Mafia: The Old Country - La recensione che non potrete rifiutare

L'odissea di un caruso qualsiasi

di Antreah91

Il crimine esercita da sempre un fascino indiscutibile. Lo si ritrova nella storia del cinema, nella letteratura e, in maniera forse ancora più morbosa, nella cultura pop. Innumerevoli produzioni creative hanno raccontato l’universo della criminalità organizzata, consegnando alla memoria collettiva anti-eroi leggendari e contribuendo a plasmare la percezione del grande pubblico su un tema in realtà complesso e delicato. Dalla mitica trilogia de Il Padrino di Francis Ford Coppola, fino alla più recente trasposizione televisiva del best seller Gomorra di Roberto Saviano: due modi di raccontare lo stesso argomento da prospettive differenti, e, se vogliamo, complementari.

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Era inevitabile che anche il videogioco, come forma di racconto interattivo, prendesse posizione su questo immaginario, e lo ha fatto dando vita ad alcuni dei titoli che, per importanza storica, hanno segnato la storia del medium videoludico stesso. Non è un caso che la serie GTA, nata quasi in sordina con i primi due capitoli ed esplosa al grande pubblico con la rivoluzione tridimensionale del terzo, sia oggi una delle più amate e di maggior successo in assoluto. Rockstar Games è riuscita a imporre uno standard produttivo con cui nessuna casa di sviluppo può evitare di confrontarsi. È qui che entra in gioco la saga di Mafia, composta da tre capitoli principali, a cui si aggiunge quest’ultima iterazione che, finora, mi è parsa la più interessante dal punto di vista antropologico. Ammettiamolo: il terzo episodio, sviluppato dallo studio statunitense Hangar 13, non ha brillato per particolari qualità intrinseche. Anzi, è stato il capitolo che più di tutti ha messo a dura prova la tenuta della serie, rischiando di trascinarla lentamente nell’oblio delle IP ormai incapaci di offrire qualcosa di nuovo ai propri affezionati. Si è tentato un passo più lungo della gamba, stravolgendo alcuni degli elementi caratteristici e fondanti dell’intera saga, senza però avere la forza di sostenere e ampliare un gameplay che avrebbe richiesto un vero rinnovamento, capace di ricomporsi senza tradire il cuore della produzione. Un obiettivo, purtroppo, raggiunto solo in parte, con risultati complessivi al di sotto delle aspettative.

Le attese per The Old Country erano cariche di aspettative e paure: come può lo stesso team che ha causato il problema essere anche la soluzione? Un passaggio fondamentale va riconosciuto al lavoro certosino e decisamente apprezzabile del team di sviluppo sulla versione “definitiva” del primo capitolo: Mafia Definitive Edition. Un remake che conserva intatto tutto ciò che funzionava nell’originale del 2002, ampliandone la scrittura, la profondità dei personaggi e, naturalmente, l’intero comparto tecnico. È stata questa la palestra in cui gli sviluppatori hanno potuto riscoprire e assimilare le basi che avevano decretato il successo del primo Mafia, per poi ripartire da lì e raccontare una nuova storia.
 

Mafia: The Old Country - La recensione che non potete rifiutare

 

Enzo Favara è un ragazzo sfortunato come tanti altri nella calda e afosa Sicilia dei primi del ’900. Suo padre lo ha venduto a un ricco proprietario terriero, Don Ruggero Spadaro, e il destino di Enzo sembra segnato: lavorare come minatore in una cava di zolfo, schiavo di debiti che non sono i suoi. Solo con il duro lavoro e il sudore della fronte potrà ripagare ciò che il padre ha lasciato in sospeso, sacrificando la propria vita alla volontà di un padrone che non mostra alcun riguardo per i suoi lavoratori. Enzo è un caruso che, però, non ha smesso di sognare. Vorrebbe un giorno partire per l’America, magari trovare fortuna e una vita migliore. Ma le Americhe sono lontane, e senza la giusta occasione quel sogno sembra irraggiungibile. Fino a quando una serie di circostanze fortuite lo conduce sotto l’ala protettrice della famiglia di Don Bernardo Torrisi. È qui che comincia la sua scalata, un percorso che lo porterà a farsi un nome e a guadagnare il rispetto dei membri della famiglia, passo dopo passo, con astuzia e determinazione. Il plot complessivo del titolo non è certo tra quelli che puntano sull’originalità, ma questo non è necessariamente un difetto. L’ispirazione ai classici della letteratura italiana, da I Malavoglia a Rosso Malpelo di Giovanni Verga, rappresenta una vera e propria sfiziosità, oltre a dimostrare una cura per i dettagli storici del contesto di gioco che non possiamo che apprezzare. Il lavoro svolto da Hangar 13, supportato dalla consulenza dei ragazzi siciliani di  Stormind Games, nella ricostruzione del mondo di gioco è davvero impressionante.

La saga di Mafia ha sempre avuto un approccio story-driven, dove il plot funge da base portante per il gameplay. Se i primi due capitoli ci avevano abituati a una scrittura di alto livello, a mio avviso è con The Old Country che si raggiunge l’eccellenza. Ogni personaggio, ogni interazione, ogni tratto psicologico è modellato secondo archetipi del carattere siciliano (fidatevi delle mie parole: lo sono anche io), senza mai scadere nella banalità o nella caricatura. Enzo è forse il personaggio più semplice dell’intero teatro creato dagli sviluppatori, ma proprio questa semplicità lo rende straordinariamente umano, con una crescita e un’evoluzione costante lungo tutto l’arco narrativo. La produzione è inoltre impreziosita da un doppiaggio in dialetto siciliano, che rende il gioco un vero e proprio unicum nell’intera storia dell’industria videoludica. Mai forzato o artificiale, come talvolta accadeva in alcuni momenti della Definitive Edition (sto parlando con te, Giuseppe!), ma curato nella sua perfetta aderenza al modo di esprimersi siciliano. Molti vocaboli sono intraducibili in italiano e portano con sé un’intera dimensione culturale, comunicando sfumature e valori profondamente legati al modo di vivere e alle tradizioni dell’isola. Questo livello di autenticità linguistica contribuisce a creare un’esperienza immersiva senza precedenti, permettendo al giocatore di sentire realmente la vita, le abitudini e le tensioni sociali della Sicilia di inizio Novecento.

Non meno impressionante è la cura con cui sono stati ricostruiti scenari e costruzioni abitative. Ogni dettaglio, dai costumi agli oggetti di uso quotidiano, dalle ceramiche in vendita nei mercatini locali fino alle chiesette sparse nei villaggi del gioco, è stato studiato con minuzia quasi maniacale. La sensazione che ne deriva è quella di trovarsi in un luogo vivo, dove la storia non è solo raccontata ma palpabile in ogni angolo, in ogni texture, in ogni interazione con l’ambiente. Questa attenzione al dettaglio non si limita a rendere il mondo di gioco esteticamente credibile, ma funge da ponte culturale tra il giocatore e il periodo storico rappresentato, offrendo una dimensione umana che arricchisce profondamente l’esperienza ludica. È senza dubbio la punta più alta e meglio riuscita di tutta la produzione di 2K Games.
 

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Il gameplay di base rimane sostanzialmente immutato rispetto ai capitoli precedenti, fondato su una costruzione “finta open world”, dove la mappa estremamente ampia mette ben poco a disposizione del giocatore, costringendolo a seguire una linea narrativa già tracciata dagli sviluppatori. In alcuni momenti è possibile girovagare liberamente, o accedendo alla modalità libera, ma si tratta per lo più di occasioni per ammirare la bellezza della scenografia o scovare qualche collezionabile. Ogni missione si presenta lineare e diretta: va dritta al punto senza dispersioni, guidando il giocatore verso l’obiettivo principale. Personalmente ho trovato questo aspetto più un pregio che un difetto, poiché contribuisce a rendere l’esperienza chiara e focalizzata, senza mai risultare confusa o dispersiva. La struttura di gioco risulta quindi molto intuitiva e semplificata, alternando momenti di stealth puro a fasi di sparatutto in terza persona, con l’aggiunta di coreografati duelli alla lama bianca. All’inizio questi duelli rappresentano un piacevole diversivo, ma già alla terza interazione diventano piuttosto ripetitivi e poco divertenti. Esteticamente sono ben realizzati e belli da vedere, ma al di là dell’aspetto visivo non aggiungono molto al gameplay complessivo. Una novità gradita, seppur poco sfruttata, è la possibilità di potenziare le skills passive del nostro personaggio attraverso il ritrovamento di statue sacre sparse nel mondo di gioco. Si tratta di un’idea interessante che potrebbe aggiungere profondità al gameplay, se solo fosse implementata in maniera tale da fare una reale differenza. Così com’è concepita e sfruttata, però, rimane poco più di un dettaglio estetico: un’aggiunta che, seppur apprezzabile, risulta praticamente trascurabile ai fini dell’esperienza ludica.

Sul versante prettamente tecnico, il titolo dei ragazzi di Hangar 13 dimostra un lavoro più che discreto. Nonostante la natura mid-budget del progetto e qualche inevitabile imperfezione nella rifinitura del codice finale, l’impianto scenico risulta incredibilmente dettagliato. Non sarà raro trovarsi a fermarsi per ammirare il paesaggio circostante, scoprendo piccoli dettagli e finezze che arricchiscono l’esperienza e colpiscono profondamente i videogiocatori attenti. I modelli dei personaggi principali sono ben realizzati e caratterizzati con cura, e alcune scene spiccano per la resa espressiva dei volti, che conferisce alle cutscene un ritmo naturale e coinvolgente. Questa attenzione al dettaglio tecnico, unita alla qualità artistica del mondo di gioco, contribuisce a creare un’esperienza immersiva, in cui l’aspetto visivo non è solo funzionale al gameplay, ma parte integrante della narrazione stessa.
 

Mafia: The Old Country - La recensione che non potete rifiutare


Una nota dolente riguarda però il reparto animazioni: alcune in-game sono realizzate davvero male e, in sporadici momenti, si percepisce un’arretratezza che risulta imbarazzante. Le animazioni appaiono legnose e poco convincenti, un contrasto evidente se confrontate con la Definitive Edition, dove la soddisfazione di vedere i nemici reagire in modo credibile e spettacolare ai nostri attacchi era palpabile. Qui, invece, questa sensazione è completamente assente. Lo stesso problema si riscontra nel feedback restituito dalle armi, un difetto che il team si porta dietro da anni senza riuscire a trovare una soluzione adeguata. Il risultato è una significativa riduzione dell’immedesimazione, penalizzando fortemente l’esperienza del giocatore e il senso di coinvolgimento nel mondo di gioco.

Il colpo più duro e profondo, però, riguarda senza dubbio l’intelligenza artificiale dei nemici. È un problema inaccettabile se, nel 2025, ci troviamo ancora a confrontarci con pattern comportamentali completamente privi di logica strategica. Per tutta la durata del gioco, i nemici non rappresentano mai una vera minaccia alla nostra sopravvivenza, se non per il loro numero: è la quantità a sopraffarci nella maggior parte dei casi. Nemici prevedibili, incapaci di accerchiarci o di adottare tattiche coerenti. La routine di gioco finisce così per ridursi a cercare il riparo più sicuro e avanzare colpendo i nemici con pazienza, senza mai dover usare davvero l’ingegno per metterli in difficoltà: loro stessi, spesso, si mettono letteralmente a disposizione dei nostri colpi. Un difetto che, oltre a risultare frustrante, rende l’esperienza complessiva poco stimolante e, a tratti, semplicemente improponibile.

Per quanto riguarda il comparto audio, i ragazzi di Hangar 13 hanno realizzato un lavoro magistrale, curando il sound design nei minimi dettagli. Le composizioni originali di Bryan Wayne Transeau uniscono la tradizione musicale siciliana a una dimensione sospesa tra meraviglia e malinconia, richiamando le atmosfere tipiche di un certo tipo di narrativa cinematografica di cui accennavo all’inizio della recensione, senza mai perdere originalità e personalità. Anche gli effetti sonori sono stati selezionati con cura e utilizzati in chiave compositiva, contribuendo a ricreare fedelmente l’atmosfera della Sicilia. Un lavoro eccellente sotto questo punto di vista, senza dubbio uno dei punti di forza del titolo.
 

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Conclusioni

Mafia: The Old Country rappresenta un esempio emblematico di come una saga videoludica possa evolversi rimanendo fedele alle proprie radici. Il titolo dimostra come la cura per la narrazione, la caratterizzazione dei personaggi e la ricostruzione del contesto storico possano elevare un videogioco a un’esperienza quasi antropologica, capace di trasportare il giocatore nella Sicilia dei primi del ’900. Al contempo, The Old Country non riesce a superare alcune limitazioni tecniche e di gameplay ereditate dai capitoli precedenti: le animazioni talvolta legnose, il feedback delle armi insufficiente e l’intelligenza artificiale dei nemici ridotta a schemi prevedibili diminuiscono l’immedesimazione e la sfida strategica, lasciando trasparire le difficoltà di un team che, nonostante le ambizioni narrative, non è riuscito a risolvere completamente queste criticità. La linearità della struttura di gioco e la limitata libertà di esplorazione, pur non penalizzando l’esperienza per chi apprezza un racconto guidato, mostrano i confini di un design che fatica ancora a coniugare narrazione e gameplay aperto.


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