Un dojo di Kyudo... a Roma!

Andiamo alla scoperta di un luogo inaspettato nella nostra capitale.

di CrisTheTuber

Il tiro con l'arco Giapponese, il cui nome originale è Kyūdō, è una disciplina tradizionale tramandata in diversi stili da secoli. Nel corso del tempo, molti di questi sono andati perduti, e la pratica stessa del Kyūdō è divenuta sempre più rara e formale, designata solo all'essenza cerimoniale della stessa. Figuratevi, pertanto, il nostro stupore nello scoprire che qui in Italia, a Roma, vi è un autentico Dōjo di Kyūdō in attività da trent'anni. Le nostre staffer zettaiLara e Arwen1990 si sono recate sul luogo e hanno intervistato il suo fondatore, Stefano, che ha raccontato la storia di questo posto e di come il Kyūdō è entrato a far parte della sua vita. Buona lettura!

 



Stefano, innanzitutto, ti ringraziamo molto per la tua ospitalità, ci racconti come mai questo luogo si trova qui e quali sono le sue origini?

Figuratevi, sono io che ringrazio voi. Vi vorrei raccontare prima del luogo, delle mie origini, dato che da esse nasce poi la ricerca di questo posto. Io ho cominciato il Kyudo senza saperne nulla, e non avevo proprio mai tirato con l'arco. L'ho fatto perché mi sono trovato a lavorare in Giappone per 6 mesi, a Marita, nel 1988, e un paio di amici mi avevano parlato di questa disciplina, di cui nessuno di noi sapeva un granché. Eravamo tre stranieri che giravano per Narita negli anni '80, una cosa di per sé abbastanza inconsueta, cercando di trovare il luogo dove praticare il Kyudo. Un giorno incontrammo un signore, molto anziano, che portava in spalla un oggetto molto lungo, e pensammo che si trattasse di un arco giapponese. Così iniziamo a seguire il signore, che a dir la verità si spaventò e iniziò anche a correre. Seguendolo trovammo il Dojo di Narita, e così iniziò la mia storia con il Kyudo e conobbi il Maestro Takahashi, ovvero proprio il signore che avevamo seguito. Non praticava più ormai vista l'età molto avanzata, ma aveva questo piccolo negozio di strumenti musicali sulla Omotesando, la strada che porta al Tempio di Narita. Iniziai così a praticare il Kyudo, ma una volta tornato in Italia, allo scadere dei sei mesi, avevo un problema: come potevo continuare a praticarlo in Italia?

Scoprii che a Roma erano operanti due gruppi dei due stili prevalenti in Giappone, la scuola Okasawara e la scuola Heki. Un gruppo era fuori Roma, l'altro a Casal Palocco, che era fra l'altro tenuto da un pilota dell'Alitalia, la mia stessa compagnia. Ho così iniziato a praticare il Kyudo in Italia, e circa 2/3 anni dopo, insieme ad altri due Kyudoka di quel gruppo, trovammo questo campo di tiro con l'arco occidentale, il più importante a Roma, e il Presidente ci disse che poteva lasciarci uno spazio. Siccome eravamo molto distanti da quel Dojo dove ci allenavamo (si parla di circa 50km in macchina ogni giorno), accettammo. Non c'era nulla nel campo, i pini che ora sorgono erano alti forse un metro e mezzo, e oggi 30 anni dopo (abbiamo fatto il trentennale nel 2021) sono ancora qui. Cominciammo con una balla di paglia a 30m, un bersaglio e una striscia a terra a fare da linea di tiro, detta Shahi. Questa è l'origine del Dojo.

 

È interessante però perché è nato in un luogo che comunque era già dedicato al tiro con l'arco, seppur occidentale.

Sì, e per tutti gli altri, dico la verità, noi rappresentavamo una stranezza. Poi comunque abbiamo deciso di stabilirci qui. La struttura l'abbiamo costruita solo nel 2011, e quando lo abbiamo fatto il nostro Caposcuola, il Maestro Toshio Ohmori, è venuto in Italia ad inaugurare il Dojo con la cerimonia Shintoista.

 

Qui sembra proprio di essere in Giappone. Chi ha visto la recente serie di Kyoto Animation, Tsurune (che è proprio dedicata al Kyudo), sicuramente riconoscerà il tipo di ambiente, come sono disposti i bersagli o come è stata costruita la struttura. È un'atmosfera veramente particolare quella che si respira qui. Ma le persone come vengono a sapere di questo luogo?

Diciamo che statisticamente il 90% delle persone arrivano dalle arti marziali, perché attraverso lo studio delle arti marziali vengono a sapere del Dojo. Abbiamo avuto nel corso della nostra storia molte persone provenienti dall'Haikido e dal Kendo e qualcuno dal Karate. Tuttavia non è sempre così, visto che Domenico, uno dei nostri membri, è un maestro di danza classica.

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Di solito è uno spostamento totale verso il Kyudo oppure è complementare a ciò che già fanno?

In genere è un complemento, e diventa un complemento anche importante visto che il Kyudo, forse più delle altre arti marziali, è una disciplina che se non viene praticata con costanza diventa difficile da apprendere e mantenere. Non lo dico perché è la disciplina che io pratico, è oggettivamente molto difficile. È difficile che resti un complemento marginale a lungo, o entri veramente dentro oppure non ottieni nulla. Abbiamo con noi una ragazza che pratica in contemporanea il Kendo, ed entrambe le discipline vanno seguite con moltissimo impegno. Il Kyudo non si può fare come qualcosa che si tiene sullo sfondo, è una tecnica difficilissima. Quando io ho iniziato, i miei Maestri mi parlarono del Tenouchi, ovvero la presa dell'arco con la mano sinistra, dicendomi che è qualcosa che non avrei mai smesso di apprendere per tutta la vita. Io non diedi molti peso a questa cosa, pensando che esagerassero e che sarebbe bastato un mese a capire come impugnare l'arco. In realtà avevano ragione loro, tanto che tutt'oggi non ho smesso di studiarlo, innanzitutto perché sono tantissimi i fattori che entrano in gioco nel tiro, non solo la presa. Il nostro precedente Maestro, il Sensei Inagaki, che è stato monumento vivente del Giappone (nel 1956 vinse la prima gara di Kyudo tenutasi di fronte all'Imperatore da quando furono riammesse le arti marziali in Giappone) diceva che lui in sessant'anni di pratica aveva passato vent'anni a correggere la mano sinistra e quaranta a correggere la destra, ed era estremamente serio. Questo discorso dà l'idea di quanto sia complessa la tecnica: parliamo comunque di un arco nudo, la freccia non è poggiata da nessuna parte, e anche solo prendere in mano l'arco e incoccare la freccia può richiedere settimane di pratica per un principiante.

 

A tal proposito: io personalmente sono rimasta colpita durante la visione di Tsurune dai suoni. Il titolo stesso è un sostantivo legato al suono emesso dalla corda, giusto?

*procede a far sentire lo tsurune* È esattamente quello che hai detto, il suono che emette la corda, ovvero "tsuru" è quando viene scoccata la freccia. Lo "yumi" è invece l'arco, in questo caso un "takeyumi" dato che parliamo di un arco di bambù. Il suono della corda deve avere delle frequenze tali che solo l'esperienza può farti distinguere un suono corretto da uno che non lo è. Quello che avete appena sentito non è un suono perfetto, non per colpa della corda ma dell'arco, che nel corso del tempo ha perso parte della sua forza e della sua elasticità. Il suono quindi è meno duro, più morbido e più vibrante, dovrebbe essere più secco. Attraverso il suono della corda il Kyudoka esperto comprende le condizioni dell'arco. Questo arco è un regolare 15,5cm come tanti altri archi, tuttavia per ottenere il suono giusto occorre a volte aumentare la distanza, lavorare sul nodo fino ad ottenere lo "tsurune" giusto. Ascoltando un suono, io comprendo come la mano sinistra sgancia e che tipo di sgancio, detto "hanade", è stato eseguito.

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Parliamo della scuola Heki, quella che seguite e che ha anch'essa una bella storia dietro.

Le scuole non nascono come tali, erano delle tecniche di tiro sviluppate da diversi arcieri nell'epoca Sengoku dalle quali sono derivati poi degli stili di tiro che sono stati prevalenti per parecchi secoli. Noi pratichiamo la scuola Heki, ma c'è anche la scuola Honda, la Honda-Chikurin, la Heki-Chikurin, la scuola Sekka, la scuola Ogasawara che porta anche al tiro a cavallo, la Yabusame, e tutte queste scuole nel corso del tempo sono pian piano terminate. Sono rimaste due scuole: la prima è la scuola Heki, che rimane però anche in Giappone una nicchia visto che è proprio una scuola di guerra. Il suo obiettivo è infatti colpire al centro con forza (Kanchukyu), e questa forza si manifesta nella tecnica di sgancio, che a differenza della scuola Ogasawara prevede l'imprimere una rotazione tramite un movimento del pollice che conferisce lo stesso movimento anche alla freccia, dandole così più potenza.

 

Possiamo capire perché sia minoritaria, un concetto del genere nel contesto odierno trova poco spazio.

Certo, e lo è anche per un altro motivo, ovvero l'ingresso del Giappone nell'era moderna, che ha significato il disarmo dei samurai e dei guerrieri. L'imperatore decide che il Giappone deve adeguarsi al resto del mondo, e anche il Kyudo ne subisce l'influenza: viene creata "in vitro" una scuola, che attualmente è la più diffusa in Giappone, che da molta più rilevanza alla forma, alla bellezza e al rituale, non più solo all'efficacia e alla "rozzezza" della scuola Heki. La nostra pratica è detta "tiro intenso", ma nella pratica della Federazione Giapponese di Kyudo non c'è, tirano due frecce in modalità cerimoniale e tutto si svolge molto lentamente, come se ogni volta facessi l'esame per il Dan, che consiste esattamente nella stessa identica messa in atto, tanto che loro sono molto focalizzati sull'ottenimento del Dan. Nella nostra scuola il Dan non è importante, a vent'anni di pratica sei ancora un allievo anziano, dopodiché il Maestro comunica all'allievo il Mokuroku, ovvero i testi segreti della scuola, scritto in un linguaggio poetico a forma di haiku, ma solo il Maestro poteva spiegare all'allievo il significato di quei versi. Per esempio, il mutare del colore delle foglie dell'acero, dal verde al giallo e poi al rosso, simboleggiava il cambiare del colore della mano che tendeva l'arco a seconda della pressione esercitata. Dietro però c'era un discorso tecnico, che diceva di continuare ad aumentare la pressione della mano fino all'arrossamento totale.

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Per quanto riguarda voi come scuola: che tipi di rapporti avete con i Maestri che vivono in Giappone?

Ci sono diversi Maestri che fanno parte dell'entourage e che fanno parte della scuola. C'è un Maestro Caposcuola (il Maestro Ohmori appunto) e poi una moltitudine di Maestri, e tutti sono stati tutti allievi del Mastro Inagaki. Quando è morto, il Maestro Inagaki ha designato il Maestro Ohmori, che era il suo assistente principale, come suo successore. Il Maestro di una scuola è paragonabile, come figura, al Papa, è in carica finché non muore, e il Maestro Ohmori venne scelto anche perché all'università Tsukkuba portava avanti, anche in modo sperimentale, i dettami della scuola. Negli anni '70 costruirono delle macchine che tiravano con l'arco per verificare scientificamente l'efficacia della tecnica. Ci sono molti Maestri di riferimento nella scuola, come il Maestro Kurosu, il Maestro Sekine, il Maestro Harada e il Maestro Matsui. Quest'ultima tra l'altro ha preso il posto del Maestro Ohmori all'università quando è andato in pensione. Oltre a svolgere il loro lavoro d'insegnamento in Giappone, seguono anche tutti i Dojo che sono stati fondati nel resto del mondo a partire dal Maestro Inagaki, che portò negli anni '70 il Kyudo Heki in alcuni paesi europei, ovvero in Finlandia, in Germania e in Italia, dove ha iniziato a partire dalla metà degli anni '70 grazie a un allievo del Maestro Inagaki, il Maestro Ichikura. Da quel momento in poi i Maestri giapponesi vengono ogni anno (inizialmente venivano solo d'estate) e qui si è sempre fatto, a partire dal 1989, il seminario a Pallanza sul Lago Maggiore.
Poi si spostano anche in Germania, e fanno questo tour europeo in Agosto. In era "pre-Covid" non era così raro che venissero anche in primavera, e questo perché facevamo due seminari, quello di primavera e quello estivo. Quello di primavera qualche volta si è svolto a Roma, adesso chiaramente con la pandemia è più complesso da organizzare, una abbiamo organizzato uno tra italiani sul tiro da guerra della scuola Heki. Per quest'anno si prevede un seminario a Pallanza con i Maestri giapponesi, speriamo di riuscire nel nostro intento dato che, quando si organizza un seminario, dobbiamo accordarci con i tedeschi.

 

Ci puoi parlare della tecnica di tiro?

Per tirare è innanzitutto necessario fare riscaldamento sia al proprio corpo che all'arco, soprattutto se parliamo di un arco di bambù. Le fibre devono scaldarsi, dilatarsi, l'arco va aperto e d'inverno andrebbe scaldato con la seta. Per scaldare la corda invece si utilizza uno strumento creato a partire dalle corde rotte, detto Waragi, e con esso si riscalda la corda. Originariamente le corde erano di canapa, adesso sono fatte principalmente da materiali sintetici ma quelle di canapa non sono del tutto sparite, hanno solo una durata chiaramente inferiore. Una volta riscaldato, il legno è più liscio, ecco perché l'arco della scuola Heki ha un grip ruvido che permette di impugnarlo meglio e consentire il movimento di rotazione che contraddistingue questo stile. È un gesto che non vedrai mai nella scuola Ogasawara, tanto che un tiratore cresciuto con quello stile potrebbe andare in confusione. Il guanto è un altro strumento importante: si indossa anche un sottoguanto di cotone, che assorbe il sudore in modo da non impregnare il guanto superiore, fatto in pelle di cervo e che pertanto deve restare asciutto. D'estate viene da sé che si cambiano regolarmente i sottoguanti proprio a causa della forte sudorazione. C'è una tecnica precisa anche per indossare il guanto, e ognuno deve imparare a eseguirla da sé. Per dirne una, non dev'essere troppo stretto, in modo da permettere il corretto movimento del polso, e anche il modo di annodare è diverso, a seconda che si faccia pratica quotidiana o che si partecipi a una cerimonia. Per far scorrere meglio le dita si usa la resina in polvere sul guanto, mentre l'impugnatura si cosparge con la cenere di riso per permettere un maggiore scorrimento e una migliore torsione. La pratica comincia sempre con un tiro a un bersaglio di paglia, per il quale abbiamo le stesse modalità del tiro al bersaglio, si fa il saluto al bersaglio e poi si esegue il kata designato. Infine, c'è anche il vestiario: voi mi avete visto ora con dei vestiti "informali", ma questo abbigliamento è previsto anche in Giappone solo nella pratica informale. Quando ci si riunisce e si fa pratica formale è previsto che si indossi la Kama e il Dogi.

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Stefano, grazie infinitamente per la tua disponibilità e per quello che ci hai raccontato, speriamo di aver portato ai nostri lettori qualcosa che è raro non solo in Italia, ma anche in Giappone. Ti auguriamo buona prosecuzione e speriamo che riprendano presto i contatti che mancano da tanto a causa della pandemia!

Figuratevi, grazie a voi.



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