Mary e il fiore della strega: la recensione del film dall'anteprima al Napoli Comicon

Uno studio nuovo di zecca alla sua prima fatica cinematografica ma con l'esperienza di una buona parte dell'ex staff Ghibli. Scopriamo come è andata!

di Ironic74

Ho un'abitudine dura a morire, per quanto riguarda la fruizione di film e serie tv: ossia leggere lo stretto indispensabile di quello che vedrò, per evitare spoiler fastidiosi che possano decretare una visione falsata e poco appagante di un titolo che voglio gustarmi. Se questo solitamente mi mette al riparo da brutte sorprese, di sicuro altre volte ha generato in me idee erronee circa la reale natura e le intenzioni che avevano portato alla realizzazione di un'opera.

È successo anche pochi giorni fa, durante la visione in prima assoluta al Comicon di Napoli del film Mary e il fiore della strega.
 
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Ero infatti convinto che questo film fosse stato prodotto da dei "dissidenti"... Lo Studio Ponoc è per lo più formato da elementi che hanno militato a lungo in uno degli studi di animazione più famosi al mondo, il Ghibli, a cominciare proprio dal regista, quell'Hiromasa Yonebayashi che avevamo conosciuto con pellicole quali Arrietty - Il mondo segreto sotto il pavimento e Quando c'era Marnie, e che lo avevano fatto additare, addirittura, come il papabile sostituto di Miyazaki. Come Yonebayashi, uscito dallo studio del maestro Hayao, anche il produttore Yoshiaki Nishimura, la sceneggiatrice Riko Sakaguchi (La storia della principessa splendente) e alcuni tra i migliori animatori Ghibli, quali Takeshi Inamura, Akihiko Yamashita ed Ei Inoue, sono migrati nel neonato Ponoc.

Ma qual era l'idea erronea che mi ero fatto? Quella che tutti questi personaggi, che avevano dedicato anni al celebre studio del maestro Miyazaki, se ne fossero andati un po' sbattendo la porta, desiderosi di proporre qualcosa di nuovo e forse stufi delle iconiche personalità che per tanti anni avevano tracciato la via da seguire.

Ecco perché, trovandomi di fronte a un prodotto che è in tutto e per tutto un inno allo spirito ghibliano, sono rimasto non poco spiazzato. E infatti avevo preso un bel granchio!
 
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Subito dopo la visione del film, mentre studiavo come mio solito per la stesura di questa recensione, ho appreso che a far sedere Yonebayashi e Nishimura in un coffee shop di Tokyo nel 2014, per parlare di un nuovo film e poi della fondazione di un nuovo studio, non fu il desiderio di fare qualcosa di diverso, ma anzi di preservare i valori e lo stile dello Studio Ghibli, che li aveva visti crescere come artisti e persone. Il fattore scatenante fu proprio l'addio (all'epoca considerato definitivo) dalle scene artistiche dello stesso Miyazaki nel 2013.

Lo Studio Ponoc nasce così il 15 aprile del 2015. Il nome ha origini croate e significa "mezzanotte" e vuole rappresentare l’inizio di un nuovo giorno mentre come simbolo ha proprio Mary e il fiore della strega. E possiamo dedurre la chiara impronta ghibliana che accompagna i lavori di Yonebayashi dal logo stesso scelto per il neonato studio, ossia il visino di Mary girato a destra, che richiama un po' il faccione di Totoro, volto nella stessa direzione. Questo è solo il primo di una lunga serie di déjà-vu, che partono dal soggetto del film, la cui storia deriva dal romanzo inglese The Little Broomstick (lett. La piccola scopa, edito da Mondadori) di Mary Stewart, una favola che non può che rimandare al classico eco ghibliano sui romanzi fantasy per bambini occidentali, con protagoniste giovani fanciulle tanto testarde quanto coraggiose, tratto distintivo quasi considerato un vero e proprio marchio di fabbrica del Ghibli.
 
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Il "nuovo staff", insomma, si comporta come se niente in realtà fosse mai finito e già dal primo trailer di Mary e il fiore della strega (メアリと魔女の花 Mary to Majo no Hana, in originale) i fan mondiali non hanno potuto esimersi da avanzare paragoni con un'altra maghetta, la giovane aspirante strega di Kiki – Consegne a domicilio (1989), primo blockbuster di Miyazaki.
 
Mary Smith è una ragazzina poco sicura di sé e anche piuttosto goffa, con una folta capigliatura rossa. La maldestra e pasticciona bambina di dieci anni, però, detesta i suoi capelli pel di carota, perché sono spesso oggetto di derisione da parte dei coetanei, e come una novella Anna dai capelli rossi, si trova a doversi difendere dai maschietti dispettosi, come Peter, un ragazzino del posto che conosce benissimo il significato del detto "chi disprezza vuol comprare"! In vacanza dalla prozia, un giorno, seguendo i due gatti Tib e Gib, Mary trova uno strano fiore luminoso che, secondo una leggenda del posto, sarebbe dotato di poteri magici. Il giorno dopo uno dei due gatti scompare e la ragazzina, mentre lo cerca, trova una scopa in grado di volare. È l'inizio di una serie di avventure che porteranno Mary a scoprire l'esistenza di una scuola di magia in un luogo incantato: l'Endor College.

Il libro La piccola scopa è stato pubblicato nel 1971 e precede Harry Potter di circa 26 anni, ma data la fama di quest'ultimo, la premessa di una scuola di magia risulta inevitabilmente familiare; per questo gli artisti e gli animatori di Ponoc hanno cercato di rendere l'Endor College vibrante e multicolore, per diversificarlo dai suoi predecessori. E qui si ferma per me il film, in un puro esercizio di bravura tecnico-stilistica. Endor ne è la piena testimonianza, con il luccichio dei suoi minareti, il colorato iper-realismo dei suoi sfondi e l'animata dinamicità dei personaggi magici, frutto delle compentenze del regista, abilità costruite con fatica lavorando a opere immortali come La principessa Mononoke e La città incantata. Immagini e character design sono nel segno della continuità con il passato, anche se con un tratto più moderno sullo stile dei cartoons americani, svecchiamento che ho trovato gradevole come i tanti (anche un po' eccessivi) richiami ai personaggi dell'universo ghibliano, dal Calcifer de Il castello errante di Howl fino ai robot di Laputa, il castello nel cielo. Le citazioni ai masterpiece miyazakiani sono davvero ovunque, per la felicità dei tanti fan, orfani (per il momento) delle pellicole Ghibli.
 
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E a livello di storia? Qui Yonebayashi per me non raggiunge l'obiettivo, o comunque non lo raggiunge appieno. La verve creativa su film lenti ma dalla forte presa emotiva, come Arrietty e Marnie, qui francamente non si vede. Come abbiamo detto, c'è una volontà piuttosto evidente di mostrare al mondo che lo Studio Ghibli non è morto, riprendendone non solo i caratteri stilistici distintivi ma anche le tematiche. In questo film la denuncia contro l'avidità umana e il desiderio dell'uomo di andare oltre le leggi naturali è piuttosto chiara, ma è tutto abbastanza fine a se stesso, senza un reale approfondimento dei personaggi, sia cattivi che buoni, a cominciare proprio dalla protagonista. Mary viene quasi sparata in questa storia, non ha una vera crescita personale, che dovrebbe portarla poi a prendere una reale coscienza di se stessa e delle sue capacità (come succede di solito alle eroine ghibliane); ma lo spettatore tende a non accorgersene subito, abbagliato com'è dalla bellezza delle immagini e delle animazioni. È solo in seguito che si nota la poca dinamicità della protagonista come la monodimensionalità dei comprimari.
 
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Tra i pregi di natura tecnica, oltre quelli grafici, non possiamo tacere su quelli musicali. Takatsugu Muramatsu (classe 1978) non sarà Joe Hisaishi, non creerà una melodia indimenticabile, ma sa il fatto suo componendo un'OST in puro stile Ghibli, capace di tenerci per mano per tutta la durata del film. Certo anche qui ho notato un passo indietro rispetto alle musiche più evocative del suo precedente lavoro in Quando c'era Marnie. Molto bella la theme song del film, Rain, cantata dalla rock band SEKAI NO OWARI.

E il doppiaggio italiano? Dopo il quasi monopolio di Gualtiero Cannarsi in tutti i lavori Ghibli degli ultimi anni si pensava a un suo ritorno anche per questo primo film Ponoc, e invece non è stato così. Lo staff è di alto livello, con Francesco Nicodemo all'adattamento e Massimiliano Alto ai dialoghi e alla direzione del doppiaggio. Il risultato è abbastanza soddisfacente, non si è calcato troppo la mano sui termini giapponesi e il dialogo era fluido e comprensibile. Resto un po' interdetto sulla scelta di alcuni termini, forse un po' troppo ridondanti, ma nel complesso mi sento di promuovere il lavoro a pieni voti. Le voci mi sono piaciute tutte, a cominciare da quella della giovane Sara Labidi (al ritorno su un film di Yonebayashi dopo aver interpretato Anna Sasaki in Marnie) sulla protagonista.
 
 
Questa storia, a dispetto dei grandi titoli del passato ma anche di quelli dello stesso Yonebayashi, tende a non rimanere nella mente e nel cuore, insomma non emoziona. Come dicevo, resta un puro, bellissimo esercizio di virtuosismo tecnico di ottimi professionisti. Tuttavia, mancando quella magia e quella forza nella sceneggiatura quanto nella caratterizzazione dei personaggi, che siamo stati abituati da sempre a vedere nei lavori del maestro Hayao, posso affermare che lo Studio Ponoc a oggi ancora non può ambire all'eredità di Miyazaki. Tra passato e futuro si resta così a metà del guado, curiosi di vedere se con il prossimo film il tiro sarà aggiustato o si resterà nella mera ripetizione dei fasti passati.


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