Wabi-sabi: la filosofia giapponese del perfettamente imperfetto

Anche una cicatrice ha la sua bellezza

di Hachi194

Ci sono molte cose di una cultura diversa dalla nostra che sono difficili da comprendere spesso perché lontani dal nostro pensiero o perché di traduzione complessa. Una di queste è il concetto di wabi-sabi che con le sue molte sfaccettature ha da sempre affascinato il mondo occidentale.
 

Una traduzione molto semplice di wabi-sabi potrebbe essere "bellezza triste". Altra interpretazione possibile è "bellezza austera e, quasi malinconicamente, chiusa in sé".
Andrew Juniper, autore del libro "Wabi Sabi: the Japanese art of impermanence", afferma che "se un oggetto o un'espressione può provocare dentro noi stessi una sensazione di serena malinconia e un ardore spirituale, allora si può dire che quell'oggetto è wabi-sabi". Richard R. Powell, autore di "Wabi sabi simple" riassume dicendo che "(il wabi-sabi) nutre tutto ciò che è autentico accettando tre semplici verità: nulla dura, nulla è finito, nulla è perfetto".
Il termine Wabi-sabi è composto da due parole: "wabi" che significa qualcosa di correlato ad "abbattimento", "amarezza" o "riduzione alla povertà", mentre "sabi" descrive il "deterioramento" o qualcosa di "poco brillante, freddo, povero, appassito".
Tradotte così le definizioni di queste due parole evocano un tipo di malinconia e sentimenti di tristezza o negatività nella nostra lingua, mentre in giapponese il concetto di wabi-sabi evoca un senso di calore e di vita.
 

Consci di ciò, il termine wabi iniziò ad essere tradotto come "un apprezzamento per la semplicità o gli stati naturali" e verso il XIV secolo questi significati iniziarono a mutare, assumendo connotazioni più positive. Oggi con wabi si indica la semplicità rustica, la freschezza e anche l'eleganza non ostentata. Può anche riferirsi a particolarità o difetti generatisi nel processo di costruzione, che aggiungono unicità ed eleganza all'oggetto in questione.
Un'altra interpretazione può essere quella introdotta da Kazuo Okakura, l'autore di The Book of Tea, scritto appositamente in inglese per far comprendere la cultura del tè giapponese nel mondo occidentale. All'interno del libro, Okakura descrive il wabi come "imperfetto" o "incompleto", ma con un potenziale di miglioramento. Si accetta questa imperfezione aggiungendo un sentimento del tipo "quello che sarà, sarà".
D'altronde non è strano che il concetto di wabi sia affrontato da un maestro del tè, visto che è profondamente connesso al wabi-cha, un tipo specifico di cerimonia del tè sviluppatosi in Giappone che pone l'accento sulla semplicità e mostra apprezzamento per le cose come sono.
 

Fu un monaco di nome Murato Juko ad ideare il wabi-cha: cercando un modo più tranquillo e semplice per godersi il tè, invece delle stravaganti tazze di porcellana provenienti dalla Cina, promosse l'uso di ciotole da tè giapponesi di terracotta, fatte a mano e con spesso piccole imperfezioni nella loro forma e design. Con la nascita dello wabi-cha, gli ideali di wabi-sabi iniziarono a diffondersi.
Murata ha descritto "wabi" nel modo seguente: "... come il fascino della luna è accentuato quando è parzialmente nascosta dietro le nuvole", rendendo il wabi la ricerca della bellezza imperfetta.
 

"Sabi" invece ha origine dal verbo giapponese "sabu", che significa deteriorarsi o perdere lustro nel tempo. Questa non è necessariamente una cosa negativa, tuttavia, poiché sottintende una calore familiare, come quello che si prova indossando un abito vecchio ma molto amato o un oggetto magari rovinato ma che ci accompagna da tanto tempo. La parola sabi è stata così gradualmente associata a luoghi tranquilli, assenti dalla presenza umana.
Ma come si può sperimentare il sabi se è intrinsecamente privo di umanità? È attraverso questo paradosso che si può concludere che il concetto di sabi è associabile alla tranquilla solitudine di un individuo che osserva lo stato naturale del mondo. Più semplicemente sabi è la bellezza o la serenità che accompagna l'avanzare dell'età, quando la vita degli oggetti e la sua impermanenza sono evidenziati dalla patina e dall'usura o da eventuali visibili riparazioni.
 

Il wabi-sabi si può trovare nella forma di poesia giapponese conosciuta come "haiku". Il famoso poeta Matsuo Basho ha parlato di placidi stagni che riecheggiano dall'immersione di una rana; la tomba dimenticata di un guerriero circondato da erba alta; o una pietra silenziosa immersa nel frinire delle cicale. Attraverso i suoi componimenti, Basho ha catturato la sensazione di sabi che esprime la solitudine, la bellezza naturale, il passare del tempo e la natura nel suo costante mutamento dell'essere vivi.
 

Queste sensazioni hanno anche legami con gli insegnamenti buddisti sulla vita stessa. L'esistenza è contrassegnata da tre verità: impermanenza, sofferenza e vuoto. Ma piuttosto che crogiolarsi nell'autocommiserazione, grazie al wabi-sabi si cerca un modo per spiegare l'attrazione verso queste presenze inevitabili nella vita di ognuno di noi. Non potendo evitarli, il suggerimento è di goderli e di rendersi conto della tranquillità che proviene dal lasciar andare.
 

Se ci pensiamo anche da noi si dice "la bellezza è negli occhi di chi guarda" e "nessuno è perfetto". Wabi-sabi ci offre una filosofia per apprezzare la bellezza non attraverso il fascino, ma piuttosto attraverso le imperfezioni, che avvicinano oggetti ed esperienze alla realtà. Da qui nasce il Kintsugi che consiste nel riparare ciotole da tè in primis ma anche altri oggetti con un rivestimento dorato (resina epossidica), dando loro la possibilità di un'altra vita. Per questo il kintsugi è spesso citato come una manifestazione fisica del wabi-sabi e può far capire bene un concetto così etereo e dalle molte definizioni. L'atto di evidenziare le crepe e le imperfezioni con metalli preziosi come l'oro è una testimonianza della vita dell'oggetto, portando l'attenzione sulle imperfezioni piuttosto che cercando di nasconderle.
 

Correlato al wabi-sabi e al kintsugi è anche la leggenda di Tsukumo-gami. Gli tsukumo-gami sono oggetti inanimati, che dopo 100 anni di utilizzo o contatto con gli esseri umani diventano consapevoli di sé, sviluppano cioè un'anima. L'oggetto può essere letteralmente qualsiasi cosa, come un vecchio specchio, un fidato martello o anche una tazza da tè rotta e riparata. Sebbene gli Tsukumo-gami siano essenzialmente creature fiabesche, la loro esistenza nel folklore suggerisce di prendersi cura degli oggetti che ci appartengono perché in questo modo doneremo loro uno spirito.
 

Il Wabi-sabi sembra offrire un'alternativa ad un mondo in cui i social media spesso pubblicizzano una vita perfetta attraverso foto ritoccate e timeline curate. Wabi-sabi invece punta sulle gioie della semplicità, della calma riflessione e dell'apprezzamento del vecchio e consunto rispetto a ciò che è lucido e nuovo.

Fonte consultata:
TsunaguJapan

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