, dipendeva esclusivamente dall'appetibilità dei personaggi secondari; se fossero stati in grado di conquistare il pubblico, bene, in caso contrario avremmo assistito a un flop generale.
Fortunatamente, però, il risultato ottenuto è stato più che apprezzabile: in media i “comprimari” risultano abbastanza divertenti con alcune punte di altissimo livello. Non mancano, però, personaggi molto meno interessanti: e, quando arriva il loro turno, l'episodio in questione è fiacco e senza grandi spunti comici.

Complessivamente questo “Clean Freak” mi è piaciuto: l'idea di un calciatore germofobico è originale e capace di innescare diverse situazioni molto divertenti. Non è, ovviamente, un titolo da annoverare fra le eccellenze; è comunque un buon anime, che riesce a strappare qualche risata e che contiene una serie di chicche che piaceranno sicuramente a chi guarda qualcosa in più di una serie ogni tanto.