Lucca Comics & Games 2025: Keiichiro Toyama, una carriera tra horror e innovazione

Reportage degli interventi del maestro Toyama, tra passato, presente e considerazioni personali

di DannyK

Nel cuore del Lucca Comics & Games 2025, uno degli ospiti più apprezzati è stato senza dubbio Keiichiro Toyama, game designer giapponese di culto, protagonista di un panel pubblico seguito da un dialogo più raccolto durante un press café con la stampa. Le trascrizioni ed il racconto di questi due momenti, vi permetteranno di ricostruire in modo organico il percorso creativo e umano, tra ricordi, riflessioni e anticipazioni sul futuro. Toyama non si è limitato a snocciolare aneddoti sulla sua carriera, ma ha intrecciato i suoi racconti con domande e suggestioni, offrendo ai presenti uno spaccato autentico del suo modo di intendere il lavoro videoludico e la natura dell’horror.

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«Il momento che ha cambiato tutto? La scelta di creare Silent Hill, quando mi è stato proposto di dirigere un nuovo horror oppure un capitolo sportivo. Non era una scelta scontata: il mio interesse per la paura del buio e per ciò che non si vede davvero ha guidato tutta la prima ideazione del gioco.»

Keiichiro Toyama è cresciuto nel Kyushu, in una zona rurale lontana dalle grandi metropoli giapponesi. Quell'ambiente di campagna ha rappresentato per lui una fonte cruciale di ispirazione. Durante l'infanzia, i manga televisivi e la cultura popolare giapponese erano estremamente diffusi, influenzando profondamente la sua formazione creativa. Questa combinazione di isolamento geografico e immersione nella cultura popolare gli ha fornito una visione particolare del mondo, che avrebbe poi caratterizzato tutta la sua opera.

Dopo il liceo, decide di trasferirsi a Tokyo, dove trascorre i primi due anni in maniera libera, vivendo con amici senza iscriversi subito all'università. Proprio come aveva visto nei manga durante l'infanzia, sperimenta una vita bohémienne tipica della capitale. In questo periodo lavora in un negozio di noleggio cinematografico, un'esperienza che, sebbene possa sembrare marginale, si rivela fondamentale per il suo sviluppo artistico. Attraverso il contatto quotidiano con film e il cinema, sviluppa una sensibilità visiva e narrativa che utilizzerà per tutta la vita. Quando si iscrive all'università, studia cinematografia, ma contemporaneamente continua a lavorare con i film. Questo lavoro apparentemente secondario diventa per lui uno strumento essenziale per imparare a esprimere concetti complessi attraverso il linguaggio visivo e narrativo. È un periodo di apprendimento intenso, dove pratica ciò che studierà teoricamente in università.

La ricchezza delle riflessioni proposte da Toyama si è riverberata anche nei confronti con il pubblico. Un visitatore ha chiesto: “Quanto ha influito la paura nella sua vita e nelle sue opere? Si è ispirato a film come L’Esorcista o agli autori occidentali?” Toyama ha risposto alternando ricordi personali e riferimenti teorici: «Sì, la paura è centrale. Al buio, l’infanzia ci spinge a immaginare cose che non vediamo. Nei miei giochi, ho voluto coinvolgere il giocatore come protagonista emotivo, inserendo la nebbia o inserendo rumori indefiniti e sporchi, in modo che ci si senta sempre sull’orlo del mistero.»
 
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Entra in Konami nel 1994, lo stesso anno in cui esce la prima PlayStation, un momento fondamentale per l'industria videoludica. Questo timing perfetto lo pone al centro di una rivoluzione tecnologica: il passaggio dalla grafica bidimensionale a quella tridimensionale. L'atmosfera aziendale è estremamente creativa, carica di possibilità inedite. Durante il suo primo colloquio, Toyama porta un portfolio che dimostra la sua passione tecnica: disegni di pixel art e materiale visivo. Un dettaglio significativo: non tutti i candidati possedevano computer personali per creare portfolio, e lui aveva realizzato i propri disegni manualmente, creando qualcosa di tangibile e originale che colpisce positivamente i recruiter di Konami. Nei primi anni, lavora come assistente di game designer, collaborando a tre titoli cruciali: Snatcher (versione originale di Hideo Kojima), Policenauts e un progetto legato alla motion capture. Proprio in questi anni scopre che la sua principale competenza risiede nella comprensione dell'hardware Sega e nella padronanza delle tecniche specifiche della piattaforma. I superiori apprezzano tantissimo il suo lavoro, tant'è che dopo aver collaborato al primo progetto legato alla 3D, riceve l'incarico di dirigere il progetto successivo. La motion capture lo affascina profondamente: scopre come questa tecnica, apparentemente semplice nei principi, possa creare movimenti estremamente realistici. La sua capacità di gestire questa tecnologia con efficacia lo porta a essere promosso a direttore prima di aver compiuto 25 anni.

Il momento che trasforma completamente la sua carriera arriva quando il capo della divisione gli propone una scelta cruciale: dirigere un nuovo capitolo di "Track & Field" oppure creare un nuovo gioco horror. In realtà, era stato deciso che un altro direttore più esperto avrebbe avuto la priorità nella scelta ed è proprio questa la più importante sliding door della sua vita, perché il più anziano scelse il titolo sportivo di SEGA. L'ispirazione per Silent Hill nasce da una combinazione di influenze specifiche. Innanzitutto, Stephen King rappresenta il punto di partenza per la visione dell'orrore moderno. David Lynch, con il suo stile estetico fatto di contrasti bianco e nero e atmosfere surreali, fornisce il framework visivo. Ma c'è un elemento personale più profondo: la paura del buio. Durante l'infanzia di Toyama, la paura del buio era un'esperienza universale. Eppure nei videogiochi horror contemporanei, specialmente in Resident Evil, questa dimensione psicologica era assente. C'era l'orrore biologico, le creature mostruose, la minaccia diretta e visibile, ma non c'era la paura primordiale di ciò che non si vede. Toyama decide di costruire il suo gioco su questa assenza, su questa invisibilità che genera terrore.

Per questioni puramente tecniche, la prima PlayStation presentava limitazioni significative di rendering. Se avesse cercato di disegnare completamente l'ambiente circostante con poligoni pieni, il sistema sarebbe collassato per la pesantezza computazionale. Convertire questo limite in una scelta artistica, fu il lampo di genio: introduce la nebbia per limitare la visibilità, e il buio non come mancanza di grafica, ma come scelta consapevole di design. Quello che inizialmente sembrava un compromesso tecnico diventa l'elemento distintivo del gioco. La nebbia di Silent Hill non è un effetto gratuito: è un meccanismo che obbliga il giocatore a immaginare quello che non vede, a costruire mentalmente le minacce. La paura, quindi, non risiede in ciò che è rappresentato, ma in ciò che viene suggerito e lasciato all'immaginazione. La scelta di ambientare il gioco negli Stati Uniti viene influenzata da Stephen King e dalla visione americana dell'orrore, ma anche da un'esperienza concreta. Konami aveva una filiale a Chicago, e Toyama visita la città, osservando paesaggi e atmosfere che corrispondono perfettamente alla sua visione di una cittadina americana inquietante. Silent Hill introduce anche una dimensione narrativa complessa, ricca di cinematiche e sequenze video che erano all'epoca piuttosto innovative. La scelta di un protagonista ordinario, non un eroe specializzato, rappresenta un'ulteriore rottura rispetto ai canoni dell'horror videoludico. Il giocatore non è un soldato addestrato o una figura di autorità: è una persona normale, disorientata, che deve cercare di comprendere cosa sta accadendo in una realtà incomprensibile.

Nel 2003, sulla PlayStation 2, Toyama concepisce Forbidden Siren, un progetto che segna un'evoluzione significativa del suo linguaggio creativo. Se Silent Hill si basava sulla solitudine del protagonista e sulla sua lotta individuale, Siren introduce una prospettiva radicalmente diversa: il punto di vista corale. La meccanica principale del gioco, il "Jack Eye", permettere al giocatore di vedere il mondo attraverso gli occhi di molteplici personaggi diversi, nasce da un'intuizione tecnica affascinante. Mentre studia le tecnologie dei sottomarini, scopre come il sonar funzioni: utilizza il suono per rilevare oggetti e minacce invisibili. Converte questo principio in una meccanica videoludica: anziché usare il suono per "vedere", crea una visione speciale che simula la percezione altrui. Questo metodo permette al giocatore di osservare nemici e situazioni da prospettive diverse, mantenendo l'elemento di invisibilità e paura (non sai chi sono gli effettivi nemici, li vedi dal loro punto di vista senza comprenderli).

Dopo una carriera costruita sull'orrore e la paura, Toyama compie una scelta audace e controintuitiva: creare un gioco di azione e avventura con una protagonista femminile, incentrato sulla sospensione della gravità, su una piattaforma portatile (PlayStation Vita), e con uno stile estetico completamente differente. Questa non è una decisione casuale, ma il risultato di una riflessione estetica decennale. Negli anni precedenti, aveva già accumulato idee alternative, sempre rimaste nel cassetto. Si ispira al fumetto franco-belga e a stili visual come quelli di Alejandro Jodorowsky creatore di una visione artistica profondamente diversa dall'horror. Gravity Rush rappresenta il concetto che una piccola variazione (l'assenza di gravità) può trasformare radicalmente la percezione di un mondo. Se in Silent Hill il buio e l'invisibilità generano paura, in Gravity Rush l'assenza di gravità genera meraviglia e uno senso di libertà fisicamente impossibile. La transizione da un genere all'altro non rappresenta una negazione del suo passato, ma un'evoluzione consapevole della sua filosofia creativa: la ricerca di esperienze emotivamente intense attraverso l'esplorazione di concetti fisici e percettivi.
 
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Nel settembre 2023, Toyama lascia il Giappone e tre mesi dopo fonda il suo studio indipendente, Bokeh Game Studio. Questa decisione rappresenta un momento cruciale: il passaggio da creatore all'interno di grandi corporazioni a imprenditore indipendente e autore nel senso più pieno del termine. Le ragioni di questa scelta sono molteplici. Durante gli anni presso Sony, pur potendo contare su maggiore libertà rispetto a Konami, aveva avvertito una progressiva focalizzazione della casa verso grandi franchise e sequel. Sony voleva propriamente costruire capitoli monumentali di serie già affermate, mentre Toyama creava opere molto particolari, non sempre allineate alla visione corporate della casa produttrice. L'indipendenza gli consente di recuperare una libertà creativa assoluta, sebbene comporti anche responsabilità decisionali totali. Con il suo team, sviluppa Slitterhead, il primo titolo dello studio. Il gioco rappresenta una fusione concettuale tra il suo passato e il suo presente: mentre il team guarda all'estetica dei film horror di Hong Kong degli anni '90, Toyama sintetizza decenni di esperienza nella creazione di atmosfere oppressive e personaggi ordinari intrappolati in realtà mostruose.

Toyama ha riconosciuto l’importanza del suo passato in Konami e Sony, ma ha spiegato che la nascita di Bokeh è stata una necessità artistica. “Dopo tanti anni in grandi aziende, volevo un luogo dove poter lavorare in modo più libero, dove le idee nascessero in dialogo diretto tra le persone. L’industria giapponese ha ancora un approccio molto gerarchico: noi stiamo cercando qualcosa di più fluido, più umano.” La collaborazione con veterani come Kazunobu Sato e Junya Okura nasce proprio da questa volontà di costruire uno studio dove “le esperienze individuali si fondano senza perdere l’identità di ciascuno”.

Interrogato su come concepisce oggi la paura, Toyama ha risposto con semplicità: “Non credo più nel terrore che arriva dall’esterno. La paura più autentica è quella che nasce dal non capire l’altro, o dal non riconoscere noi stessi.” La società contemporanea vive un’epoca di frammentazione e alienazione — e l’horror è uno specchio perfetto di questa condizione. “Quando ho creato Silent Hill, parlavo di solitudine e senso di colpa. Oggi quei temi sono ancora vivi, ma si manifestano in modo diverso: nella paura di essere isolati, di non appartenere.

Durante il press café, l’autore ha affrontato anche il grande tema dell’intelligenza artificiale: “Come cambierà il ruolo dell’autore con la diffusione dell’IA e delle esperienze on demand?” Toyama ha risposto con cautela: “La tecnologia evolve, ma resta centrale la vision creativa dell’individuo. L’IA serve da assistente, non da sostituta: la differenza la fa il coordinamento umano che dà senso all’opera.

L’atmosfera di Lucca ha permesso anche domande sulla relazione tra cultura e paura. Un giornalista ha domandato: “Perché l’horror giapponese è così potente?” Toyama ha contestualizzato: “La cultura giapponese è radicata in una familiarità col sovrannaturale, con l’invisibile, con tutto ciò che è occulto. Sono esperienze che si respirano fin da piccoli nella televisione, nei racconti e nei paesaggi stessi.

Sui suoni e la colonna sonora nei videogiochi horror, Toyama evidenzia una differenza cruciale rispetto al cinema: nel videogioco, il suono deve affiancarsi all'emozione del giocatore, accompagnando e amplificando le sue reazioni. Non è passivo come in un film; deve essere parte integrante dell'esperienza interattiva, creando tensione attraverso l'ascolto e guidando le scelte del giocatore.

Quando viene chiesto se creare horror lo ha reso immune all'orrore, Toyama risponde onestamente: “no, non sono diventato più coraggioso.” Tuttavia, durante il lavoro, i temi e i concetti iniziano ad acquisire familiarità, perdendo il potere emotivo iniziale. Questo rappresenta una sfida creativa costante: cercare di ritornare all'inizio del progetto, di ricordare le proprie paure originarie per trasferirle autenticamente nel gioco.

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In tempi moderni, spaventare gli spettatori è diventato più difficile. L'eccesso di informazione, la disponibilità di street view e mappe digitali, la saturazione di immagini — tutto ciò ha eliminato la dimensione dell'ignoto che alimentava la paura nei tempi precedenti. Toyama osserva che quando arriva in un paese nuovo, oggi può consultare Google Maps in anticipo, conoscere ogni strada prima di arrivarvi. Questo elimina la curiosità, il senso di scoperta, e quindi anche quella componente di paura che nasce dall'incertezza. Nel passato, arrivare da straniero in un luogo sconosciuto era un'esperienza carica di tensione e scoperta simultanea.

L'elemento che rimane sempre efficace, secondo Toyama, è ciò che non comprendiamo pienamente, ciò che rimane ambiguo e aperto all'interpretazione. La paura moderna deve radicarsi non nell'invisibilità del buio, ma nell'incomprensibilità di ciò che vediamo. Non è la mancanza di informazione, ma l'eccesso di informazione contraddittoria e inspiegabile che genera il vero terrore contemporaneo.

Videogioco non horror preferito? La risposta è diretta ed anche divertente: “Un puzzle game! Ho bisogno di rilassarmi!”. Parlando invece del suo capitolo preferito, nell'evoluzione della serie horror da lui creata, ha più volte nominato Silent Hill 4 come il culmine delle idee partorite dal Team Silent nel 1999.

La carriera di Keiichiro Toyama rappresenta un percorso continuo di ricerca artistica, dall'horror introspettivo di Silent Hill alla fantasia liberatoria di Gravity Rush, fino all'horror urbano di Slitterhead. Attraverso tutte queste fasi, rimane costante la sua ricerca di autenticità emotiva, di creazione di esperienze che parlano direttamente alle emozioni primordiali dell'esperienza umana. Anche il maestro ha avuto l'onore di essere inserito nella walk of fame del Lucca Comics & Games, imprimendo le sue mani e la sua firma nel blocco di cemento.

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