B: the Beginning. Cremona ed i suoi misteri. Recensione
Due storie, un solo anime.
di npepataecozz
B: the beginning è una serie anime nata dalla penna di Katsuya Ishida, prodotta da Production I.G e diretta da Kazuto Nakazawa e Yoshiki Yamakawa; la serie è stata poi inclusa tra le esclusive del catalogo Netflix.
Il regno di Cremona è in fermento a causa di una serie di omicidi compiuti da un misterioso assassino a cui è stato dato il nome di Killer B, a causa del simbolo che è solito disegnare accanto al corpo delle vittime. Sulle sue tracce si muoveranno i poliziotti del RIS i quali, però, scopriranno che la situazione è molto più complessa rispetto a quanto ci si potesse aspettare: dovranno fare i conti con misteri millenari, complotti scientifico-militari, assassini di origine non umana, psicopatici di origine umana e con una serie all'apparenza interminabile di segreti e misteri.
Cominciamo la nostra analisi facendo una piccola precisazione: anche se il nome della città in cui si svolgono i fatti si chiama Cremona, anche se la squadra di polizia locale si chiama RIS (che non corrisponde al nostro Reparto Investigazioni Scientifiche ma alla più fantasiosa Royal Intelligence Service), anche se molti negozi hanno insegne in lingua italiana, anche se le zeppole di San Giuseppe fanno parte della tradizione gastronomica locale, la storia non si svolge affatto in Italia, ma è ambientata in un mondo di fantasia. A dimostrazione di questo, ad esempio, si pensi che i nomi dei personaggi e di molte pietanze sono giapponesi e che i giornali locali usano la lingua inglese. Per questo motivo troverei infondate eventuali critiche che si basino sulle incongruenze tra la Cremona rappresentata nell’anime ed i tratti caratteristici di una qualsiasi città italiana: l’autore ha solo voluto fare degli omaggi al nostro paese e non ambientare la storia in Italia.
La sceneggiatura, come si sarà ormai intuito, ha nella complessità la sua caratteristica principale ma, a differenza di quanto ci si possa aspettare, non risulta quasi mai stancante o ammorbante: l'anime, infatti, riesce ad alternare intelligentemente misteri e spiegazioni, attraverso un dosaggio che da un lato dà soddisfazione allo spettatore, perché quest'ultimo riceve sempre le risposte che necessita nel breve periodo, ma che dall'altro non chiude mai il cerchio e lascia aperte molte questioni che verranno risolte solo col tempo. In questo contesto mi sento di condividere l'idea, espressa da molti, secondo cui alcune complicazioni erano evitabili, poiché appesantiscono inutilmente la trama; ma si tratta di un difetto trascurabile in quanto, generalmente, si riferiscono a dettagli di scarsa importanza. A completare il quadro ci sono molti momenti di puro alleggerimento che risultano molto utili a far legare emotivamente lo spettatore coi vari protagonisti.
Sempre in relazione alla sceneggiatura, la trama può essere comodamente divisa in due parti: a seconda dei personaggi coinvolti, infatti, si può parlare di una componente “umana” e di una componente “non umana”. Pur essendoci, ovviamente, molti punti di contatto, la sensazione che resta dopo la visione dell'anime è che una parte non era strettamente necessaria all'altra ma che ognuna avrebbe potuto vivere benissimo di vita propria. La cosa potrebbe essere interpretata come un difetto, e forse lo è; tuttavia anche in questo caso non darei troppa importanza alla cosa, dato che da un lato tutte e due le parti risultano comunque coinvolgenti e che dall'altro si tratta pur sempre della stessa storia vista da due diversi punti di vista.
Dove, invece, questa bipartizione diventa importante è nell'analisi dei personaggi. Il grado di attrattività di questi ultimi, infatti, è diversa: i RIS risultano di gran lunga più affascinanti rispetto a Koku ed ai “Market Makers”. La spiegazione del diverso livello di appeal sta nel fatto che le personalità di questi ultimi, almeno secondo il parere di chi scrive, non sono state approfondite sufficientemente. Koku, ad esempio, è un personaggio con una personalità all'apparenza piena di sfaccettature ma che, paradossalmente, rischia di essere ricordato solo per il suo ripetere ossessivamente “dov'è Yuna?” di fronte al nemico di turno.
Molto diverso, invece, il discorso sugli umani. Sia che si parli di personaggi importanti che si parli di personaggi secondari, è molto semplice instaurare un legame con loro, perché le loro personalità sono state approfondite decisamente meglio. La vera mossa vincente, però, è stata quella di non aver puntato su poche personalità carismatiche ma su un team brillante ed affiatato: da questo punto di vista posso spingermi ad affermare che i veri protagonisti di questo anime non sono né Keith né Lily ma i “RIS” considerati nel loro complesso.
A completare l'opera concorrono anche un comparto grafico di primissimo ordine ed una colonna sonora eccezionale. Una menzione particolare merita la sigla di chiusura, “The Perfect World” composta da Marty Friedman e cantata da Jean-Ken Johnny, il vocalist dei Man with a mission: mai saltata una volta alla fine di ogni episodio. Non c’è invece una sigla iniziale vera e propria ma la sua assenza non si nota affatto.
In definitiva il mio giudizio su questo anime è molto buono. Nonostante i difetti evidenziati, infatti, B: the beginning è un anime che riesce a mantenere sempre alta l'attenzione dello spettatore; e grazie alla decisione di Netflix di proporre tutti insieme i dodici episodi che compongono la serie, la possibilità che la sua visione si trasformi in una maratona è un'eventualità tutt'altro che remota. Probabilmente non piacerà a tutti: ma a parere di chi scrive andrebbe almeno provato.