Squid Game: recensione della serie televisiva di Netflix

Uno straordinario gioco al massacro dove la psicologia e la denuncia sociale la fanno da padrone

di GIGIO

Meno di due anni fa mi ritrovavo personalmente a scrivere per AnimeClick.it un approfondimento sulla sorprendente incetta di premi Oscar vinti da Parasite, il film coreano diretto da Bong Joon-ho che sorprese molti, lanciando il cinema asiatico verso una nuova dimensione. Dal 17 settembre sulla piattaforma di streaming Netflix è un altro prodotto coreano a far parlare milioni di persone nel mondo, si tratta di Squid Game, una serie televisiva di nove episodi che ha letteralmente frantumato ogni record: è lo show più visto di Netflix attualmente, dal suo rilascio il colosso dello streaming ha guadagnato l'8% in borsa, è diventato così mainstream da generare una vera e propria mania nei social come non si vedeva da tempo, tra teorie e ipotesi, con code di 200m a Parigi davanti al negozio temporaneo sulla serie dove è possibile testare le prove che si vedono nella serie televisiva, con la citazione in giudizio di Netflix da parte di SK Broadband per l'intenso aumento di traffico internet in Corea e con l'azienda Vans che ringrazia per l'aumento del 7.800% delle vendite di calzature bianche indossate dai protagonisti nello show.  

TRAMA DI SQUID GAME

Squid Game è inizialmente ambientato nei sobborghi di città, dove Seong Gi-hun è un uomo sommerso dai debiti con il sogno di aiutare la madre malata e riuscire ad ottenere l'affidamento della figlia Seong Ga-yeong. Un giorno viene in contatto con un uomo misterioso il quale gli consegna un biglietto per poter partecipare ad uno strano concorso, dove sono assoldati assieme a lui altre 455 persone in serie difficoltà economiche. I partecipanti, seguendo le istruzioni di asettici ed armati uomini mascherati, dovranno sfidarsi su sei tradizionali giochi per bambini ed il vincitore avrà in premio l'astronomica cifra di circa 33 milioni di euro. All'inizio dei giochi presso una struttura arroccata su un'isola deserta, queste 456 persone vengono tuttavia a contatto con l'inquietante realtà: i partecipanti che durante i giochi non superano le prove verranno barbaramente freddati e la paura per la propria incolumità, l'ansia, la difficoltà nelle scelte e la sete di denaro faranno presto compiere azioni abominevoli agli stessi partecipanti. Parallelamente a quanto accade al protagonista l'agente Hwang Jun-ho si intrufola nella struttura, cercando di comprendere cosa è accaduto a suo fratello scomparso.   

 


 

ANALISI DI SQUID GAME

In attesa di conoscere il futuro di Squid Game, se verrà o meno rinnovata per una seconda stagione, anche in virtù dello straordinario successo e di un finale piuttosto aperto, ci si trova di fronte ad un'analisi difficile da affrontare: come può un prodotto survival coreano, quindi con gli stilemi narrativi orientali finora poco affrontati dal pubblico internazionale, che ha una base di partenza riconducibile ad altri prodotti già visti o letti, aver raggiunto un così assordante risultato? La risposta sta nella capacità del suo creatore, Hwang Dong-hyuk, che è riuscito a scombinare ed incuriosire le menti dei telespettatori facendo cadere le loro certezze. Filastrocche, biglie, tiro alla fune, zucchero, "un-due-tre-stella!", ossia giochi per bambini che rievocano ricordi di un'infanzia pura, ingenua, immacolata e perduta che si mescolano a violenza, horror, intensa psicologia e paura. Le candide divise dei concorrenti vengono presto macchiate di sangue così come gli inizialmente impersonali numeri di riconoscimento saranno presto trasformati in toccanti storie di vita. I telespettatori possono quindi facilmente affezionarsi a personaggi molto eterogenei tra loro, così come odiare coloro che cercano di ledere alla loro incolumità. Da invisibili fino ad allora, reietti posti all'estremità della società, i protagonisti diventando attrazioni principali per facoltosi uomini d'affari assettati di una curiosità morbosa, che non è altro che il medesimo disturbo che violentemente entra a far parte nella mente del telespettatore




Un gioco violento ma dove l'uguaglianza resta la parola d'ordine, ingiusto ma dove la democrazia regna sovrana, forzato ma dove sono gli stessi protagonisti a voler partecipare, perché non vi è scelta, non vi è un piano B e non vi è una via d'uscita in una vita fatti di debiti e stenti. Questo solo all'apparenza è il messaggio di partenza, rimarcato poi dalla decisione dei partecipanti di ritornare sull'isola. Tuttavia il finale rimescolerà la tambureggiante ed ampia denuncia sociale intervallatasi nel corso dei nove episodi, urlata in maniera molto chiara e nitida per tutto l'arco della serie, sottolineando più volte come l'indifferenza e l'inumanità stringano la mano al capitalismo feroce e sfrenato. Il lungo dialogo svoltosi in un appartamento del centro città e il risultato di un'ultima scommessa cambieranno l'equazione lanciando un messaggio di speranza ed un cliffhanger che anziché chiudere la serie definitivamente farà venire l'acquolina in bocca.

 
A tratti compassata, tecnicamente ben riuscita, con una palpitante colonna sonora e dal ritmo tutt'altro che soffocante Squid Game rappresenta come poche altre l'essere umano e non l'eroe. Uno show che da voce alle due più grandi "nazioni" del mondo: quella dei poveri e degli indebitati che nel mondo contano rispettivamente miliardi di persone e trilioni di dollari. L'umanità e l'altruismo vengono messi al vaglio, giocando, soprattutto con la psicologia, ottenendo una visione del tutto realistica nei comportamenti dei concorrenti. L'obiettivo è cercare di comprendere fino a quanto l'essere umano possa mostrarsi egoista ed indifferente, anche di fronte a violenze e mostrare il gioco di squadra solo quando questo risulta vitale per la propria incolumità. Il risultato è un prodotto dall'alta denuncia sociale, che mescola fattori, cliché, simbologia e scelte tecniche molto social per raggiungere una larga fetta di pubblico, soprattutto giovanile. Noi telespettatori oggi ci chiediamo come reagiremmo nel partecipare ad uno Squid Game, ma siamo così tanto sicuri, metaforicamente, che non ci stiamo già partecipando? 


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