L'uovo dell'angelo: recensione del capolavoro di Mamoru Oshii

Al cinema dal 4 al 10 dicembre grazie a Lucky Red in versione restaurata in 4K

di Artax

Non sempre le opere devono raccontare una storia, intesa come susseguirsi scandito di avvenimenti. Non sempre la consequenzialità narrativa è il motore di un testo. Nel caso di L'uovo dell'angelo la storia è un'emozione e ancora oggi questo titolo, Ancora oggi è considerato uno dei titoli più enigmatici e discussi della storia dell’animazione nipponica.
Nato come direct-to-video nel 1985, Tenshi no Tamago, noto anche come Angel’s Egg o L'uovo dell'angelo uscì inizialmente in edizione VHS e pochi giorni dopo arrivò anche nelle sale giapponesi. Il film rappresenta il primo lungometraggio indipendente diretto da Mamoru Oshii, che solo dieci anni dopo raggiungerà la fama mondiale con Ghost in the Shell. Al suo fianco nella scrittura del soggetto troviamo il visionario designer Yoshitaka Amano, la cui cifra stilistica e artistica è inconfutabile sin dai primi istanti del lungometraggio, quando spettatrici e spettatori si trovano dinnanzi ad un'immensa struttura sferica costellata da statue che si issa dalle acque di un oceano che pare non avere fine.


Raccontare la trama non è semplice: la narrazione è rarefatta, sospesa, composta da pochissimi eventi concreti. La storia si svolge in una città oscura, deserta, popolata solo da ombre e statue. Qui una bambina e un ragazzo dai capelli bianchi, armato di una strana croce, si incontrano e percorrono insieme lo spazio urbano fino alla costruzione più alta della città, dove scoprono la realtà di ciò che li circonda. Intanto, la bambina cerca costantemente di proteggere il suo uovo, un oggetto estremamente misterioso di cui però si può iniziare, sin da subito, a cercare di capire quale sia il suo senso.

Come la croce che porta il giovane dai capelli bianchi, anche l'uovo può essere letto come metafora di qualcosa d'altro, forse di quella spinta innata alla crescita di cui ci parla anche Herman Esse nel suo Damian, quando spiega che senza rompere il guscio dell'uovo, l'uccellino non può dire di essere nato. Così la croce del giovane, un'arma che diviene un fardello messianico, quel fardello di chi ha la consapevolezza di cosa vi è al di là del tanto protetto guscio.

La trama, però, non è al centro del film: oggi non siamo abituati a dire che la trama può diventare secondaria, ma in Tenshi no Tamago è esattamente così.
L’opera si regge su un immaginario onirico che si intreccia con un’estetica gotica cupa e suggestiva. Prospettive allungate, tipiche di quella metafisica cara a De Chirico, ma anche ad alcune vedute del surrealismo. È un codice visivo preciso: Tenshi no Tamago comunica atmosfera prima ancora che azioni e intenti. La direzione artistica di Shichiro Kobayashi, figura leggendaria del settore, dà al film una solidità formale impressionante, fungendo da base su cui si muovono i due protagonisti, permettendo al film di abbandonare le didascalie e aprirsi alle suggestioni.

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La spirale è un'efficace metafora presente nel film che riesce a restituire il sentimento di asfissia e disperazione: una forte simbologia legata al concetto di infinito statico, di incapacità di uscire da uno stato presente, perché si continua a procedere senza mai vedere la fine del sentiero, come se in realtà non ci si fosse mai mossi.


I personaggi parlano più con i gesti, con gli sguardi, che con le parole, e soprattutto attraverso un vagabondare continuo, quasi privo di meta. O forse privo di speranza
La bambina e il ragazzo sono volutamente indefiniti. Funzionano come contenitori simbolici, pensati per essere riempiti dalle interpretazioni e soprattutto dai sentimenti dello spettatore. Questa scelta, comune nelle opere più autoriali dell’animazione giapponese, sposta il focus: Tenshi no Tamago non vuole raccontare una storia; vuole trasmettere una sensazione, un insieme di emozioni oscure, soffocanti, intrise della cupezza del decennio in cui nasce.

Il rapporto tra i due protagonisti è ambiguo ed e è difficile comprendere le ragioni dell'uno nei confronti dell'altra. Se l'una incarna i temi della crescita e della presa di coscienza, di fatto della maturità, l'altro può risultare come un mentore dal pesante fardello, che talvolta agisce in modo benevolo seppur criptico, altre volte sembra avere sinistre intenzioni. Un po' come la fede.
L’uovo, cuore simbolico dell’opera, diventa metafora di una speranza mai avverata, di un futuro che non arriva e che l’umanità continua a inseguire invano, come le statue dei pescatori che con ferocia rincorrono le ombre di bestie marine ormai estinte da secoli. Il finale dà una nuova chiave di lettura all’intero racconto: i temi del futuro negato e della speranza spezzata si concretizzano quando il film rivela la vera natura del mondo rappresentato. Oshii dissemina piccoli appigli che permettono una lettura “narrativa” basata su riferimenti agli scritti biblici ed evangelici: secondo il racconto del ragazzo, il mondo del film potrebbe essere il risultato di un diluvio universale alternativo, dove la colomba inviata da Noè non è mai tornata indietro a segnalare un nuovo inizio per l'umanità dannata. Una lettura condivisibile o meno, ma pur sempre secondaria rispetto al compito dell’opera di evocare solitudine, disperazione e infine desolazione.

A rinforzare il "mood", dobbiamo sottolineare come il film sia perlopiù muto, salvo poche battute emblematiche pronunciate dai due protagonisti. Il silenzio, protetto dalla colonna sonora, avvolge le immagini come un guanto, aiutando il ritmo magistrale della regia a scandire il percorso emotivo. La palette cromatica, resa oggi ancora più efficace grazie all'edizione restaurata, amplifica la percezione di perdita e disperazione accostando toni altamente contrastanti in alcuni punti, ferendo gli occhi di chi guarda, e subito dopo abbandonando lo spettatore alle più disparate tinte del nero, del blu e del grigio.
 

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All’uscita, il film fu un insuccesso commerciale: cosa più che comprensibile. Tenshi no Tamago è un'opera non per tutti, in quanto lenta, pesante, ostica, inadatta a chi cerca una storia avvincente, ma perfetta per chi desidera un'esperienza emotiva e sensoriale rara. Ed è proprio questa sua natura non narrativa a renderlo un cult: un capolavoro che ha permesso a Oshii di gettare le basi della sua poetica cinematografica, rivelando un'autorialità sorprendentemente matura. La regia, libera dalla necessità di sostenere una trama tradizionale, esprime tutto il suo potenziale visivo ed emotivo, in un’alchimia perfetta con la fotografia, la direzione artistica e la musica.

Un film certamente non per tutti, ma il cui contributo alla storia dell’animazione (e del cinema tout court) è impossibile da ignorare.


Ricordiamo che il film è disponibile nelle sale di tutta Italia dal 4 al 10 dicembre grazie a Lucky Red in versione restaurata in 4K, realizzata a partire dai materiali originali in 35mm. Il restauro della pellicola madre è estremamente funzionale per lo scopo del film, quello di creare una sinestesia visiva e uditiva, che grazie alla messa a nuovo dei materiali è in grado di donare ancora più potenza alle immagini del compianto Shichiro Kobayashi e al lavoro artistico di Oshii e Amano.



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